Nel bilancio della seconda fase della Repubblica le ombre sovrastano le luci. La prova, per Napolitano, sta nell'epilogo di questa stagione: nell'anno che si sta concludendo, "si sono concretizzati per il nostro paese rischi assai gravi, dinanzi ai quali non hanno retto i preesistenti equilibri politici". La ragione di questa clamorosa inadeguatezza, Napolitano l'ha individuata da tempo nel carattere esasperatamente partigiano ("hyperpartisan", ebbe a definirlo una volta) del confronto politico: "distorta dialettica tra maggioranza e opposizione", "clima aspramente divisivo", "irriducibile contrapposizione, ai limiti della incomunicabilità", "esasperazione patologica del conflitto tra governo, maggioranza e opposizione". Non avrebbe potuto esserci giudizio più severo e definitivo sul bipolarismo malato di questi anni, fondato sulla competizione, non tra proposte alternative di governo, entrambe protese alla conquista del "centro", inteso come cuore sociale e culturale del paese, ma tra "opposte opposizioni", entrambe in balia delle rispettive minoranze estreme, e per questo inadeguate a dar vita a quel durevole ciclo riformatore del quale da sempre l'Italia soffre e paga la mancanza.
E tuttavia, i gravi e drammatici problemi del paese, nel non meno problematico quadro europeo, non possono aspettare. Di qui l'urgenza di corrispondere subito, almeno ai primi capitoli di quella che Napolitano ha definito "un'Agenda per l'Italia", forse richiamando alla memoria quell'Agenda 2010 che il governo rosso-verde di Schröder e Fischer somministrò alla società tedesca, non senza pagarne responsabilmente il prezzo in termini di consenso, e che ha in questi anni consentito alla Germania di riproporsi come una delle più forti economie del mondo. L'Agenda per l'Italia ha bisogno oggi del governo Monti e del convinto e partecipe sostegno delle principali forze politiche in parlamento. Ma non potrà essere esaurita, nell'arco dei poco più che dodici mesi, che ci separano dalla fine della legislatura.
Per questo non è un diversivo, ma un'urgente necessità, interrogarsi sui lineamenti che dovrà assumere la "terza fase" della nostra storia repubblicana, quella che dovrà prendere l'avvio con la prossima legislatura. Perché è dalle decisioni politiche che prenderemo nei prossimi mesi, ma meglio sarebbe dire nelle prossime settimane, che quei lineamenti prenderanno forma: decisioni che riguardano due nodi, solo apparentemente non strettamente intrecciati tra loro. Mi riferisco, da un lato, al rapporto tra i partiti (in primo luogo il Partito democratico) e l'Agenda per l'Italia, che il governo Monti sta cercando di avviare a realizzazione; dall'altro, alle riforme istituzionali, a cominciare da quella della legge elettorale.
È infatti evidente che il rilancio del bipolarismo, un bipolarismo finalmente liberato dal condizionamento negativo del berlusconismo, presuppone la consapevole, convinta e determinata assunzione di responsabilità, da parte delle forze politiche che vorranno essere protagoniste della nuova fase, dell'Agenda sulla quale si è costituito il governo Monti. Resta aperta, naturalmente, la discussione sulle singole proposte del governo, ma non sull'orizzonte nel quale esse si collocano, quello della rimozione di quelle che Napolitano ha definito le "nostre antiche e recenti contraddizioni e insufficienze", condizione imprescindibile anche per tornare a dare un contributo autorevole ed efficace alla soluzione della crisi del progetto europeo.
Detto in modo ancora più chiaro e riferito direttamente a noi: buona parte della credibilità del Partito democratico, come guida di un'alleanza per il governo del paese nella prossima legislatura, si gioca in questa legislatura: perché dipende da quanto e come il Pd saprà concorrere, in modo attivo e responsabile, al successo del governo Monti, alle prese con la ineludibile Agenda per l'Italia.
Davanti a noi c'è anche un'altra strada, solo apparentemente più comoda, come molte scorciatoie che si rivelano in realtà vicoli ciechi. È quella di stabilire con il governo Monti un rapporto, per così dire, parassitario: lucrare il beneficio delle sue scelte difficili, senza assumercene, davanti al paese, fino in fondo, la responsabilità. È una via più comoda, perché ci offre l'apparente possibilità di rinviare ancora una volta il tempo delle scelte. Ma è una via che ci rinchiuderebbe nell'angusta prospettiva della rappresentanza di una parte minoritaria, per quanto ampia e organizzata, della società italiana e che comporterebbe la rinuncia all'ambizione di guidare il paese, proponendo la nostra credibile candidatura a portare a compimento, dal governo, l'Agenda per l'Italia.
Non è un caso che si torni a parlare, anche autorevolmente, nelle nostre file, di legge elettorale proporzionale: come se il superamento della seconda fase della Repubblica dovesse per forza condurci verso qualcosa di più simile alla prima, quando si poteva chiedere il voto, senza dover prospettare agli elettori, per usare di nuovo le parole di Napolitano, "l'alleanza tra partiti e la formula di governo che si considerano più appropriate nell'interesse del paese". Immaginare per l'immediato futuro dell'Italia un sistema politico multipolare, quale quello che oggi registrerebbe una legge proporzionale, equivale infatti a riconoscere che non esistono oggi le condizioni, per il PD, di proporsi agli elettori per la guida del paese.
Prima di rassegnarci a un esito come questo, sarebbe saggio provare a raccogliere, senza furbizie e settarismi, l'invito del presidente della Repubblica: "È necessario che i partiti facciano la loro parte, nella fase di transizione che si è avviata; la facciano rinnovandosi, aprendosi nuovamente alla società, acquisendo e valorizzando più fresche, giovani energie, ridefinendo e arricchendo le loro piattaforme ideali e programmatiche". Solo per questa via, la "terza fase" potrà consegnarci quel bipolarismo maturo, per costruire il quale decidemmo, quattro anni fa, di dar vita al Pd.