Jul
12
2011
Un governo del Presidente
Articolo pubblicato su "Europa"
Mentre scriviamo queste note, piazza Affari perde quasi il 4 per cento, con i titoli bancari in caduta libera, mentre il famigerato spread tra i nostri Btp e i Bund tedeschi ha sfondato la soglia psicologica dei 300 punti base, 3 punti percentuali tondi di interessi da pagare in più per finanziare il nostro debito: erano un punto e mezzo fino ad un mese fa, nel giro di qualche settimana abbiamo aggiunto al conto da pagare ai mercati altri venti miliardi, più o meno mezza manovra. Rischiamo l'innesco di una spirale di tipo greco: manovre che inseguono la crescita dei tassi senza riuscire a raggiungerla.
La prima domanda che ci si pone dinanzi a una tempesta del genere è quali ne siano le cause. Non sembrano esserci molti margini di dubbio. C'è un contesto generale che vede il crescente affanno dell'Occidente, a cominciare dagli Stati Uniti, a gestire i debiti sovrani che ha lasciato crescere negli anni precedenti la crisi del 2007 e che proprio a causa della crisi hanno conosciuto un'impennata che si sta rivelando insostenibile.
In questo contesto di elevata turbolenza, l'Italia è uno dei paesi più a rischio, per due ragioni economiche di tipo strutturale, che sono, come sanno ormai anche i bambini, la dimensione del debito (120 per cento del pil) e il ritmo di crescita dell'economia, da troppi anni troppo basso.
A queste due ragioni strutturali, se ne aggiungono due di carattere politico, che spiegano la vera e propria crisi di fiducia che sta colpendo l'Italia. La prima è l'evidente inadeguatezza del governo: a cominciare dal presidente del consiglio, mai come in questo momento clamorosamente ed evidentemente inadatto al compito, non solo di guidare il paese, ma perfino di rivolgergli la parola.
Fino al ministro dell'economia, nei mesi scorsi unico possibile punto di riferimento governativo per i partner europei e per i mercati, oggi dimezzato nella sua autorevolezza a causa della ennesima brutta storia di miserabili illeciti arricchimenti personali, stavolta nel suo ristretto entourage.
La seconda ragione politica che spinge in alto il rischio Italia è l'inadeguatezza della manovra correttiva, finalizzata al raggiungimento, entro il 2014, del pareggio strutturale del bilancio, come concordato con la commissione e il consiglio europeo: della quarantina di miliardi previsti per raggiungere l'obiettivo, ne mancano all'appello ancora quindici, affidati ad una successiva delega fiscale, mentre la struttura stessa dei 25 miliardi a cui si riduce la manovra appare fragile, iniqua e troppo spostata sul versante delle nuove entrate, anziché sulla riduzione strutturale della spesa.
La via maestra per far uscire l'Italia da un'emergenza finanziaria che, dato il peso del nostro paese, potrebbe risultare devastante per l'Europa nel suo insieme, è chiaro quale possa essere: serve subito un nuovo governo, sostenuto da tutte le forze parlamentari responsabili dinanzi al paese, guidato da una personalità indicata dal capo dello stato che sia in grado, con la sua autorevolezza, di spezzare la spirale greca nella quale l'Italia sta rischiando di precipitare e di riconquistare la fiducia degli italiani, dei partner europei e dei mercati, varando una manovra proporzionata alla gravità della situazione.
Come ha dimostrato la nomina di Mario Draghi alla guida della Bce, l'Italia dispone di personalità credibili in grado di adempiere a questo alto servizio alla nazione. Le forze politiche dovrebbero offrirgli piena fiducia e collaborazione, non solo sostenendo una manovra rafforzata, ma anche mettendo in campo quelle riforme costituzionali ed elettorali che consentano al paese di affrontare la scadenza della legislatura potendo sperare, come ha detto domenica Prodi, di riprendere il cammino interrotto verso un bipolarismo maturo e una compiuta democrazia dell'alternanza.
Non sappiamo se la speranza in una svolta politica, che metta le istituzioni democratiche in grado di affrontare la drammaticità della situazione, possa essere fondata. Se dovessimo scommettere sul senso dello stato di Berlusconi, per il quale probabilmente l'unica vera emergenza, in queste giornate, è quella che ha colpito i suoi beni, dovremmo temere che solo un precipitare della situazione verso livelli non più gestibili potrebbe spingerlo ad un atto di responsabilità, a quel punto fuori tempo massimo. Bene hanno fatto quindi Bersani e Casini e lo stesso Di Pietro a raccogliere, per così dire, "unilateralmente", l'appello al senso di responsabilità e alla coesione nazionale lanciato con nuova insistenza da parte del capo dello stato.
E a tradurlo, come si sta cercando di fare in queste ore in senato, in un pacchetto di proposte emendative volte a rafforzare al tempo stesso la credibilità sui mercati e la sostenibilità sociale della manovra. È un contributo dell'opposizione che rappresenta un investimento per il paese: sul terreno economico, ma anche su quello politico.
La prima domanda che ci si pone dinanzi a una tempesta del genere è quali ne siano le cause. Non sembrano esserci molti margini di dubbio. C'è un contesto generale che vede il crescente affanno dell'Occidente, a cominciare dagli Stati Uniti, a gestire i debiti sovrani che ha lasciato crescere negli anni precedenti la crisi del 2007 e che proprio a causa della crisi hanno conosciuto un'impennata che si sta rivelando insostenibile.
In questo contesto di elevata turbolenza, l'Italia è uno dei paesi più a rischio, per due ragioni economiche di tipo strutturale, che sono, come sanno ormai anche i bambini, la dimensione del debito (120 per cento del pil) e il ritmo di crescita dell'economia, da troppi anni troppo basso.
A queste due ragioni strutturali, se ne aggiungono due di carattere politico, che spiegano la vera e propria crisi di fiducia che sta colpendo l'Italia. La prima è l'evidente inadeguatezza del governo: a cominciare dal presidente del consiglio, mai come in questo momento clamorosamente ed evidentemente inadatto al compito, non solo di guidare il paese, ma perfino di rivolgergli la parola.
Fino al ministro dell'economia, nei mesi scorsi unico possibile punto di riferimento governativo per i partner europei e per i mercati, oggi dimezzato nella sua autorevolezza a causa della ennesima brutta storia di miserabili illeciti arricchimenti personali, stavolta nel suo ristretto entourage.
La seconda ragione politica che spinge in alto il rischio Italia è l'inadeguatezza della manovra correttiva, finalizzata al raggiungimento, entro il 2014, del pareggio strutturale del bilancio, come concordato con la commissione e il consiglio europeo: della quarantina di miliardi previsti per raggiungere l'obiettivo, ne mancano all'appello ancora quindici, affidati ad una successiva delega fiscale, mentre la struttura stessa dei 25 miliardi a cui si riduce la manovra appare fragile, iniqua e troppo spostata sul versante delle nuove entrate, anziché sulla riduzione strutturale della spesa.
La via maestra per far uscire l'Italia da un'emergenza finanziaria che, dato il peso del nostro paese, potrebbe risultare devastante per l'Europa nel suo insieme, è chiaro quale possa essere: serve subito un nuovo governo, sostenuto da tutte le forze parlamentari responsabili dinanzi al paese, guidato da una personalità indicata dal capo dello stato che sia in grado, con la sua autorevolezza, di spezzare la spirale greca nella quale l'Italia sta rischiando di precipitare e di riconquistare la fiducia degli italiani, dei partner europei e dei mercati, varando una manovra proporzionata alla gravità della situazione.
Come ha dimostrato la nomina di Mario Draghi alla guida della Bce, l'Italia dispone di personalità credibili in grado di adempiere a questo alto servizio alla nazione. Le forze politiche dovrebbero offrirgli piena fiducia e collaborazione, non solo sostenendo una manovra rafforzata, ma anche mettendo in campo quelle riforme costituzionali ed elettorali che consentano al paese di affrontare la scadenza della legislatura potendo sperare, come ha detto domenica Prodi, di riprendere il cammino interrotto verso un bipolarismo maturo e una compiuta democrazia dell'alternanza.
Non sappiamo se la speranza in una svolta politica, che metta le istituzioni democratiche in grado di affrontare la drammaticità della situazione, possa essere fondata. Se dovessimo scommettere sul senso dello stato di Berlusconi, per il quale probabilmente l'unica vera emergenza, in queste giornate, è quella che ha colpito i suoi beni, dovremmo temere che solo un precipitare della situazione verso livelli non più gestibili potrebbe spingerlo ad un atto di responsabilità, a quel punto fuori tempo massimo. Bene hanno fatto quindi Bersani e Casini e lo stesso Di Pietro a raccogliere, per così dire, "unilateralmente", l'appello al senso di responsabilità e alla coesione nazionale lanciato con nuova insistenza da parte del capo dello stato.
E a tradurlo, come si sta cercando di fare in queste ore in senato, in un pacchetto di proposte emendative volte a rafforzare al tempo stesso la credibilità sui mercati e la sostenibilità sociale della manovra. È un contributo dell'opposizione che rappresenta un investimento per il paese: sul terreno economico, ma anche su quello politico.
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