L'atteggiamento tutt'altro che anti-italiano degli insorti del Consiglio nazionale libico di Bengasi ha aiutato il governo a ritrovare coraggio. E a capire che l'unico modo per difendere l'interesse nazionale è quello di ancorarlo ad una visione lungimirante di politica estera, che investa sulle energie di cambiamento, anziché sulla conservazione di un ormai indifendibile status quo. Come ha saputo fare Obama, grazie alla dottrina proposta nel suo discorso del 2009 all'Università del Cairo, con la quale ha promesso sostegno alla democrazia, senza indebite ingerenze o "esportazioni".
Quello in atto nel mondo arabo-islamico è in effetti un cambiamento vero e profondo, fondato su una radicale revisione del giudizio sulla globalizzazione. L'attentato dell'11 settembre era stato il tragico, estremo frutto di un'opposizione del mondo arabo-islamico ad una globalizzazione vista allora come americanizzazione forzata del mondo. Ma le cose sono andate in modo assai diverso: la globalizzazione si è rivelata, per dirla con Fareed Zakaria, come "the rise of the rest", l'ascesa degli altri, a cominciare da Cina, India, Brasile, e il ridimensionamento, almeno relativo, dell'Occidente atlantico. In un mondo divenuto multipolare, i moti popolari di questa inaspettata "primavera araba" esprimono ora la volontà del mondo arabo-islamico di uscire dall'auto-isolamento, di rientrare in gioco, di trovare il suo posto nella e non più contro la globalizzazione. Ma, per l'appunto, il suo posto, conquistato in proprio, non regalato da altri.
L'arroccamento di Gheddafi ha malamente complicato la situazione, proponendo il drammatico dilemma tra una solidarietà con i combattenti per la libertà, che può esporre ai rischi militari e soprattutto politici di una nuova ingerenza, regalando ai dittatori e agli islamisti formidabili armi di propaganda, e il rigoroso rispetto della legalità internazionale, che può costare l'alto prezzo morale di un abbandono del popolo libico nelle mani del tiranno di Tripoli. Comprensibilmente gli Stati Uniti, la Nato e con loro l'Europa e l'Italia sperano e lavorano per la quadratura del cerchio, che può realizzarsi solo al Consiglio di sicurezza dell'Onu, d'intesa con la Lega Araba. Se così non sarà, come molti segnali fanno temere, ci aspettano decisioni molto difficili, che domanderanno un di più di solidarietà euroatlantica (e non anacronistici protagonismi di singoli paesi) e di responsabilità e unità nazionale.