Jun
04
2011
Pił gazebo per tutti
Cosa ci guadagna il Paese se il Pdl decide di far sue le primarie del Pd Articolo pubblicato sul Foglio
  Un anno fa, dopo le elezioni regionali, il sindaco "a sorpresa" di Forlì, afferma­tosi un anno prima grazie alle primarie del Partito democratico, proponeva a Lina Palmerini sul Sole 24 Ore una similitudine interessante che vale la pena di rispolverare anche per capire davvero dove può arriva­re il dibattito sviluppatosi m questi giorni sul tema delle primarie nel Pd. Diceva Ro­berto Balzani: "Il Pd è come un'impresa familiare alla seconda generazione. Deve de­cidere se chiudersi nelle sue roccaforti e mantenere la proprietà di famiglia, o se crescere rischiando, innovando". L'immagi­ne proposta da Balzani vale ancora per il Pd, ma non è inappropriata neppure per descrivere il passaggio dinanzi al quale si trova oggi il Pdl. Vale ancora per il Pd, per due ragioni. La prima ha a che fare con il rapporto tra proposta politica e struttura dei consensi. Le ultime elezioni ammini­strative confermano un dato storico, il Par­tito democratico (e il centrosinistra del quale il partito guidato da Bersani rappre­senta l'asse portante) ha una consistenza elettorale da "seconda forza", che riesce a diventare prima quando l'avversario cede il passo a causa dell'astensionismo. II proble­ma tattico del Pd è approfittare del cedimento dell'avversario mobilitando il pro­prio elettorato nella misura necessaria a prevalere. In questo senso, queste elezioni amministrative sono state un grande suc­cesso tattico. Ma l'obiettivo strategico resta ancora lontano, se per esso si intende il riallineamento elettorale, ovvero uno spo­stamento significativo di elettori, che oggi oscilla tra voto al centrodestra e astensio­ne, verso un voto al Partito democratico e al centrosinistra.

Per produrre quello spostamento, il Pd deve "innovare e quindi rischiare", per dir­la con Balzani

Deve innovare la sua proposta politica, affrontando in modo non reticente il nodo di fondo dinanzi al quale si trova oggi il paese: come ristrutturare la spesa pubbli­ca, in modo da liberare risorse per allen­tare il cappio del debito e dare ossigeno al­la crescita della produzione e dell'occupa­zione.

Sì tratta, come è evidente, di una innova­zione politica rischiosa sul piano elettorale, perché stressa aree non marginali della costituency democratica. D'altra parte, il ri­schio va corso, se non si vuole ricadere nel­la trappola del "riformismo dall'alto"' vin­cere le elezioni grazie alla mobilitazione propria e alla smobilitazione altrui e poi trovarsi a prendere decisioni impopolari presso il proprio stesso elettorato. Qui en­tra in gioco il secondo aspetto, la forma-partito. Le primarie, quelle per seleziona­re il leader-candidato-premier, sono uno strumento imprescindibile per un partito che voglia essere riformista, in quanto mi­rano a far emergere la proposta di governo e la leadership che la incarna, da un con­fronto pubblico alla luce del sole e non da riti unanimistici perché reticenti. Il model­lo Torino è da questo punto di vista quello sul quale più vale la pena riflettere.


 A costo di rischiare

Ma la similitudine con l'impresa familia­re alla seconda generazione si attaglia in modo evidente anche al difficile passaggio dinanzi al quale si trova il Pdl. Più forte del Partito democratico sul mercato elettorale, se vuole mantenere il primato e resistere alla sfida competitiva che il Partito demo­cratico potrebbe (lo spero) decidersi di lan­ciare, deve anch'esso "innovare e rischia­re". Innanzi tutto sul terreno programma­tico, incalzando il ministro del Tesoro Giu­lio Tremonti dal lato opposto a quello fino­ra frequentato: abbandonare la tattica dei "tagli lineari", ma non per allargare i cor­doni della borsa, cioè tornando ad un im­possibile deficit-spending, ma in favore di una vera, strutturale, spending-review. An­che per il Pdl, un salto di qualità di questa natura, oltre il populismo berlusconiano, non si può realizzare con le procedure del­l'azienda familiare, ma solo con quelle del­la contendibilità sul mercato. Ci si stanno avvicinando, ma non ci sono ancora arriva­ti. Si potrà dire che il salto è compiuto, so­lo quando ì vari pretendenti, anziché dire, "se Silvio fa un passo indietro, io ci sono", cominceranno a dire, "con tutto il rispetto, caro Silvio, io ci sono e ti sfido". Anche per il Pdl si tratta di un passaggio difficilmen­te aggirabile. Perché le prossime elezioni, al più tardi nel 2013, le vincerà chi avrà sa­puto meglio innovare, anche a costo di ri­schiare.

0 commenti all'articolo - torna indietro

(verrà moderato):

:

:

inizio pagina