Apr
12
2012
Myanmar: segni di Primavera Asiatica
Intervento in Aula nella discussione della mozione sulle riforme democratiche in Birmania
  Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, come si evince da una rapida lettura delle firme in calce alla mozione n. 545 (testo 3), in gran parte appartenenti al Gruppo del Partito Democratico (anche se poi tutti i Gruppi hanno opportunamente dato il loro contributo), il Gruppo PD voterà con grande convinzione a favore di questa mozione.

Ringraziamo innanzi tutto la senatrice Soliani per essersi fatta promotrice di questa mozione con grande impegno e passione, nonché il Governo, nella persona del sottosegretario De Mistura, per aver espresso parole di convinto sostegno da parte dell'Esecutivo. Voteremo a favore di questa mozione sulla base di tre argomenti di politica estera, ma innanzitutto per un ulteriore argomento che riguarda la politica come tale, quella con la "P" maiuscola.

La mozione al nostro esame mette insieme, come a volte solo la nostra collega Soliani sa fare, il cuore caldo e la testa fredda, che dovrebbero essere le due caratteristiche fondamentali della buona politica. È una mozione dal cuore caldo di indignazione, il sentimento che ci ha accompagnato per tanti anni, guardando alla Birmania; indignazione verso la macchina mostruosa di una giunta militare che ha calpestato in modo indegno i diritti umani, a cominciare dalla violenza esercitata su Aung San Suu Kyi, meritatamente premio Nobel per la pace nel 1991, simbolo di mitezza e fermezza al tempo stesso per tutti gli uomini e le donne che si battono per la libertà nel mondo. Quindi, cuore caldo di indignazione, ma in questi giorni anche cuore caldo di gioia e soddisfazione nel vedere gli importanti passi avanti realizzati nella lotta per la libertà e la democrazia, e quindi cuore caldo di speranza per ciò che può avvenire in Birmania e in generale nel Sud-Est asiatico nei prossimi mesi o anni. Al tempo stesso, però, occorre testa fredda, perché sappiamo che tanto c'è ancora da fare e questo tanto può essere realizzato solo se si manterrà forte l'attenzione e la passione sulla questione birmana e se allo stesso tempo saremo capaci, come si è stati capaci sull'esempio di Aung San Suu Kyi, di una giusta considerazione della gradualità nonché di un'apertura al giusto compromesso, perché la politica buona è fatta di grandi passioni e poi di gradualità e compromessi.

Ecco quindi le tre considerazioni rapide di politica estera. La prima riguarda le buone notizie che arrivano da Myanmar. Proprio ieri, riferiscono le agenzie, Aung San Suu Kyi ha incontrato il presidente Sein, un atto di per sé di straordinaria importanza. Una prigioniera politica - che forse non è stata uccisa solo perché la dittatura non voleva farsi da sola un danno più grave del necessario - tenuta agli arresti domiciliari dopo essere stata cacciata e deposta dal Parlamento dove era stata eletta a furor di popolo, che ha saputo resistere per tanti anni. Ebbene, ieri la vittima si è incontrata con il suo aguzzino, o perlomeno con il simbolo della giunta che è stata l'aguzzino di questa illustre vittima. La storia ricorda una pagina altrettanto straordinaria, quella di Nelson Mandela che incontra il Presidente sudafricano aprendo una pagina nuova per l'altro straordinario esempio per tutti noi delle lotta contro l'apartheid in Sudafrica.

Il 1° aprile si sono tenute le elezioni suppletive in Birmania, che hanno segnato la straordinaria vittoria della Lega nazionale per la democrazia di Aung San Suu Kyi aprendo una fase nuova, dopo la stagione delle elezioni ambigue del novembre 2010. Anche se ambigue, le elezioni sono sempre e comunque un passo avanti, un segnale di apertura e rinnovamento, ma certamente in quella occasione furono segnate in maniera drammatica dalla persecuzione dei dissidenti politici (più di 2.000 persone sono ancora detenute in Birmania come prigionieri politici) e dall'esclusione brutale di Aung San Suu Kyi dalle elezioni, perché temuta dalla giunta militare per la sua popolarità.

Oggi il cambiamento è evidente, anche se la prudenza naturalmente è d'obbligo. Tanto resta il cammino da fare e dobbiamo andare avanti.

La seconda considerazione che vorrei svolgere è che questo risultato - fatemelo dire - premia l'Italia e l'impegno che il nostro Paese ha messo a servizio della causa birmana, un impegno corale, che ha visto un forte e grande movimento di solidarietà con la battaglia di Aung San Suu Kyi, all'interno del quale i democratici italiani hanno avuto una parte importante, ed è giusto sottolinearlo. In particolare, voglio ricordare che Walter Veltroni, ad esempio, non appena diventato segretario degli allora Democratici di Sinistra, si recò in Birmania per incontrare Aung San Suu Kyi, rompendo l'isolamento dei suoi arresti domiciliari: fu la prima visita all'estero del neosegretario dei DS di allora, che scelse proprio la Birmania come simbolo della lotta per la libertà. Voglio ricordare, ancora, il grande impegno del movimento sindacale, in modo particolare della CISL, a sostegno dei sindacati liberi messi fuori legge dal regime, nonché l'impegno dei Radicali, richiamato anche dal collega Perduca, e i tanti documenti parlamentari con i quali in questi anni è stata sostenuta la lotta per la libertà del popolo birmano.

C'è poi, ovviamente, l'impegno del grande tessitore, dell'inviato speciale dell'Unione europea, Piero Fassino, che in questi anni ha lavorato con pazienza e discrezione, anche fuori dai riflettori, per costruire la trama di una possibile mediazione politica e diplomatica che portasse alla soluzione del problema birmano.

Abbiamo ora davanti a noi la grande opportunità della visita a Yangon nei prossimi giorni del ministro Terzi di Sant'Agata, al quale chiediamo di portare avanti la linea che è stata seguita dal Governo italiano e dalla sua diplomazia - penso al grande lavoro fatto dal nostro ambasciatore in Birmania - una linea di attenzione e di dosaggio tra il bastone delle sanzioni, che deve essere tenuto fermo, e, nello stesso tempo, la mano tesa e l'apertura al riconoscimento di tutti i passi concreti che la Birmania vorrà fare per la liberazione dei detenuti politici e per il riconoscimento dei diritti umani, in un cammino vero e forte verso la democrazia.

Infine, consentitemi un'ultima considerazione. Come è noto, la Birmania è un grande Paese asiatico: la collega Contini ne ricordava prima le dimensioni, con una popolazione di 50 milioni di abitanti, mentre la collega Sbarbati ne richiamava l'importanza economica. Parliamo di un Paese che è come un tassello all'interno del mosaico asiatico tra la Thailandia e l'Oceano Indiano, ma, soprattutto, tra l'India e la Cina. Fino a qualche tempo fa si poteva dire che nel contesto asiatico c'era, da una parte, la grande democrazia indiana, la più grande democrazia del mondo, con un miliardo e più di abitanti, che si regge attraverso una faticosa - ma quand'è che la democrazia non è faticosa? - ma straordinaria esperienza democratica, mentre dall'altra c'era il modello cinese, con l'idea che, uscendo dai regimi comunisti, si possa procedere verso il capitalismo, ma non verso la democrazia. In qualche modo il segnale che viene dalla Birmania è che non è detto che questi due modelli debbano per forza confliggere: è possibile che si incontrino sulla via dello sviluppo che si coniuga con la democrazia.

Credo che questo sia un fatto di straordinaria speranza. Dopo la grande speranza della Primavera Araba, iniziata lo scorso anno (che tutti sappiamo essere faticosa, lunga e per tanti versi dolorosa), abbiamo davanti a noi la prospettiva di una Primavera Asiatica della democrazia. Ritengo che per questo dobbiamo batterci, in questo dobbiamo sperare ed è per questo che voteremo convintamente a favore della mozione avente come prima firmataria la senatrice Soliani.
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