Oct
27
2010
Realismo e speranza, insomma riformismo
Dal sito di Democratica http://www.scuoladipolitica.it/static/magazine/Realismo-e-speranza,-insomma-riformismo-298.aspx
  La Settimana sociale dei cattolici italiani è un'antica e gloriosa tradizione recentemente ripresa con cadenza biennale. Si tratta di un evento di riflessione, forse proprio per questo, non solo accolto con la consueta, svogliata disattenzione con la quale i media trattano tutto quanto non fa spettacolo, ma vissuto con una certa distrazione dallo stesso mondo cattolico.

E tuttavia, la Settimana che si è tenuta quest'anno (Reggio Calabria, 14-17 ottobre) si segnala per una sorprendente freschezza di idee, analisi e proposte, tra le poche lucide e stimolanti che l'attuale, depresso e deprimente dibattito pubblico italiano abbia prodotto da non poco tempo in qua. Una anche sommaria ricognizione di tutti i contributi tematici richiederebbe uno spazio e un tempo dei quali qui non disponiamo (tutto il materiale è peraltro consultabile sul sito www.settimanesociali.it). Quel che qui è possibile fare è segnalare il Documento preparatorio che, integrato dalla relazione introduttiva del filosofo e sociologo della religione Luca Diotallevi (che della Settimana è stato il discreto ma operoso "teorico"), riesce ad essere davvero quel che si proponeva di essere, ovvero "un'agenda di speranza per il futuro del Paese".
Speranza, una volta tanto, non significa vacuo e retorico ottimismo: non a caso, la parola forse più ripetuta nei testi citati è stata "realismo". Il documento si apre con una lettura, per l'appunto realistica, dell'Italia alle prese con la globalizzazione, della quale, sulla scia del magistero papale, da Montini a Ratzinger, si propone un giudizio complessivamente positivo: "l'esplosione dell'interdipendenza planetaria, ormai comunemente nota come globalizzazione, è stato il principale motore per l'uscita dal sottosviluppo di intere regioni e rappresenta di per sé una grande opportunità". La preoccupazione riguarda semmai le società occidentali, tra le quali ovviamente c'è anche quella italiana: "Il loro dinamismo economico e demografico, la loro leadership scientifica e tecnologica, la coscienza della propria identità e l'intensità del proprio patrimonio spirituale conoscono affievolimenti e attenuazioni".
Non ci sarebbe da preoccuparsi per il destino dell'umanità, che ha conosciuto tanti passaggi di testimone tra le civiltà, se non fosse che quelle società hanno fin qui garantito, "con tutti i loro limiti e le loro gravi responsabilità, l'offerta migliore finora avvenuta e più facilmente universalizzabile delle migliori condizioni di vita e del maggiore - per quanto mai pienamente soddisfacente - riconoscimento della dignità della persona umana. Persino sul piano della sicurezza, inclusivo della dimensione militare, va valutato con grande prudenza il pericolo costituito dall'avverarsi di uno scenario nel quale la forza a disposizione di autorità che controllano società meno libere divenga superiore rispetto a quella di società più libere".
Un approccio, questo del Documento, che si potrebbe definire "degasperiano": non a caso, del resto, insieme a Sturzo, Degasperi è il più citato dei leader politici cattolici e del grande statista trentino viene innanzi tutto ricordata e riproposta la linea di politica estera ed europea. La politica estera degasperiana serve al Documento per argomentare la necessità che l'Italia, a 150 anni dall'unità, resti una nazione: "L'Italia unita in questo passaggio critico (per l'Occidente e per il mondo, ndr) potrebbe giocare un ruolo che nessuna sua singola componente potrebbe svolgere da sola".
Questo è stato in effetti il focus della Settimana sociale: una domanda non retorica sulla possibilità e perfino, spregiudicatamente, sull'utilità che l'Italia resti una nazione unita, sia pure pienamente dentro il processo di integrazione europea. "Inutile attardarsi in pietosi giri di parole - ha detto Diotallevi nella sua introduzione - in questo momento la posta in gioco è l'Italia". Il nostro paese è infatti attraversato "da dinamiche divaricanti non adeguatamente riconosciute ed affrontate. Nessun paese europeo conosce al proprio interno differenziali territoriali paragonabili ai nostri. Le dinamiche economiche, le morfologie sociali, gli assetti istituzionali procedono con velocità diverse ed anche in direzioni sempre più divaricate."
Alla domanda se l'Italia unita serve o può servire ancora, la Settimana ha risposto con "un sì, ma un sì a certe condizioni", la principale delle quali è che "Il Paese deve tornare a crescere... Naturalmente non si tratta di crescita solo economica, ma non possiamo nasconderci che, in questo momento, per corrispondere alle esigenze del bene comune, la dimensione propriamente economica è tra quelle primarie". Semmai il vero problema è che la crescita economica potrà riprendere solo in presenza di riforme non solo economiche: e infatti il quarto capitolo del Documento è quello che contiene l'agenda per "riprendere a crescere", composta da dodici domande che sono già dodici risposte, almeno di grande orientamento.
La prima domanda non potrebbe essere più eloquente: "Come ridurre precarietà e privilegi nel mercato del lavoro, aumentandone partecipazione, flessibilità (in entrata e in uscita), eterogeneità?" La dodicesima è "Come dare coerenza al federalismo?" ed è preceduta da una domanda di questo tenore: "Quale forma di governo (con contrappesi adeguati e una legge elettorale coerente) per completare la transizione secondo criteri di sussidiarietà, di responsabilità imputabile e di efficacia? Tra la proposta della flexicurity (prima domanda) e quella della democrazia decidente e di un federalismo solidale, senza che questo "giustifichi il finanziamento dell'inefficienza e della quota parassitaria dell'interposizione pubblica nei diversi territori", ci sono altre nove domande-risposte riformiste: politiche fiscali a favore delle famiglie con figli; redistribuzione della pressione fiscale dal lavoro alle rendite; incentivi alla crescita dimensionale delle imprese; una scuola che risponda alle famiglie, sia attraverso strumenti di valutazione che forme di concorrenza pubblico-privato, della qualità delle sue prestazioni formative; come sostenere l'esercizio dell'autorità dei genitori in famiglia e l'azione educativa dell'associazionismo; come finanziare diversamente il sistema universitario per consentirgli di uscire dall'attuale declino; come ridurre le barriere all'accesso alle professioni incrementando la competizione all'interno delle stesse; fino a come includere le nuove presenza di immigrati in mezzo a noi, anche riconoscendo la cittadinanza ai figli di stranieri nati in Italia.
Si tratta, come è evidente, di domande-risposte riformiste, che collocano la riflessione sociale della chiesa lungo un asse politico-culturale chiaro, per quanto aperto e problematico. Come osserva Diotallevi nella sua relazione, le dodici domande dell'agenda "introducono nell'ideale angolo acuto del pluralismo legittimo. Nello spazio non infinito di questo angolo acuto il legittimo pluralismo (nella Chiesa, ma analogamente nelle democrazie mature) consente una competizione feconda tra riformismi diversi, ma egualmente moderati ed egualmente impegnati per il bene comune". Molto interessante. Molto utile per l'Italia.

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