Feb
23
2011
La linea del 'do not disturb Gheddafi ' ha isolato l'Italia nel mondo
Intervento in Aula nella discussione a seguito della informativa del Ministro degli Affari Esteri sulla situazione in Libia
  Signor Ministro, questa mattina lei ha affermato alla Camera e poi ha ripetuto poco fa anche qui, in Senato, che di fronte a quello che sta accadendo in Libia, di fronte all'orrore di un dittatore disperato che bombarda il suo stesso popolo mietendo centinaia di vittime e in un crescendo paranoico sogna di trascinare la Libia e il mondo intero nel suo destino di morte, la misura è colma: ogni limite è stato oltrepassato e a questo punto - uso le sue parole - non possiamo non levare la nostra voce. Mi faccia dire, signor Ministro, che era ora. Finalmente!

Accogliamo le sue parole con sincero sollievo perché segnano un punto di svolta nella linea tenuta fin qui dal Governo: si è trattato, signor Ministro, di una linea sbagliata che non solo ci ha impedito di capire cosa stava accadendo nel nostro cortile di casa, nel Mediterraneo, ma ci ha anche portato - questa è la dura verità - sulla soglia di un vero e proprio isolamento internazionale. Signor Ministro, parlo di un isolamento politico e perfino morale, una condizione che non avevamo mai conosciuto nella storia della Repubblica. In questo caso, non c'entra niente la politica di buon vicinato con la Libia, che certamente ha rappresentato un elemento di continuità della nostra politica estera. Come ebbe a dire tante volte il presidente Andreotti, gli amici si possono scegliere, i vicini no. E la Libia è un nostro vicino con il quale, se non vogliamo fare la guerra, dobbiamo fare la pace.

Ma un conto è il buon vicinato, un altro conto è l'umiliante esaltazione di un dittatore. Un conto è il realismo politico, quello stesso realismo politico che ci ha portato a realizzare il Trattato di amicizia con un Paese vicino, un altro conto è indicare la Libia di Gheddafi come modello per il mondo arabo, come lei ha fatto poco più di un mese fa, signor Ministro, a Governo tunisino già caduto, in piena crisi nel Mediterraneo, in una sconcertante intervista al «Corriere della Sera».

Aver tenuto caparbiamente quella linea indifendibile, la linea che in tutto il mondo è diventata del "do not disturb", del "non disturbiamo" Gheddafi, ha nuociuto gravemente alla credibilità dell'Italia. Su quella linea siamo stati messi in minoranza in Europa nelle stesse ore nelle quali il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e la stessa Lega araba, come lei ha ricordato, pronunciavano parole di condanna durissima nei confronti del regime libico e invocavano la responsabilità di proteggere le popolazioni intimando il pieno rispetto del diritto delle genti. Ora quella linea è stata abbandonata e dobbiamo voltare pagina per affrontare con serietà e responsabilità, ciascuno nel proprio ruolo, ma insieme, le sfide del presente e del futuro.

In primo luogo, le sfide del presente, che assumono le vesti di una drammatica crisi di emergenza, sul piano umanitario, innanzitutto. C'è certo il problema degli italiani in Libia, ma c'è ancora di più il problema di migliaia di libici che in questo momento vivono una condizione drammatica, sotto il fuoco dello stesso esercito del loro Paese, al comando di un dittatore che non si fa scrupolo di colpire la sua stessa popolazione. C'è un'emergenza energetica, che potrebbe interessare il nostro Paese. C'è indubbiamente un'emergenza economica. C'è soprattutto il tema di un'accoglienza e di un soccorso a profughi e rifugiati. Profughi e rifugiati, signor Ministro, non immigrati. È una fattispecie profondamente diversa quella con la quale avremo a che fare nelle prossime settimane e mesi.

Noi condividiamo, signor Ministro, la sua proposta di confrontare idee e proposte per la gestione dell'emergenza in Parlamento, perché questa è la sede naturale nella quale maggioranza e opposizione si confrontano e collaborano nell'interesse del Paese, utilizzando a tal fine le Commissioni affari esteri e diritti umani. Chiediamo tuttavia di discutere in modo ampio e approfondito le linee di azione di questa gestione dell'emergenza in un dibattito su una relazione del Presidente del Consiglio, proprio perché questi temi hanno a che fare con la collegialità delle responsabilità del Governo.

Vogliamo essere chiari, signor Ministro: tanto più le proposte che ascolteremo saranno di svolta rispetto alla conduzione recente, per esempio in tema di immigrazione, tanto più noi potremo dare il nostro contributo e il nostro apporto ad una gestione unitaria di questi problemi. Inoltre, signor Ministro, devo ribadirle, per trasparenza e lealtà tra maggioranza e opposizione, che noi non abbiamo condiviso, lo abbiamo detto tante volte in quest'Aula, il modo con cui è stato gestito il problema dell'immigrazione nel rapporto bilaterale con la Libia, peraltro ben al di là e ben oltre i termini affrontati nel Trattato di amicizia italo-libico. Con alcune norme introdotte negli scorsi mesi è stato dato un sostanziale appalto bilaterale alla Libia nella gestione della partita immigrazione, esautorando completamente qualunque ruolo dell'Europa e perfino dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, che ha il ruolo istituzionale di presiedere a una funzione tanto delicata di sorveglianza su un tema così decisivo.

Su questi temi vogliamo un confronto stringente, purché sia serio e trasparente.

Vi è poi il tema di fondo, della prospettiva, del futuro. Concludo, signora Presidente, con una battuta su questo: siamo nel pieno di una svolta storica nel Mediterraneo. Come tutte le svolte storiche - ce lo siamo detti già altre volte - possono esserci sbocchi positivi, e possono esserci degli sbocchi preoccupanti e negativi. Dobbiamo lavorare e fare tutto quanto è possibile, come italiani e come europei, perché questa svolta esprima al meglio tutte le sue potenzialità perché davvero possiamo trovarci in presenza di un'evoluzione positiva del mondo arabo verso la democrazia e lo sviluppo.

Ci sono dei valori fondamentali da tutelare in questo delicato passaggio: c'è il valore della libertà dei popoli, c'è il valore della democrazia, c'è, ad esempio, il valore della sicurezza e dell'esistenza dello Stato d'Israele (vediamo in questi giorni, con la vicenda delle navi iraniane, quanto questo valore possa essere messo in discussione). Tutto questo chiede una politica estera nuova, quella politica estera per l'Italia alla quale noi siamo pronti a dare tutto il nostro contributo.

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