Apr
19
2011
Dove ci porta l'isolazionismo della Lega
Articolo pubblicato su "Europa"
  La Lega sta imponendo al governo la sua visione di politica estera. E' una visione "pacifista", ma di un pacifismo che è la negazione dell'articolo 11 della Costituzione. "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali", recita il primo periodo di quello storico articolo. Ma il secondo, distinto dal primo da un semplice punto e virgola, si affretta ad aggiungere: "consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo".

Dunque, il pacifismo della Costituzione è un pacifismo "interventista": l'Italia è impegnata a promuovere un ordine internazionale basato sulla giustizia e sulla pace. E lo strumento per realizzare questo fine è la limitazione della sovranità degli Stati, la sua devoluzione a organizzazioni internazionali come l'Onu, su scala planetaria, e l'Unione europea, su scala regionale. Una devoluzione graduale, a favore di organizzazioni imperfette e perfettibili, ma operata nella convinzione che questa sia l'unica via sicura, proprio perché lungimirante, per la stessa difesa e affermazione del nostro interesse nazionale.

Il pacifismo della Lega è invece un pacifismo neutralista e isolazionista. Non è il pacifismo attivo dei "costruttori di pace", di chi, come il padre Cristoforo, ripudia la violenza in nome della forza della giustizia, ma quello rinunciatario di chi, come don Abbondio, chiede solo di essere "lasciato in pace"; di chi pensa che dalle relazioni internazionali possano derivare al nostro paese solo problemi, se non pericoli e minacce, e che l'unica politica estera utile sia quella strettamente necessaria a negoziare misure di chiusura e di protezione dei nostri interessi da un mondo ostile.

La politica estera che la Lega sta imponendo al governo è tuttavia non solo moralmente discutibile (e, almeno dal mio punto di vista, riprovevole), ma è anche e soprattutto una politica estera contraria all'interesse nazionale dell'Italia. In un mondo sempre più interdipendente, chi pensa di isolarsi, nell'illusione di meglio proteggersi, finisce per diventare marginale e quindi per subire le decisioni (e gli interessi) altrui: un principio che vale per le grandi potenze, a maggior ragione per le potenze medie come l'Italia.

La politica estera isolazionista che la Lega sta imponendo al governo sta provocando e alimentando tensioni con entrambe le comunità internazionali con le quali e nelle quali l'Italia si trova a vivere e tra le quali la storia e la geografia le suggerirebbero di esercitare una funzione di ponte, di preziosa (e potenzialmente assai redditizia) mediazione: il Mediterraneo e l'Europa.

Sul dossier mediterraneo, capitolo Libia in testa, la Lega guida il fronte del rimpianto e del risentimento. Rimpianto per un Ancien régime che si sta sgretolando e che rappresentava una stabilità funzionale ai nostri interessi immediati: geopolitici, perché quelli ora entrati in crisi erano tutti regimi "moderati", cioè filo-occidentali, ostili al fondamentalismo e al terrorismo; economici, perché ci garantivano forniture energetiche certe; e di sicurezza, perché avevano posto una barriera, non importa quanto rispettosa dei diritti umani, al flusso migratorio verso le nostre rive. Il rimpianto genera risentimento nei riguardi di chi è accusato di aver minato quella stabilità: le organizzazioni internazionali, le culture politiche democratiche (a cominciare dalla dottrina Obama) e in definitiva i popoli arabo-islamici come tali. Si tratta di sentimenti comprensibili. Ma si tratta anche, in definitiva, di sentimenti irrazionali e irragionevoli. Ammesso e non concesso che sia da rimpiangere, l'Ancien régime arabo-islamico sta morendo e non tornerà più. E' quindi nostro preciso interesse nazionale schierare l'Italia in prima fila tra le nazioni impegnate per la costruzione di un nuovo ordine di pace e di giustizia nel Mediterraneo, dal Marocco al Medio Oriente, e poi nel Golfo fino all'Afghanistan: facendo leva sulla legalità internazionale e sulle organizzazioni che operano per promuoverla e sostenendo i movimenti che rivendicano libertà e democrazia per i popoli. E' infatti nostro interesse nazionale che il Mediterraneo diventi una vasta area di pace e di sviluppo, nella giustizia e nella democrazia: per evidenti ragioni economiche (pensiamo agli effetti positivi sulla crescita del nostro Mezzogiorno) e politiche (in termini di crescita di ruolo dell'Italia in un quadro di nuova centralità dell'area mediterranea).

Ma la politica estera isolazionista che la Lega sta imponendo al governo sta facendo pagare un prezzo salato anche nel rapporto dell'Italia con l'Europa. Dati i trend demografici consolidati, per mantenere gli attuali livelli di crescita economica, l'Europa avrà bisogno, entro il 2050, di altri 20 milioni di immigrati in età da lavoro, da aggiungere ai 20 milioni attuali. Si tratta di una sfida tanto gigantesca quanto ineludibile, dinanzi alla quale il problema dei 20 mila migranti tunisini di queste settimane impallidisce fino ad apparire ridicolo. E' evidente che l'attuale quadro normativo-istituzionale e politico-culturale europeo è del tutto inadeguato a sostenere un'impresa di questa portata: il quadro normativo-istituzionale, perché distingue in modo difficilmente gestibile i rifugiati richiedenti asilo dai migranti economici e affida solo i primi alle istituzioni comunitarie, mentre lascia agli Stati nazionali la competenza esclusiva sui secondi; e il quadro politico-culturale, perché in ogni paese europeo l'immigrazione attuale e la paura di quella futura stanno ingrossando i consensi a formazioni di destra xenofoba che finiscono per condizionare, in termini di chiusura, di respingimenti, di riaccompagnamenti, le politiche di tutti i governi.   

L'Italia dovrebbe essere uno dei paesi maggiormente interessati all'evoluzione di un quadro europeo tanto inadeguato a gestire una sfida così grande e importante. E dovrebbe quindi proporsi come capofila di un fronte di paesi impegnati per una sua coraggiosa e concreta riforma. Sul piano normativo-istituzionale, procedendo ad una effettiva comunitarizzazione di tutta la materia delle frontiere esterne e dell'immigrazione. E sul piano politico-culturale, passando dalla cultura della chiusura, che alimenta la clandestinità e di nuovo la chiusura, in una spirale regressiva, ad una cultura della integrazione nella sicurezza, attraverso la mobilità organizzata: tra i paesi europei e con i paesi di origine.

Ancora una volta, il nostro interesse nazionale coincide, non con la difesa gelosa di una sovranità da esercitare in solitudine, ma con la sua devoluzione ad un ordine internazionale più definito e strutturato. Il Parlamento europeo ha cominciato a muoversi in questa direzione, approvando all'unanimità, il 5 aprile scorso, una importante risoluzione, della quale è stato relatore un italiano: Fiorello Provera, uno degli uomini migliori della Lega Nord. E' la prova che una rotta diversa è possibile, per l'Europa e per l'Italia. E forse perfino per la Lega.

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