La storia, come è noto, è maestra di vita. Ma per trarre profitto delle sue lezioni, bisogna saperla e volerla ascoltare. Prendiamo il caso di questa primavera 2012. La storia ci ha messo davanti, con impressionante chiarezza didattica, due casi, quello greco e quello francese, che corrispondono a due modi diversi di affrontare lo stesso problema: la crisi delle culture politiche "di governo", di centrodestra come di centrosinistra, e dei grandi partiti che hanno dato loro corpo in Europa, dalla seconda metà del Novecento ad oggi.
Sono anni che diciamo che quelle culture politiche, che altro poi non sono se non due variazioni sul tema del modello sociale europeo, l'economia sociale di mercato, devono fare i conti con fenomeni inediti, come la globalizzazione, lo squilibrio demografico, la rivoluzione tecnologica. La Grande Crisi ha messo in evidenza in modo drammaticamente impietoso l'insufficienza delle culture politiche di governo ed ha impresso una spettacolare accelerazione al diffondersi, a destra come a sinistra (categorie che paiono anch'esse mescolarsi e talvolta confondersi), di suggestioni e movimenti di opposizione, di protesta, se non di dura contestazione anti-sistema.
In tutta Europa, l'area dei partiti che tradizionalmente si alternavano al governo, perché presidiavano entrambi stabilmente la propria metà campo, in pochi anni si è contratta dal 70-80 per cento degli elettori, fino a tenere a stento quota 50. Questo fenomeno è causa e conseguenza assieme di un altro processo in atto: la trasformazione della formula della "grande coalizione" tra i due partiti maggiori, da caso estremo e contingente, a unico equilibrio possibile, ma al prezzo altissimo di sospendere in modo duraturo, se non superare definitivamente, la tradizionale dialettica centrodestra-centrosinistra, in favore di quella vecchio-nuovo, o sistema-antisistema. Finisce così per innescarsi una spirale assai pericolosa, che ripropone su vasta scala e in termini nuovi il tema della democrazia bloccata: una patologia che noi italiani conosciamo benissimo, per averla vissuta per quasi mezzo secolo, dal 1947 al 1989, quando l'unica alternativa di governo era un'alternativa anti-sistema.
Ebbene, i due casi che la storia ci ha didatticamente proposto, in una sorta di corso accelerato, tra il 22 aprile e il 17 giugno di quest'anno, dovrebbero aiutarci a capire cosa dobbiamo e cosa non dobbiamo fare, se vogliamo uscire vivi, noi europei (e noi italiani in particolare), da un passaggio storico così impegnativo.
Il primo caso è quello della Grecia: due elezioni politiche, a distanza di poco più di un mese tra loro (6 maggio e 17 giugno), a causa dell'impossibilità, per il parlamento uscito dalla prima consultazione elettorale, di formare un governo. Neppure il governo di unità nazionale, che reggeva il paese prima delle elezioni, e che si è scoperto all'improvviso addirittura minoritario. D'altra parte, le opposizioni, uscite vincitrici dalle elezioni, non erano in grado né di formare un governo tra loro (avrebbero dovuto coalizzarsi neo-comunisti e neo-nazisti), né di partecipare ad un governo insieme ai tradizionali partiti di centrodestra (Nuova Democrazia) o di centrosinistra (i socialisti del Pasok). Ci sono volute nuove elezioni, a distanza di un mese, solo per rendere (forse) nuovamente possibile una grande coalizione. Non c'è da stupirsi se i mercati hanno tirato un sospiro di sollievo, durato, per l'appunto, solo il tempo di un sospiro.
Certo, il caso greco è un caso estremo: perché estrema è in quel paese la gravità della crisi; estrema è la responsabilità delle classi dirigenti greche per averla sottovalutata, ignorata, nascosta; estrema è la cura, non priva di tratti punitivi fino all'insostenibilità, imposta dall'Europa e dalla Germania in specie; estremo è il livello di corruzione raggiunto dai partiti tradizionali, con il discredito, non meno estremo, che ne è conseguito. E tuttavia, al netto di queste caratteristiche per l'appunto estreme, la dinamica politica greca rischia di risultare paradigmatica del comportamento della maggior parte delle democrazie parlamentari europee: costrette dalla crisi a politiche impopolari, per sostenere le quali sono indotte a formare grandi coalizioni, che finiscono peraltro col ridurre l'area del consenso ai partiti tradizionali, fino a cadere nella trappola della democrazia bloccata.
Opposto il caso della Francia: le domeniche elettorali sono state addirittura quattro (sei, se si contano anche le primarie del Psf), in un tempo che abbraccia una settimana in più della doppia votazione greca (22 aprile - 17 giugno, le primarie si erano tenute in ottobre). Ma il sistema francese ha funzionato come un orologio svizzero. Primo e secondo turno delle elezioni presidenziali, primo e secondo turno delle parlamentari, output finale: alternanza destra-sinistra, un governo stabile, guidato da un presidente eletto dal popolo, sorretto da un parlamento nel quale il partito del presidente ha da solo la maggioranza assoluta dei seggi. Un miraggio per il resto d'Europa. Non solo per la Grecia, perfino per la Germania, che salvo imprevisti, dalle elezioni del 2013 uscirà con la "Grosse Koalition" come unica formula possibile.
Eppure, in Francia, i partiti hanno conosciuto la stessa crisi con la quale si trovano a combattere nel resto d'Europa. Anche socialisti e gollisti, protagonisti dell'alternanza democratica nella V Repubblica, raccolgono insieme poco più della metà degli elettori e devono difendersi dall'assedio della "gauche" da una parte e soprattutto del Fronte nazionale lepenista dall'altro. E tuttavia, il combinato disposto di semipresidenzialismo e doppio turno ha trasformato la relativa debolezza socialista in una forza in grado di reggere il peso del governo. Ed ha evitato alla Francia l'ineluttabilità della grande coalizione e la trappola della democrazia bloccata. Ora Francois Hollande può pensare in grande: se ha la stoffa dello statista (vedremo) può usare la forza del sistema politico-istituzionale francese per guidare, insieme alla potenza economica della Germania, l'approdo dell'Unione ad un vero federalismo europeo...
La lezione della storia non poteva essere più chiara. In particolare per noi italiani, alle prese con la inderogabile necessità di adeguare il nostro sistema istituzionale. Verrebbe da pensare, riflettendo sulla lezione della storia, che semipresidenzialismo e doppio turno funzionino meglio di un porcellum in salsa greca, come quello che pare si stia cucinando in Transatlantico. Certo, le lezioni della storia bisogna saperle e volerle ascoltare.