Oct
28
2011
Criticare non basta
Articolo pubblicato su "Il Foglio"
  Il Consiglio europeo di mercoledì sera ha deciso di dotare l'Unione (e la zona Euro in particolare) di strumenti di stabilizzazione credibili, per meccanismi decisionali e quantità di risorse mobilitabili: una sorta di garanzia di ultima istanza, rispetto ai debiti sovrani, che inverta il sistema delle aspettative sui mercati. Sappiano gli investitori, ha detto in sostanza il Consiglio, che l'Unione monetaria è forte, non è in discussione e intende difendersi sui mercati con tutta la forza, di per sé immensa (l'Europa è il più grande mercato del mondo), di cui dispone. La condizione di sostenibilità, sia economica che politica, di questa operazione, è una convincente politica di risanamento di bilancio e di riforme strutturali finalizzate alla crescita, da parte di tutti i paesi della zona Euro, a cominciare dal più grande e più malato di tutti, il nostro paese: troppo grande per fallire, ma anche troppo grande per poter essere salvato, se non si impegna a salvarsi da sé.

Dopo una faticosa e travagliata negoziazione informale tra Bruxelles e Roma, il Consiglio europeo ha "accolto con favore i piani dell'Italia per le riforme strutturali volte al rafforzamento della crescita e la strategia per il risanamento del bilancio", contenuti nella lettera di Berlusconi. Le parole sono importanti, perché presumibilmente soppesate con grande cura. Dunque, agli occhi di Bruxelles e delle altre capitali dell'Euro, a cominciare da Berlino e Parigi, quelli presentati dal governo italiano sono "piani", che devono essere tradotti "con urgenza", recita sempre il documento, in un "calendario ambizioso di riforme": le date frettolosamente buttate giù dagli estensori della lettera non sono evidentemente considerate dai nostri partner un'agenda precisa, della quale restano in impaziente attesa.

Dall'Agenda Italia, Commissione e Consiglio europeo si aspettano dunque un calendario preciso e affidabile, che contenga cinque obiettivi precisi: 1) il pareggio di bilancio entro il 2013, il rientro dal debito a partire dal 2014 e l'inserimento di un vincolo costituzionale in questo senso entro il 2012; 2) misure per la crescita attraverso la riduzione del carico burocratico e la liberalizzazione di servizi pubblici e professioni; 3) una riforma della legislazione del lavoro, comprese le norme sui licenziamenti, che si accompagni tuttavia ad un rafforzamento del sistema di ammortizzatori sociali; 4) un piano particolareggiato di innalzamento dell'età pensionabile; 5) una ridefinizione dei programmi di utilizzo dei fondi strutturali, "concentrando l'attenzione su istruzione, occupazione, agenda digitale e ferrovie/reti", in modo da sostenere la crescita, in particolare nel Mezzogiorno.

Il governo Berlusconi ha garantito ai partner europei di disporre della determinazione e della coesione necessarie a definire in tempi rapidi l'agenda e a portarla a compimento nel breve volgere di pochi mesi. L'eloquente silenzio del ministro Tremonti e lo stato confusionale nel quale versano sia il Pdl che la Lega, per non parlare della corte di miracoli di partitini che li circondano, sono ragioni più che sufficienti per sostenere, come fanno il PD e le altre forze di opposizione, che si tratti solo di una ben congegnata manovra, finalizzata solo a guadagnare tempo.

Sarebbe tuttavia un errore, a mio modo di vedere, impostare su questo registro il confronto e, se necessario, lo scontro politico e parlamentare con il governo. Perché se può essere un bluff la lettera di Berlusconi (un piano che aspetta ancora un vero calendario, dicono i nostri partner), non può essere considerato tale il documento finale del Consiglio europeo, che non solo impegna l'Italia ad agire presto e bene su quei cinque punti, ma addirittura fa dipendere dalla credibilità dell'azione italiana la stessa efficacia del piano di stabilizzazione dell'euro. Dunque, quei cinque punti impegnano anche noi e non potremo sottrarci dal dire agli italiani e agli altri europei, in modo dettagliato, come pensiamo debbano essere perseguiti. Così si comporta quella che Bersani ama definire, giustamente, una "forza di governo temporaneamente all'opposizione".

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