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Perché siamo vicini a Israele

In Medio Oriente è di nuovo guerra.

E guerra significa, innanzitutto vittime, vite falciate senza pietà e senza senso.

Il Ministro D’Alema ha parlato in questi giorni di “equivicinanza”.

Non possiamo non essere tutti egualmente vicini a tutte le vittime del conflitto: agli israeliani di Haifa, colpiti dai missili, ai palestinesi di Gaza colpiti dalla rappresaglia israeliana, ai libanesi di Beirut uccisi dalle bombe.

Tutte le vittime delle guerre, in particolare le vittime civili, sono uguali e tutte le popolazioni colpite meritano lo stesso cordoglio e la stessa solidarietà.

La stessa “equivicinanza” è giusto esprimere alle ragioni storiche, da una parte di Israele, dall’altra del popolo palestinese. E` ormai acquisizione matura di tutta la comunità internazionale che la via d’uscita dalla gravissima crisi mediorientale passi attraverso il riconoscimento delle due ragioni che si confrontano: la ragione di Israele di avere confini sicuri e il riconoscimento della sua esistenza da parte di tutta la comunità internazionale, a cominciare dai Paesi vicini, e il legittimo diritto del popolo palestinese ad avere finalmente uno Stato sovrano e democratico.

 

Non possiamo, tuttavia, non riconoscere che in questo momento è Israele a subire un attacco feroce, proprio nel momento in cui da parte del suo nuovo Governo erano stati compiuti importanti passi avanti sulla via della pace, con il riconoscimento del diritto dei palestinesi ad avere un Stato e con l’abbandono del mito della Grande Israele.

Si tratta di passi avanti che hanno comportato passaggi molto dolorosi per Israele.

A cominciare dal ritiro da Gaza, che ha provocato gravi tensioni con i coloni e con il fondamentalismo ebraico e che ha comportato clamorose conseguenze nello scenario politico israeliano: la rottura del principale partito di Governo, il Likud, che aveva messo in minoranza il Primo Ministro Ariel Sharon e la formazione di un nuovo Governo, a seguito della vittoria elettorale di una coalizione di centrosinistra guidata dal partito Kadima, guidato dall’attuale premier Olmet nel nome di Sharon e dal leader storico dei laburisti israeliani Simon Peres, un Governo nato per il dialogo e la pace.

 

Anche dall’altra parte, tra i palestinesi, stavano emergendo uguali tensioni verso l’intesa e la pace, con l’elezione di Abu Mazen, che ha fatto del riconoscimento dello Stato di Israele e dell’apertura di un negoziato il punto centrale del suo impegno politico.

Contro questo incoraggiante processo di pace si sono scatenati, prima l’ala integralista di Hamas, che ha finora impedito al nuovo Governo dell’Autorità palestinese di riconoscere lo Stato di Israele e poi, dal Sud del Libano, i missili degli Hezbollah.

Credo che la comunità internazionale non possa restare inerte di fronte a questa situazione, ma debba esprimere forte solidarietà a Israele e aiutare quello Stato a cercare un risposta all’aggressione di cui è stato oggetto, che non sia una mera rappresaglia che colpisca le popolazioni civili del Libano.

 

Non può essere quella la risposta alla crisi dinanzi alla quale ci troviamo.

Stare vicini al Governo di Israele, un Governo che mai come oggi ha fatto passi così decisi verso la pace è anche l’unico modo per essere egualmente vicini alla causa palestinese.

Ha ragione Nemer Hammad, consigliere di Abu Mazen e per lunghi anni portavoce di Arafat in Italia, quando dice, usando significativamente le parole del Presidente Bush: “non dobbiamo lasciare i palestinesi nelle mani di qualche leader estremista che gioca con la sofferenza di un popolo”.

 

Questa è l’ ”equivicinanza” espressa dal Governo italiano, l’equivicinanza che può servire a scongiurare la guerra e a riaprire la strada alle ragioni della pace in Medio Oriente.

 

 

 

Giorgio Tonini

Vicepresidente Commissione Esteri del Senato