Jan
21
2012
Il Pd e l'agenda Monti
Il mio intervento all'Assemblea Nazionale del PD
 

1. Con il decreto sulle liberalizzazioni, il governo Monti ha lanciato un'offensiva in grande stile, diciamo pure di dimensioni e di ambizione mai viste, contro la terza delle grandi emergenze dinanzi alle quali si trova l'Italia: dopo la grave crisi della finanza pubblica e la drammatica caduta di credibilità del nostro paese sul piano internazionale, l'emergenza della crescita troppo bassa, da troppo tempo.
Su tutti e tre questi fronti il governo Monti ha impresso una netta inversione di tendenza, correggendo in maniera significativa il sistema delle aspettative, in Italia, in Europa e nel mondo. Penso che il PD faccia bene a rivendicare la sua quota di merito per questi primi risultati: lo hanno fatto, opportunamente, Bersani ieri ed Enrico Letta oggi. I sondaggi ci stanno dando ragione. Stanno premiando la nostra scelta di mettere l'Italia prima di tutto. 
Una scelta che abbiamo fatto davvero tutti insieme. Ieri Bersani ha chiesto al partito una grande coesione. Penso che non ci sia mai stata una unità interna forte come quella di questi mesi. Naturalmente una unità da partito democratico e non da partito del leader. Una unità dunque fondata sul pluralismo, sl principio dell' "e pluribus unum", non sul conformismo. Un anno fa, ad esempio, al Convegno del Lingotto, alla presenza di Bersani, abbiamo messo insieme un po' di idee e di proposte, che mi pare siano tornate utili, sia al partito che allo stesso governo Monti.

2. Ma c'è una quarta emergenza con la quale non possiamo non fare i conti: il divario paurosamente crescente tra consenso al governo, pure nella impopolarità di molte delle sue decisioni, e consenso al sistema politico, con particolare riferimento al sistema dei partiti e allo stesso Parlamento, vissuto come "casa dei partiti". Lo stesso nostro ritrovato 30 per cento, per la prima volta dopo il 2008, è al netto di un abbondante 40 per cento di elettori che si dichiara incerto se non estraneo alla politica dei partiti.
E' come se una parte crescente del paese nutra ed esprima il timore che, come nella fiaba di Cenerentola, svanito l'incantesimo del governo dei tecnici - il governo dei competenti e degli onesti, dei propositivi e costruttivi, perfino dei beneducati - si possa tornare allo status quo ante, si debba vedere la principessa che torna servetta, la carrozza che ridiventa zucca e i cavalli che ritornano topi.
Insomma, il governo difficile, ma buono, che svanisce e ci riconsegna alla brutta politica dalla quale ci eravamo appena faticosamente liberati. La politica che il presidente della repubblica, nel suo discorso alle alte cariche dello Stato, peraltro tutte plaudenti, poche settimane fa aveva descritto con parole durissime: "distorta dialettica tra maggioranza e opposizione", "clima aspramente divisivo", "irriducibile contrapposizione, ai limiti della incomunicabilità", "esasperazione patologica del conflitto tra governo, maggioranza e opposizione". Insomma una politica "hyper-partisan", che nell'arco degli ultimi vent'anni, certo in modi e con responsabilità diverse, ha fallito la sua missione fondamentale: quella di affrontare con serietà e coraggio i gravi, complessi, ma tutt'altro che insolubili, problemi del paese.
Probabilmente non ha torto chi vede nello stesso divario tra lo spread dei titoli a breve termine e quelli decennali, il riflesso di questo timore circa la facile reversibilità dei positivi cambiamenti in atto in Italia. Non sarebbe la prima volta, del resto, che nel nostro paese una promettente stagione riformista si rivela effimera: che dopo Ciampi arriva Berlusconi, che dal governo dell'Ulivo si torna ai governi dei partiti, fino ad alternarsi tra le opposte opposizioni dell'Unione e della Cdl.

3. Non so cosa farà il centrodestra, dinanzi a questa situazione. A me pare evidente che noi, il PD, non possiamo certo presentarci agli italiani come "quelli di prima". Noi possiamo e dobbiamo presentarci agli italiani come la grande forza democratica che, come ha reso possibile il miracolo del passaggio dal governo Berlusconi-Bossi-Scilipoti al governo Monti, così saprà rendere possibile la realizzazione dell'agenda Monti, dell'agenda per l'Italia, non solo da qui al 2013, ma anche e soprattutto nella prossima legislatura. E potremo farlo credibilmente se sapremo esibire tre credenziali fondamentali.
La prima è un sostegno, certo non acritico né passivo, ma convinto e attivo, all'azione riformatrice del governo. Rigore, crescita, equità sono le parole d'ordine del governo anche perché sono le nostre parole d'ordine, sono le parole d'ordine che scaturiscono dalla nostra lettura dei problemi e delle opportunità che l'Italia ha davanti a sé. Se non fosse così, semplicemente il governo Monti non ci sarebbe stato .
La seconda è un impegno altrettanto convinto e attivo per le riforme democratiche, nel segno della democrazia decidente. Dopo il governo Monti, non si può tornare all'incubo del bipolarismo distruttivo, ma neppure si può scambiare per terra promessa la palude del proporzionalismo, delle elezioni senza vincitori, dei governi che si fanno e si disfano in parlamento. Al porcellum delle liste bloccate e del premio di maggioranza, noi dobbiamo opporre un sistema elettorale basato sui collegi uninominali e sulle piccole circoscrizioni, per ristabilire il rapporto tra eletti e territorio e per creare le condizioni di un bipolarismo mite e costruttivo, fondato sulla competizione tra proposte di governo e non tra opposte opposizioni, tra avversari che si rispettano e non tra nemici di una guerra civile fredda.
La terza, quella decisiva, è il nostro riformismo: la nostra capacità di distinguere i fini dai mezzi, di essere radicali sui principi e pragmatici sugli strumenti per realizzarli, di sapere che si è davvero fedeli ai valori di sempre, a cominciare da quelli di libertà, uguaglianza, solidarietà, solo se si è capaci di incarnarli in politiche innovative. Altrimenti, si rischia di tradirli.

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