1) Bravo Tremonti per il programma di stabilità 2011-2012, che prevede di riportare il deficit entro la soglia del 3 per cento; naturalmente vogliamo vedere i fatti, in particolare sul fronte entrate straordinarie, tipo lotta all'evasione fiscale, sul quale ti sei dato obiettivi molto ambiziosi;
2) Cari Bossi e Berlusconi, per le vostre richieste di ridurre le tasse non c'è un centesimo, perché non solo non potete permettervi alcuna manovra in deficit, ma col debito pubblico che avete, qualunque avanzo di bilancio deve essere utilizzato per ridurre quell'immenso fardello, che rende vulnerabile l'Italia e quindi, come insegna la Grecia, l'Europa tutta;
3) Caro Tremonti, per il 2013-2014 non basta l'impegno a raggiungere il pareggio strutturale del bilancio (deficit zero), vogliamo vedere, entro il prossimo mese di ottobre (sì, hai capito bene, ottobre 2011), un piano di riduzione strutturale della spesa, messo nero su bianco e approvato dal Parlamento, esattamente come avevano previsto e proposto i senatori del PD con la relazione di minoranza di Enrico Morando;
4) Caro Berlusconi, hai ragione a dire che per riportare deficit e debito sotto controllo serve la crescita, ma dato che a questo scopo non puoi utilizzare la spesa pubblica, devi farti venire altre idee; io te ne propongo cinque: fai subito la riforma Ichino del mercato del lavoro, aumenta gli incentivi alla contrattazione aziendale di produttività, apri alla concorrenza il settore dei servizi con forti liberalizzazioni, incentiva gli investimenti privati in ricerca e innovazione, costringi le regioni a utilizzare meglio le risorse europee.
La Raccomandazione di Bruxelles ha come destinatario il Governo Berlusconi. Ma sia pure, diciamo così, "per conoscenza", anche il centrosinistra, anche il PD, figura nell'indirizzario. Fuor di metafora, anche il nostro partito è chiamato a dire la sua sui quattro punti di Bruxelles, qualunque sia lo scenario nel quale potremo trovarci nelle prossime settimane.
Non sfugge a nessuno infatti come la risposta alle quattro richieste europee sia il passaggio centrale, tanto impervio quanto ineludibile, che la politica italiana deve affrontare nei prossimi tre-quattro mesi. Un passaggio che, assai probabilmente, ridefinirà posizionamenti, ruoli e rapporti di forza per molti anni a venire. Un po' come accadde quasi vent'anni fa, nel 1992-1993, nel pieno di un'altra crisi economica e finanziaria, quella che si portò via la Prima Repubblica e favorì la discesa in campo di Berlusconi.
La prima cosa da capire è se il governo ha il fisico per reggere uno sforzo politico di queste dimensioni. Tutto quel che si vede ogni giorno farebbe pensare di no. Berlusconi e Bossi hanno ritrovato la sintonia dei momenti migliori nel chiedere all'unisono a Tremonti di allontanare da loro l'amaro calice. Ma quello dei due vecchi leader, in avanzato stato di declino, sembra più un lamento che un ruggito. Sanno di non avere alternative: o fanno loro la manovra, arrendendosi docilmente al "commissario" Tremonti, o dovrà farla qualcun altro, cioè un altro governo, magari guidato dallo stesso Tremonti.
Questo secondo scenario, un nuovo governo, più o meno "tecnico", proposto al Parlamento dal Capo dello Stato, in caso di crisi del governo Berlusconi, è al momento assai improbabile, ma non impossibile, dato lo stato di salute di Pdl e Lega: sarebbe in ogni caso un governo pensato proprio per fare la manovra prima di andare al voto, un governo che potrebbe chiamarsi Tremonti, o invece Monti, a seconda del grado di coinvolgimento dell'attuale maggioranza di centrodestra.
Terzo scenario, non si trova in Parlamento nessuna maggioranza in grado di sostenere la manovra e il Quirinale è costretto a mandare il paese al voto: la manovra sarebbe comunque al centro della campagna elettorale, come è avvenuto poche settimane fa in Portogallo, perché la posta in gioco alle elezioni sarebbe quella di selezionare una maggioranza, un governo e un leader in grado di guidare il paese in questo difficile passaggio.
Qualunque dei tre astrattamente possibili sarà lo scenario che si verificherà nelle prossime settimane, è del tutto evidente che il PD non potrà né girarsi dall'altra parte, né parlare d'altro. Ci piaccia o no, saremo chiamati dal paese a dire la nostra. E non potremo sottrarci: né se saremo ancora all'opposizione, perché il paese dovrà cogliere dietro i nostri "no" alla manovra di Berlusconi e Tremonti il nostro diverso e migliore "sì" alle responsabilità dell'Italia in Europa; né, tanto meno, se dovremo confrontarci in Parlamento con un nuovo governo, ad hoc e a termine, o se dovremo invece affrontare una campagna elettorale, inevitabilmente focalizzata su questi temi.
Comunque sia, non sarà un passaggio facile, perché dovremo riuscire a saldare in una sintesi nuova il nostro europeismo e la nostra cultura del rigore finanziario, cha abbiamo appreso da maestri come Nino Andreatta e Tommaso Padoa-Schioppa, per citare solo amici che non sono più tra noi, con l'ascolto e la capacità di rappresentanza di una società italiana che, stanca di anni di berlusconismo, oggi sembra cercare protezione e sicurezza, assai più che competizione e meritocrazia. Anche noi, come Obama, avremo da sudare per conciliare Wall Street con Main Street.
E tuttavia, non possiamo non leggere come un segno dei tempi, come un incoraggiamento e insieme una sfida, il fatto incontestabile che le proposte che la Commissione rivolge formalmente al governo Berlusconi, ma sostanzialmente all'Italia, sono in effetti le nostre proposte, sono in gran parte proposte "Made in PD". È la prova che abbiamo nella nostra cassetta degli attrezzi tutti gli arnesi che servono a riparare l'Italia e a rimetterla in marcia. La prova che oltre agli attrezzi, abbiamo anche il coraggio di usarli, quella la dobbiamo dare noi.