La cosa più importante, domenica prossima, è andare a votare. In tanti. Perché se la partecipazione dovesse cadere sarebbe un brutto segno, per il PD e per le primarie. Si direbbe che il PD è un progetto in crisi e che più in crisi che mai è l'istituto delle primarie. Dobbiamo spazzare via queste nubi, con una partecipazione grande: non è il momento di stare a casa, se non vogliamo tornare indietro. L'Italia è alla deriva e Berlusconi, ancora una volta, si dimostra incapace di governare, men che meno capace di riforme coraggiose. Un rilancio del PD, della sua forza, della sua credibilità è l'unica speranza per il nostro Paese. Se anche il PD dovesse entrare in crisi, l'Italia sarebbe perduta, tutto potrebbe essere rimesso in discussione, perfino l'unità nazionale.
La seconda cosa importante, domenica, è andare a votare per Franceschini. Io voterò Dario per tre ragioni. La prima è perché Franceschini è stato il vice di Veltroni, ha condiviso con lui, come me, in modo sempre leale, come ha sottolineato Walter, il grande progetto del Lingotto, l'idea di dare all'Italia, finalmente, un grande partito riformista, un partito che si proponga di costruire quella maggioranza riformatrice che l'Italia non ha mai avuto. La seconda ragione per la quale voterò Franceschini è che in questi mesi, dopo le dimissioni di Veltroni, nel momento più difficile, Dario ha fatto bene il segretario, affrontando con lucidità e determinazione una stagione elettorale impervia, scongiurando il duplice pericolo di uno sfondamento della destra e di una crisi verticale del PD: e non c'è dunque nessun motivo per dare a Berlusconi la soddisfazione di poter dire di aver seppellito un altro leader del centrosinistra. La terza ragione, forse quella più importante, è che Dario ha dimostrato un grande coraggio, inedito nella storia del centrosinistra italiano: il coraggio di dire no ad accordi di vertice, il coraggio di accettare una sfida in campo aperto con Bersani e le armate che si erano andate ammassando dietro di lui, il coraggio di sfidare apertamente D'Alema e la sua pretesa di ricondurre il PD nell'alveo della continuità con la storia della sinistra italiana. Una continuità che porterebbe anche il PD a condividere il destino di "figlio di un dio minore", che può andare al governo solo portato da un garante centrista, e che riproporrebbe il metodo della cooptazione al vertice come regola generale di selezione delle classi dirigenti: addio vocazione maggioritaria e addio primarie. Franceschini ha detto no a questo balzo all'indietro e si è battuto per tenere il PD sulla linea della discontinuità: solo così il PD può vincere nel Paese e innescare il processo di cambiamento che serve al Paese. Solo se vince Dario il PD può tornare ad essere la speranza di "liberare il futuro": il futuro del riformismo italiano, il futuro dell'Italia.