Il 17 gennaio scorso, all'indomani della caduta del regime tunisino di Ben Ali, il ministro Frattini dichiarava al "Corriere della sera" che è giusto e necessario "sostenere con forza i governi di quei paesi, dal Marocco all'Egitto, nei quali ci sono re o capi di Stato che hanno costruito regimi laici tenendo alla larga il fondamentalismo". Difficile immaginare un approccio più miope e ottuso.
Il capo della nostra diplomazia non è riuscito a capire e neppure a vedere quel che era ormai sotto gli occhi del mondo: i governi di quei paesi stanno venendo giù come pupazzi di cartapesta, travolti da movimenti popolari nei quali si salda una evidente questione demografica, con una questione economico-sociale e una questione democratica.
Masse di giovani, mediamente scolarizzati e informati, ma privi di prospettive di lavoro e di reddito, hanno revocato la tacita e rassegnata delega a regimi che, pur avendo svolto un ruolo anche positivo nei decenni passati, sono ormai storicamente inadeguati. Questo non vuol dire che non esista il pericolo del fondamentalismo.
Ma già George W. Bush aveva capito che contro la minaccia dell'islamismo radicale non poteva esserci strategia peggiore di quella di aggrapparsi ai regimi e di abbandonare i popoli. Il tragico errore di Bush era stato quello di pensare di poter esportare la democrazia con la guerra: un errore pagato con il pantano iracheno.
Obama ha ripreso l'intuizione di Bush, ma l'ha tradotta in modo nuovo: nel suo grande discorso all'Università del Cairo, il 4 giugno 2009, Obama è riuscito a riaffermare la superiorità della democrazia, come valore universale, nel pieno rispetto della libertà dei popoli. Ha così parlato al popolo egiziano e agli altri popoli arabi e islamici, non a Mubarak o agli altri regimi.
Insieme alle buone relazioni con i militari, è questa "corrente calda" che Obama ha saputo stabilire, il principale motivo di speranza che la transizione araba possa avere un esito democratico e pacifico. Gli americani una "dottrina" hanno dimostrato di averla. Gli europei no. Ma è difficile rimproverare ai tedeschi o ai finlandesi di non avere una dottrina sul Mediterraneo, se noi italiani, che siamo immersi nel cuore del "Mare nostrum", l'unica cosa che siamo riusciti a dire, per bocca del ministro degli Esteri, in quella intervista del 17 gennaio, è indicare Gheddafi come modello da seguire.
grazie
gg brossa