interventi

Per un'Assemblea dei parlamentari dell'Ulivo

Introduzione all'assemblea dell'intergruppo "per l'Ulivo", promosso da Artemide - Roma, 9 ottobre 2002

Se siamo qui stasera, è perché siamo preoccupati per l'Italia.

Il Governo Berlusconi sta trascinando il nostro Paese in una nuova fase di precarietà economica, di conflitto sociale, di degrado istituzionale, di subalternità internazionale.

La disinvolta copertura che il Governo sta offrendo alla pericolosa deriva unilateralista che con la dottrina della "guerra preventiva" l'Amministrazione Bush sta imprimendo alla politica Usa, inquieta e preoccupa l'opinione pubblica italiana.

Ciò avviene mentre l'economia ristagna, si riaccende l'inflazione ed è tornato a crescere, a ritmi che allarmano i nostri partner europei, il cancro del debito pubblico.

L'inaffidabilità e l'incompetenza del ministro Tremonti stanno diffondendo tra gli operatori economici e tra i consumatori una grave crisi di fiducia, esiziale in un'economia orientata dal sistema delle aspettative.

Anche in quei settori della società italiana che avevano scommesso sul "miracolo" berlusconiano va prendendo piede il timore che una politica economica e sociale dissennata possa mettere a repentaglio i risultati di anni di faticoso risanamento, condotto dai governi Amato, Ciampi, Dini, Prodi, D'Alema.

Il Mezzogiorno, in particolare, si sente tradito e abbandonato. Ma su tutto il Paese incombe la minaccia di una crisi industriale grave, riassunta simbolicamente nel vero e proprio collasso nel quale rischia di precipitare la Fiat. Una crisi industriale che evidenzia impietosamente l'allarmante caduta di competitività del nostro sistema produttivo e il suo scivolamento in basso nella scala della divisione internazionale del lavoro.

A questi drammatici problemi il Governo ha fin qui risposto con l'inedita strategia del "conflitto senza riforme". Nei Paesi democratici si vedono alternativamente governi che privilegiano la pace sociale a costo di rinviare in tutto o in parte le riforme; o viceversa governi che in nome delle riforme sono disposti a correre il rischio di un certo grado di conflitto. Il Governo Berlusconi ha saputo regalare alla società italiana un anno di forte ripresa del conflitto, senza che si sia realizzata alcuna riforma in campo economico e sociale.

Le uniche riforme che hanno sin qui visto la luce sono quelle che Leopoldo Elia ha definito "sibi et suis": le "leggi vergogna", che stanno producendo un allarmante conflitto tra i poteri dello Stato e soprattutto stanno diffondendo tra i cittadini la nefasta convinzione che i princìpi della certezza del diritto e dell'uguaglianza dinanzi alla legge non siano da considerarsi limiti invalicabili al potere, ma siano beni disponibili per una maggioranza parlamentare che identifica negli interessi privati del Capo del Governo e dei suoi sodàli, una nuova, ferrea, ragion di Stato.

Dinanzi a questa situazione, il popolo del centrosinistra è sceso in piazza. Per protestare contro le proposte, le decisioni sbagliate e pericolose del Governo. Ma anche per reclamare da noi, dai suoi rappresentanti in Parlamento, un'opposizione più determinata e incisiva. Non un'opposizione che abbai più forte, ma un'opposizione che morda, che faccia male al Governo e alla sua maggioranza.

Noi abbiamo il dovere morale e il mandato politico di corrispondere a questa precisa richiesta. Saremo giudicati dai nostri elettori e dal Paese sul coraggio e la generosità con la quale sapremo adempiere al compito che ci viene affidato.

In termini politici, un'opposizione che morda è un'opposizione chiara e forte, un'opposizione concreta e argomentata, un'opposizione unita. Ma è anche e soprattutto un'opposizione che sappia proporre ai tanti cittadini e alle tante categorie sociali che avevano sostenuto la Casa delle libertà, e che sono oggi delusi dalla disastrosa prova del Governo Berlusconi, una credibile e autorevole alternativa di governo.

Poter contare su una credibile e autorevole alternativa di governo è un'esigenza vitale non solo per la società, ma per la stessa democrazia italiana. La democrazia vive nella competizione tra alternative, altrimenti si blocca, ristagna, si corrompe. Un'opposizione unita e proiettata nella costruzione di una credibile alternativa è quindi una risorsa indispensabile della democrazia. E' il Paese tutto dunque, non solo – e già basterebbe – il nostro elettorato, che ci chiede un salto di qualità.

Oggi noi non siamo un'opposizione competitiva, siamo un disordinato campo di forze, che riesce a trovare un'occasionale e precaria unità solo nel contrastare le scelte più gravi del Governo, ma non è in grado di avanzare al Paese una coerente proposta alternativa.

Il voto sull'Afghanistan ha mostrato impietosamente la nostra debolezza e la nostra difficoltà. Nel momento di massimo affanno del Governo, nel campo decisivo della politica economica e sociale, con una manovra finanziaria appena presentata e già bocciata, con una durezza inusitata, dalle stesse organizzazioni sociali firmatarie del "patto per l'Italia", a cominciare da Confindustria, che per bocca del Presidente D'Amato l'ha definita la "peggiore della storia d'Italia", in un momento come questo, noi siamo riusciti non a dividerci, ma a frantumarci in cinque posizioni diverse e in una quantità indefinita di variabili combinatorie, su una circoscritta, ma non marginale questione di politica estera.

In questo modo abbiamo regalato a Berlusconi un'opportunità insperata di pareggiare il conto agli occhi degli italiani.

L'effetto sistemico di questa sciagura si è visto in tempo reale al Convegno di una componente importante dell'establishment italiano: i giovani industriali, riuniti come ogni anno a Capri. Da quell'incontro è emersa una critica durissima contro la linea di politica economica e sociale condotta dal Governo e in particolare dal ministro Tremonti. Ma la ricerca di un paradigma alternativo non ha coinvolto se non marginalmente l'opposizione. Si è rivolta piuttosto a personalità istituzionali o ad aree critiche nell'ambito dello stesso centrodestra.

E' come se la società italiana si stesse disponendo a rientrare nel vecchio schema politico, quello della Prima Repubblica, caratterizzato da un'opposizione stabilmente fuori dal gioco e da un'alternanza ricercata e praticata solo nell'ambito della maggioranza di governo.

Noi dobbiamo scongiurare il pericolo dell'eterno ritorno dell'identico. Lo dobbiamo a noi stessi, alla nostra ambizione di rappresentare una proposta di governo per l'Italia. E lo dobbiamo al Paese, che deve poter uscire dal sogno berlusconiano – un sogno che si va trasformando in incubo – attraverso la via maestra della democrazia competitiva e non nella direzione di una nuova stagione di democrazia bloccata.

Il disastro del voto sull'Afghanistan ha avuto peraltro almeno un merito: quello di togliere dal campo delle alternative strategiche praticabili l'idea di rinviare al 2004, dopo la conta proporzionalistica delle elezioni europee, la ripresa del disegno dell'Ulivo.

Da quel voto è apparso chiaro a tutti che, procedendo di questo passo, nel 2004 del centrosinistra non sarà rimasto nulla. E forse non sarà rimasto nulla neppure del bipolarismo italiano: il sistema avrà trovato al suo interno le risorse per correggere le storture più evidenti del berlusconismo, ma senza coinvolgere un'opposizione sfiancata da una competizione interna priva di sbocchi politici credibili e costruttivi.

Non abbiamo davanti a noi due anni nei quali far prevalere il richiamo della foresta di astratte identità separate e concorrenziali. Abbiamo davanti a noi un tempo incerto, che dobbiamo spendere nella faticosa, generosa, tenace costruzione di una proposta comune, forte perché plurale, nelle culture che la fondano e nelle storie politiche che la strutturano, nelle proposte politiche programmatiche che la arricchiscono. La politica è sintesi delle diversità senza mortificarne alcuna ed è a questa sintesi complessa che oggi siamo chiamati.

Da dove ripartire, allora? Da ormai diversi mesi il gruppo Artemide ha avanzato una proposta, che ha incontrato il consenso di un numero ampio di parlamentari del centrosinistra. Parlamentari che non per questo – lo ripetiamo per l'ennesima volta – hanno aderito al gruppo Artemide: hanno semplicemente sottoscritto una proposta elaborata dal gruppo Artemide. Il quale a sua volta non si esaurisce in questa proposta, ma nutre l'ambizione di poter essere utile all'Ulivo con l'elaborazione di tesi programmatiche e di un compiuto modello di riorganizzazione dell'Ulivo nella sua dimensione nazionale come nel suo radicamento territoriale.

La proposta che rilanciamo è semplice e chiara. Avviamo un processo costituente del nuovo Ulivo, come riproposizione in termini rinnovati e aperti, di quell'"alleanza per il governo", che ci vide vincenti nel 1996. E facciamolo a partire da quell'unico punto fermo, dall'unico dato oggettivo di legittimazione democratica di cui disponiamo: gli eletti, i parlamentari votati dai cittadini accanto al segno dell'Ulivo.

Una proposta di governo è forte e potenzialmente vincente, se è sostenuta da uno schieramento credibile. E perché uno schieramento politico sia credibile, è fisiologicamente indispensabile che esso contenga al suo interno un principio d'ordine, una regola che consenta la discussione, il confronto, il dialogo, e poi la decisione.

La casa delle libertà ha un suo principio d'ordine: è il conflitto d'interessi di cui è portatore l'on. Silvio Berlusconi. E' il potere economico e mediatico del Presidente del Consiglio il principio d'ordine che tiene insieme la Casa delle libertà e, indirettamente, la maggioranza parlamentare e lo stesso Governo.

Si tratta di un'aberrazione istituzionale, prima ancora che politica, contro la quale siamo impegnati in una lotta durissima.

Ma nessuna nostra iniziativa sul conflitto d'interessi sarà convincente, se non riusciremo a mostrare alla società italiana che c'è un'altra via alla stabilità, che può esserci un principio d'ordine, una regola per la decisione, pienamente e compiutamente democratici.

Non c'è molto da inventare. C'è piuttosto da applicare alla nostra vita interna la regola aurea della democrazia: il principio di maggioranza, abbinato a norme di salvaguardia dei diritti delle minoranze.

Noi dobbiamo ristrutturare l'Ulivo sulla base di questo principio. Un principio che dobbiamo applicare innanzi tutto all'organo costituente del nuovo Ulivo: l'assemblea dei parlamentari.

La scorsa settimana si è fatto un tentativo di convocazione dell'Assemblea. Il veto di alcuni gruppi e le esitazioni di altri hanno tuttavia privato l'Assemblea del suo principio costitutivo: la possibilità di decidere a maggioranza.

Il risultato è stato il trionfo di quella che Duverger chiamava la "politica dell'impotenza": il triste spettacolo della dissoluzione di un corpo politico, dilaniato da mille posizioni contraddittorie e in definitiva insignificanti. Senza il voto a maggioranza, l'Assemblea da luogo di sintesi politica si è trasformata nell'amplificatore delle divisioni e dei contrasti.

Noi pensiamo che un'Assemblea come quella di mercoledì scorso non si debba ripetere mai più.

Per questo, abbiamo accolto con favore la decisione emersa dalla riunione di ieri dei capigruppo dell'Ulivo di convocare un'Assemblea dei parlamentari il prossimo 23 ottobre, nella quale si affermi il principio della decisione a maggioranza.

Perché si possa considerare l'Assemblea del 23 come un effettivo passo avanti e non come l'ennesimo autogol, sono necessarie tre condizioni:

1. A nessuno, a nessun parlamentare, a nessun gruppo, si può riconoscere il diritto di sabotare l'Assemblea, privandola di potere decisionale, semplicemente "votando con i piedi", ovvero non venendo all'Assemblea;

2. Vanno individuate le materie nelle quali è obbligatoria la convocazione dell'assemblea con potere di decidere anche a maggioranza;

3. L'Assemblea si deve dare un regolamento d'autogoverno – che disciplini tra l'altro le garanzie e i limiti del diritto al voto in dissenso nelle aule parlamentari – e deve procedere all'elezione separata dei due portavoce unici, uno alla Camera e uno al Senato.

Rispetto a questi obiettivi, le decisioni dei capigruppo sono un passo avanti da registrare con interesse e con favore. Permangono tuttavia reticenze e ambiguità che potranno essere superate solo se sarà forte e determinato il nostro lavoro di pressione democratica.

Noi intendiamo portarlo avanti, questo impegno. E' per questo che questa sera siamo qui, con all'ordine del giorno la formalizzazione della costituzione dell'Intergruppo per l'Ulivo e l'adozione di un regolamento interno che abbiamo pensato anche come falsariga di quello che dovrebbe essere il regolamento della Assemblea dei parlamentari.

Vedremo dopo l'Assemblea del 23 ottobre se festeggiare l'avvio del processo costituente del nuovo Ulivo o se invece disporci a strutturare l'Intergruppo per aumentare la pressione sulla dirigenza politica dei gruppi parlamentari e delle forze politiche della coalizione.

Ed è per questo che vi proponiamo, una volta approvato il regolamento, di riconvocarci nei giorni immediatamente successivi all'Assemblea del 23 per procedere agli adempimenti previsti dal Regolamento.