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Novità e attualità della costituzione conciliare Gaudium et Spes

Intervento all’incontro di studio sul Concilio Vaticano II - Narni il 2 Ottobre 2005

 

Vi ringrazio di questo invito, che ho accettato per due ragioni fondamentali: la prima per il debito che ho contratto con l’Azione Cattolica alcuni anni fa, debito talmente alto che riuscire ad estinguerlo è un lavoro piuttosto lungo e quindi ogni volta che l’Azione Cattolica chiama non posso non rispondere, la seconda è per avere l’occasione di ascoltare su questo tema un maestro come il professor Scoppola.

Vi dirò pertanto poche cose, quattro in tutto, ed in modo molto rapido, perché il tanto è già stato detto, per rispondere alla domanda: come mai la storia del Concilio che nasce quaranta anni fa e attraversa questi travagliati anni può ancora oggi continuare? Faremo, quindi, insieme uno sforzo di memoria e di prospettiva.

1) Il Concilio è importante in quanto tale, perché ha dato al mondo, in maniera plateale e duratura un’immagine della Chiesa assolutamente nuova: l’immagine di una Chiesa che si riunisce con il successore di Pietro alla presidenza, in un lavoro di grande collegialità, come se in qualche modo si capisse che l’accettazione del principio democratico - l’unico modello davvero rispettoso del valore della persona e della sua dignità - non si potesse non trasferire all’interno della Chiesa, con i modi dovuti.

Questo spirito che soffiava nella storia, ovvero l’affermarsi della democrazia come non più uno dei tanti regimi possibili, ma come l’unico che consente il rispetto della dignità della persona, entra anche dentro la Chiesa stessa e dentro la cattolicità. Questo non vuol dire tuttavia applicare in maniera meccanicistica alla Chiesa le regole e gli strumenti della democrazia politica, ma si pose comunque il problema della condivisione dell’autorità all’interno Chiesa..

E’ in atto una ricerca per un modo nuovo, più democratico, di gestire l’autorità nella Chiesa. Il Concilio è stato un momento di grande collegialità, il segno di una Chiesa che si riunisce attorno ad un tavolo, seppur con un presidente, una persona che ha un’autorità dell’ultima parola, ma non della prima e dell’ultima insieme, bensì dell’ultima parola al termine di una discussione.

Sappiamo che dentro il Concilio ci sono state discussioni, polemiche, scontri, e questo è successo alla luce del sole, nella trasparenza: non ha distrutto la Chiesa, ma l’ha rilanciata, ha ridato spinta e vigore alla sua missione.

La tensione fra l’autorità e la democrazia è un grande problema che la Chiesa ancora non ha risolto. Ogni tanto ci mostra degli squarci su ciò che potrebbe essere, ma ancora non ha trovato un punto di equilibrio definitivo o almeno stabile. Dal momento che la democrazia, come istituzione (regime politico ed umano) conosce tutte le difficoltà di cui abbiamo parlato, come può la Chiesa essere un fermento all’interno della democrazia se non si lascia in qualche misura attraversare da questa tensione, anche se in modi propri e originali?

2) Il Concilio è una straordinaria testimonianza da parte della Chiesa di passione per l’uomo, in particolare con la Gaudium et Spes, “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore” (n. 1).

E’ un momento di grande passione della Chiesa per l’uomo ed in particolare di grande passione per i più poveri, quindi è una scelta di campo da parte della Chiesa, una cesura netta e irreversibile rispetto alla lunga stagione costantiniana, nella quale lo schema dominante era quello di una Chiesa garante dell’ordine prestabilito, in cui il rapporto con il mondo consisteva nel mantenere l’ordine naturale delle cose e vedeva una gerarchia nella società, nella famiglia e in tutte le espressioni della convivenza umana. La Chiesa in qualche modo si faceva garante e sostenitrice di questo ordine. Con il Concilio la Chiesa cessa questa funzione: dice solennemente no, ammette l’errore, in particolare nella Gaudium et Spes c’è un passaggio dove la Chiesa ammette gli errori, non tanto della Chiesa come sposa di Cristo, ma dei tanti suoi figli che hanno bestemmiato il Vangelo con il loro esempio.

C’è una radice conciliare nella grande stagione di Giovanni Paolo II e nella sua richiesta di perdono. La Chiesa ammette di non poter essere il puntello dell’ordine prestabilito, che in realtà è disordine, ma anzi deve diventare il fermento di un nuovo ordine, di una nuova tensione verso la giustizia, verso l’emancipazione degli uomini.

Negli anni sessanta ricordiamo le grandi lotte per l’emancipazione degli uomini: sono gli anni della decolonizzazione, dell’avvento dei Paesi nuovi, come si chiamavano allora nello scenario mondiale, dell’avvento dei grandi movimenti per i diritti civili, pensiamo a Martin Luther King negli Stati Uniti e a quella grande stagione di rinnovamento sociale che poi ha portato al ’68, alle lotte studentesche, a quelle operaie, ovvero a tutta questa complessa e contraddittoria stagione verso l’ingresso nella modernità di grandi parti del mondo.

Sono momenti di conflitto, di sofferenza, di violenza; ricordiamo Aldo Moro fra le vittime più illustri della stagione dei diritti, come l’aveva chiamata lui stesso, che trovò in una delle sue vene anche la follia barbara del terrorismo, della dissoluzione attraverso la violenza politica. Tuttavia di quella stagione la Gaudium et Spes è impregnata, e dice …“La Chiesa deve aprire porte e finestre”…, certamente non può essere neutrale, non può non essere da una parte.

Da lì inizia il lungo cammino della opzione per i poveri, della opzione per gli sfruttati, per ciò che la Chiesa italiana chiamò un impegnarsi nel mondo e nella società dagli ultimi. Questo è un elemento che ha assolutamente permeato di sé la vicenda della Chiesa di questi quarant’anni, ma naturalmente è un tema ancora tutto aperto, perché le contraddizioni del mondo sono ancora pesanti.

Anche uno dei paradossi della democrazia, il principio di maggioranza, non garantisce più al terzo escluso la possibilità di una cittadinanza piena, ma anzi può diventare in qualche modo strumento di dittatura della maggioranza inclusa rispetto alla minoranza esclusa. Questo è probabilmente l’altro tema cruciale della politica contemporanea, ovvero: è ancora in grado la politica democratica di farsi carico del problema dell’emancipazione degli ultimi? E in che modo può farlo? Meglio ancora sarebbe dire del problema dell’uguaglianza: siamo in grado oggi di porci questo problema e in che modo dobbiamo farlo? Insieme al problema della democrazia è l’altro grande tema aperto del nostro tempo: come e in che senso possiamo e dobbiamo oggi parlare di uguaglianza?

3) Il Concilio è stato una grande esperienza di libertà, nel senso che ci fu una straordinaria stagione di libertà di pensiero e di confronto nella Chiesa. Furono aperte le porte ad una discussione libera, non solo, ovviamente, tra i Padri conciliari, ma la discussione dei Padri conciliari e tra i Padri conciliari aprì un dibattito, un confronto, a volte anche un conflitto di opinioni all’interno della comunità ecclesiale in tutto il mondo.

Pensiamo alla fioritura del dibattito teologico di quegli anni e degli anni successivi; di fronte al problema di costruire una coscienza morale comune nella società multiculturale del nostro tempo, dobbiamo trovare il modo di riannodare il filo del dialogo. La speranza è che quella stagione di libertà non finisca.

Il grande, straordinario pontificato di Giovanni Paolo II, con la sua personalità così preminente, come tutte le cose umane ha avuto anche un’altra faccia, un aspetto negativo. Ogni grande cosa ha un suo prezzo ed il prezzo pagato in questi anni, probabilmente, è stato uno schiacciamento della libertà, del confronto, verso tutte le altre posizioni, in particolare del laicato, che in qualche modo si è sentito deresponsabilizzato.

Questo tema della libertà è un tema oggi cruciale, ed è il tema sul quale più si trova in tensione la dimensione della laicità nel rapporto tra coscienza religiosa e democrazia politica, perché è il tema del significato della libertà. Il Concilio, in particolare la Gaudium et Spes, usava parole assolutamente profetiche in questo senso, è uno forse dei punti che anziché essere datati sembrano essere stati scritti in questi giorni. Al punto diciassette, quello sul tema della grandezza della libertà, si dice che …” L’uomo può volgersi al bene soltanto nella libertà, i nostri contemporanei stimano grandemente e perseguono con ardore tale libertà, e a ragione”, quindi il Concilio sposa l’ansia di libertà che attraversa il mondo negli anni sessanta, …”spesso però la coltivano nel modo sbagliato, come se fosse lecito tutto quel che piace compreso il male”.

Questo è ancora il tema irrisolto del nostro tempo. Aldo Moro diceva, negli anni settanta, una frase di sconvolgente attualità: “L’Italia non si salverà e la stagione dei diritti si rivelerà effimera se non nascerà in Italia un nuovo senso del dovere”. Io penso che questo sia un tema di assoluta attualità, perché, in fondo, noi assistiamo all’esaurirsi di un modello di libertà che la identifica con il principio di piacere e che rimuove completamente il problema della responsabilità e del dovere, la dimensione etica della libertà. Naturalmente Aldo Moro parlava di un “nuovo” senso del dovere, non dice che deve rinascere il vecchio ordine gerarchico che annullava nel dovere il diritto e annullava nella gerarchia la libertà, ma nella libertà deve nascere un nuovo senso del dovere, uno spessore morale della società.

È questo il grande tema politico-culturale che abbiamo davanti. E’ forse il tema sul quale c’è anche il conflitto tra la dimensione religiosa della vita (la rivendicazione da parte delle religioni di riempire di spessore morale la libertà delle persone) e la laicità dello Stato che deve tutelare i diritti.

4) La laicità. Il capitolo quattro riguarda la missione della Chiesa nel mondo contemporaneo. C’è il punto numero quarantatre che io trovo di straordinaria bellezza dal titolo “L’aiuto che la Chiesa intende dare all’attività umana per mezzo dei cristiani”: “Gioiscano i cristiani seguendo l’esempio di Cristo, che fu un artigiano, di poter esplicare tutte le attività terrene unificando gli sforzi umani, domestici, professionali, scientifici, in una sola sintesi vitale insieme con i beni religiosi, sotto la cui altissima direzione tutto viene coordinato a gloria di Dio. Ai laici spettano propriamente, anche se non esclusivamente, gli impegni e le attività temporali. Quando i laici agiscono quali cittadini del mondo, sia individualmente sia associati, non solo rispetteranno le leggi proprie di ciascuna disciplina” - nel principio di competenza il buon laico è il laico competente, non il laico animato da buona volontà e da buoni sentimenti - “ma si sforzeranno di acquistare una vera perizia in quei campi, daranno volentieri la loro cooperazione a quanti mirano a identiche finalità, nel rispetto delle esigenze della fede, ripieni della sua forza, escogitino senza tregua nuove iniziative, ove occorra, e ne assicurino la realizzazione”. Quindi i laici si muovano, mettano in campo le loro competenze e facciano nascere anche nuove iniziative. “Spetta alla loro coscienza, già convenientemente formata, di iscrivere la legge divina nella vita della città terrena, dai sacerdoti i laici si aspettino luce e forza spirituale”. Non devono dirci i sacerdoti cosa dobbiamo fare ma esserci vicini con la luce e la forza spirituale.

I laici, però, non pensino che i loro pastori siano sempre esperti a tal punto che per ogni nuovo problema che sorge essi possano avere pronta una soluzione concreta, o che proprio a questo li chiami la loro missione” i pastori non hanno questa competenza.

Devono essere i laici che “si assumono la propria responsabilità alla luce della sapienza cristiana e facendo rispettosa attenzione alla dottrina del Magistero”.

Il Concilio dice ai laici: tenete vicini i vostri pastori per quanto vi possano illuminare, ma non vi aspettate che risolvano i vostri problemi, prendete la vostra responsabilità. Sarà la stessa visione cristiana della realtà che vi orienterà in certe circostanze ad una determinata soluzione.

Tuttavia altri fedeli” - e questo è il pluralismo, l’altra faccia della laicità - “altrettanto sinceramente potranno esprimere un giudizio diverso sulla medesima questione, come succede abbastanza spesso e legittimamente”…

Di fronte a problemi storici non vi aspettate dai Vescovi l’ultima parola, perché non è quella la loro competenza, guardate onestamente la realtà e forse troverete anche risposte diverse e non vi scandalizzate del fatto che vi siano risposte diverse.

Se le soluzioni proposte da un lato o dall’altro anche oltre le intenzioni delle parti vengono facilmente da molti collegate con il messaggio evangelico, in tali casi ricordino essi che nessuno ha il diritto di rivendicare esclusivamente in favore della propria opinione l’autorità della Chiesa”.

Guai a chi dice: - io sono più cristiano di te, io sono nella posizione ortodossa, io sono nella Chiesa tu sei fuori della Chiesa –. Cerchiamo invece sempre di illuminarci vicendevolmente, attraverso un dialogo sincero, in ogni caso, anche se con idee diverse siamo arricchiti nel rispetto delle opinioni gli uni degli altri, mantenendo sempre la mutua carità e avendo cura in primo luogo del bene comune.