Ha ragione Enrico Letta, non c'è più un minuto da perdere. Nel pieno della bufera che ieri ha spazzato i mercati, portando il rendimento sui nostri titoli pubblici in zona default, il vicesegretario del PD ha detto che l'unica risposta, all'altezza del pericolo che corre il nostro paese, è un'approvazione lampo della legge di stabilità, seguita dalla immediata presa d'atto, da parte del presidente della Repubblica, delle dimissioni del presidente del Consiglio e dalla nomina, dopo un rapido giro di consultazioni, di un governo di responsabilità nazionale. Il PD si è mosso subito in questa direzione e con questo ritmo: il gruppo del Senato ha immediatamente chiesto e ottenuto la calendarizzazione in aula della legge di stabilità, col relativo maxiemendamento, nella giornata di venerdì prossimo, per poi passare la palla alla Camera per l'approvazione finale nella giornata di sabato.
A quel punto, come ha precisato in serata il presidente Napolitano, "o si formerà un nuovo governo che possa con la fiducia del parlamento prendere ogni ulteriore necessaria decisione o si scioglierà il parlamento per dare subito inizio a una campagna elettorale da svolgere entro i tempi più ristretti".
L'alternativa aperta, proposta dal Capo dello Stato, è costituzionalmente ineccepibile, oltre che politicamente realistica. Ma non può esserci dubbio alcuno su quale delle due strade debba essere scelta, in un passaggio così drammatico, dalle forze politiche che intendano mettere al di sopra di tutto l'interesse del paese.
Precipitare al voto anticipato significherebbe chiedere, a mercati sempre più nervosi, che stanno rapidamente perdendo ogni residua fiducia nella capacità dell'Italia di far fronte ai suoi impegni finanziari, di aspettare qualche mese, almeno tre da oggi, per sapere chi governa a Roma. E questo nell'ipotesi, tutt'altro che scontata, che le elezioni esprimano un governo: con questa legge elettorale, già di per sé devastante nel rapporto tra politica e società, con la nota divergenza dei premi di maggioranza tra Camera e Senato e col probabile articolarsi del sistema politico in tre poli, un esito incerto è più che possibile. E sarebbe una beffa che si aggiungerebbe al danno, il danno assai grave di aver perso mesi preziosi, trovarsi a quel punto obbligati a dar vita ad un governo di responsabilità nazionale assai simile, per non dire identico, a quello che si potrebbe varare oggi.
Ma è soprattutto sul piano politico che la corsa al voto anticipato appare come un grave errore. Perché non avverrebbe a valle del responsabile riconoscimento, da parte dei diversi schieramenti politici, di un'area di interesse nazionale da presidiare in modo condiviso. In Spagna è andata così, con l'approvazione consensuale, in agosto, di un pacchetto di misure anticrisi, a cominciare dall'inserimento in Costituzione del principio del pareggio strutturale del bilancio: i mercati hanno apprezzato e i titoli pubblici spagnoli sono oggi di gran lunga meno esposti dei nostri.
In Italia, chi vuole andare alle elezioni, a cominciare da Berlusconi, intende farlo per ragioni opposte: in nome di una caricatura selvaggia e primitiva del bipolarismo, quella che per diciassette anni ha contrapposto, in modo irriducibile, berlusconismo e antiberlusconismo, mobilitando formidabili energie politiche, sociali, culturali in una sorta di guerra civile fredda tra opposte opposizioni, anziché nella competizione matura e costruttiva tra alternative di governo, focalizzate sulla soluzione dei problemi del paese.
Ma non è da quelle parti, dalle parti dello scontro tra opposti populismi, che può essere trovata la via d'uscita dalla crisi economica e finanziaria che si sta mangiando il futuro dell'Italia. Tutto al contrario, uscire dalla crisi finanziaria e uscire dal berlusconismo (e dall'antiberlusconismo) sono due facce della stessa impresa: quella di dar vita in Italia, finalmente, ad un bipolarismo mite e maturo, fondato sulla competizione tra avversari e non più tra nemici. E concentrato, fin dalla fase della costruzione dei partiti e delle alleanze, sulla soluzione innovativa dei problemi del paese.
Per questo abbiamo bisogno di un governo di responsabilità nazionale. E di un PD unito e determinato a sfidare il centrodestra ad aprire davvero una fase nuova. Non c'è un'altra strada, se vogliamo salvare l'Italia.