Dec
03
2010
Alla fine Washington ci giudicherà su Kabul
Il mio articolo pubblicato su "Il Riformista"
 

Il Segretario di Stato, Hillary Clinton, ha voluto metterci la classica "pezza", definendo Berlusconi "il nostro amico migliore". Ma i documenti pubblicati da Wikileaks descrivono un'amministrazione Usa preoccupata per l'irritualità delle relazioni personali tra il nostro presidente del consiglio e Putin. Gli americani si trovano davanti a qualcosa che non sanno spiegarsi. Non si tratta della tradizionale, relativa autonomia della politica estera italiana che, anche negli anni della guerra fredda, cercava lo spazio per una sua Ostpolitik, o per una sua politica mediterranea. E neppure, soltanto, della altrettanto tradizionale autonomia della nostra politica energetica, attraverso l'Eni: un ente di Stato che fin dai tempi di Mattei si era fatto largo sul mercato globale forzando, talvolta in modo corsaro, il cartello delle "sette sorelle". Qui siamo davanti a qualcosa di diverso, sembrano dire gli americani, che non è facile capire: troppo stretto e informale è il rapporto tra i due leader, per non cercare spiegazioni extra-politiche, che oscillano tra il sospetto di interessi privati a latere degli accordi commerciali e, come si legge in un report, qualcosa che avviene "a livelli più bassi", quelli evocati dall'inusuale regalo di Vladimir a Silvio, il famoso letto che troneggia a Palazzo Grazioli.

La ricerca del movente di questa "relazione particolare", che peraltro tende a riprodursi con il leader libico Gheddafi e con il presidente-dittatore kazako Nazarbayev, stando almeno ai documenti pubblicati fin qui, è ancora aperta. Quel che è invece evidente è il moltiplicarsi, dall'inizio della legislatura, degli indizi di uno slittamento del tradizionale baricentro euroatlantico della politica estera italiana, verso un inedito asse Roma-Mosca.

Non è una novità e non abbiamo avuto bisogno di Wikileaks per pensarlo e per dirlo. Su queste stesse colonne, più di due anni fa, il 9 ottobre 2008, scrivevo che

la posizione di Berlusconi nella crisi georgiana (agosto 2008) era la "smoking gun", la prova regina di questo mutamento di segno della nostra politica estera.

Parlando a braccio, in una sede informale come la cena di chiusura della festa nazionale del Pdl, scrivevo, il presidente del Consiglio, come  riferiscono le agenzie di stampa, ha attribuito per intero la responsabilità della crisi georgiana al governo di Tbilisi, assolvendo da qualunque addebito Vladimir Putin.

"Tra donne sgozzate e violentate e gravissimi fatti di violenza - queste le parole di Berlusconi - Putin si era trovato in una situazione tremenda. Il presidente georgiano, approfittando delle Olimpiadi, aveva preso l'assurda decisione di svolgere un attacco inusitato. La reazione di Putin è stata logica, andando a Tbilisi contro un presidente che si è macchiato di questi gravissimi fatti di sangue".

Isomma, scrivevo, in un passaggio critico nelle relazioni tra Mosca e Washington (e alla Casa Bianca c'era ancora Bush), il Governo italiano ha finito per collocarsi più vicino alla Russia che agli Stati Uniti. Pochi mesi dopo, l'Amministrazione Obama si è trovata dinanzi al rompicapo di come gestire questo clamoroso riposizionamento, che ha collocato l'Italia in una posizione del tutto inedita. E mentre andava alla ricerca dei moventi, scavando nella vita privata del nostro premier, ha adottato una linea di condotta pubblica all'insegna del pragmatismo, chiedendo agli amici italiani di socializzare con Washington i termini del dialogo con Mosca (e con Tripoli) e mettendoli alla prova con alcune richieste d'aiuto precise, la più importante delle quali è il mantenimento e anzi il rafforzamento del nostro impegno in Afghanistan.

La solidarietà in Afghanistan è, in questa fase, la vera prova d'amore che gli americani chiedono all'Italia. E' bene che lo teniamo bene a mente, anche noi del Pd. Non a caso, come ha riferito in un dibattito alla Fondazione Democratica Gianfranco Migliore, nel corso della sua recente visita negli Stati Uniti, Nichi Vendola si è sentito chiedere da John Kerry quale fosse la sua posizione sulla presenza militare italiana in Afghanistan. La risposta del governatore della Puglia non pare aver tranquillizzato il presidente della Commissione Esteri del Senato americano.


Giorgio Tonini

Capogruppo Pd alla Commissione Esteri del Senato

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