Oct
04
2009
Il PD per il Trentino e per l'Italia
Intervento di Giorgio Tonini all’Assemblea dei delegati provinciali del Partito Democratico del Trentino.
Care
democratiche, cari democratici,
da oggi la parola passa ai nostri elettori. Sono loro che il 25 ottobre decideranno chi sarà il segretario nazionale e il segretario trentino del PD.
La prima fase, la fase che ha visto protagonisti i circoli e gli iscritti, è stata faticosa, per certi versi un po' barocca, ma tutt'altro che inutile.
Perché ha consentito un ampio e capillare dibattito tra gli iscritti. E anche perché, fatemelo dire con un pizzico di orgoglio, ha dimostrato quanto fossero senza senso le accuse a Veltroni e a Franceschini di aver voluto un partito virtuale, liquido, non radicato nella società e nei territori.
Nel mese di settembre, tutti i seimila circoli democratici hanno tenuto le loro Assemblee, alle quali hanno partecipato, con il loro voto, più della metà degli iscritti: circa 400 mila persone; per avere un termine di paragone, quasi il doppio degli iscritti che votavano ai congressi di sezione dei Ds.
A due anni dalla sua fondazione, il PD è una presenza radicata in tutto il Paese, anche se non dappertutto con la stessa forza, è la più grande esperienza di partecipazione politica che esista in Italia, è uno dei più grandi partiti popolari d'Europa.
Il problema che abbiamo davanti a noi - e che deve sempre stare al centro della nostra discussione - è come possiamo valorizzare questa nostra forza per dare risposta ai grandi problemi del Paese, per dare una speranza agli italiani, per costruire un'alternativa di governo credibile e vincente.
Nelle discussioni serali nei circoli è spesso riecheggiata la domanda sulla nostra identità, l'identità del Partito Democratico.
Potrei rispondere, come ho fatto in queste settimane, che non c'è nulla di più forte e chiaro oggi nel mondo dell'identità, della cultura politica, dei democratici: è l'identità di Obama e di Lula, dei progressisti che governano Sudafrica, India, Giappone.
È l'identità che cerca di farsi strada, anche grazie al PD, in Europa: oltre la crisi della socialdemocrazia e più in generale delle grandi culture politiche del Novecento.
È il pensiero democratico il vero pensiero forte di questa nostra stagione, la stagione della globalizzazione, che ha visto il clamoroso fallimento, sia sul terreno geopolitico, che su quello socio-economico, del pensiero neo-conservatore.
Ma alla domanda sulla nostra identità, preferisco rispondere con le parole di un grande vecchio del PD. Alfredo Reichlin, uno dei dirigenti storici del Pci e poi dei Ds, mi ha insegnato che l'identità di un partito consiste nella sua funzione storica. Il problema, in altre parole, non è chiederci astrattamente "chi siamo", ma "a cosa dobbiamo servire", qui ed ora, in questa fase storica del nostro Paese.
A questa domanda, la vera domanda che sta dinanzi a noi, penso che dobbiamo rispondere così: abbiamo dato vita al PD perché vogliamo cambiare l'Italia, vogliamo trasformarla profondamente, perché vogliamo dare al nostro Paese quella cura riformista, quel ciclo riformatore stabile e duraturo, che l'Italia non ha mai avuto.
Le conseguenze di questa mancanza di riforme le vediamo tutti i giorni.
Mi ha impressionato l'amarezza con la quale il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha commentato la tragedia di Messina. Dinanzi al diffuso dissesto idrogeologico, ha osservato, c'è bisogno di un piano di difesa del suolo, prima che di opere faraoniche.
E c'è bisogno, mi sento di aggiungere, di una cultura della legalità che dica no, no e poi no alla scorciatoia immorale della deroga e del condono: si tratti del condono edilizio o dello scudo fiscale.
E per questo dico che è grave quel che è successo la settimana scorsa alla Camera: mai più deve accadere che un provvedimento vergognoso come quello voluto dal governo, che premia gli evasori, lascia le porte aperte al riciclaggio del denaro sporco, umilia i cittadini onesti, venga approvato anche grazie alle assenze dei nostri parlamentari. Mai più!
Due giorni fa, il Fondo monetario internazionale ha detto che i problemi economici e sociali dell'Italia non sono cominciati con la recessione mondiale.
"Nel corso dell'ultimo decennio - ha detto il Fmi - l'Italia ha visto "declinare la produttività, ristagnare i redditi e allargarsi ulteriormente il gap di competitività". Si potrebbe aggiungere che sono aumentate le disuguaglianze e si è bloccato l'ascensore sociale, quello che consente a chi sta peggio almeno la speranza di migliorare, con il merito e l'impegno, la propria condizione di vita.
Senza riforme incisive, che aumentino in modo significativo la qualità del nostro sviluppo, il Paese è condannato al declino, i nostri figli sono condannati ad avere nel complesso meno opportunità di quelle che noi abbiamo ricevuto dai nostri padri.
Ieri pomeriggio, a Roma, si è tenuta una manifestazione, promossa dai giornalisti, a difesa della libertà di stampa.
Non ho mai pensato che siamo in un regime. Ma tira una gran brutta aria. E' ormai evidente che il governo non è all'altezza dei problemi del Paese: non lo è sul piano morale, non lo è sul piano politico, non lo è sul piano della azione concreta.
Il governo sta quindi cercando di compensare il suo fallimento con il racconto di un mondo immaginario, sta cercando di oscurare la realtà per far parlare solo la propaganda. Per questo la libertà, a cominciare dalla libertà di stampa, soffre. E per questo dobbiamo difenderla, dobbiamo alzare la voce perché la nostra non diventi una democrazia illiberale.
Dissesto idrogeologico e cultura del condono, precarietà economica e sociale, libertà fondamentali in affanno: è l'immagine di un Paese in sofferenza ed è un chiaro manifesto programmatico per il PD.
Il nostro compito, il nostro dovere è chiamare a raccolta tutte le energie intellettuali e morali, sociali e civili del Paese per costruire un'alternativa credibile, autorevole, vincente. Che non solo ci faccia tornare al governo del Paese, ma ponga le condizioni per un governo stabile, duraturo, capace di affrontare i grandi nodi strutturali che bloccano lo sviluppo dell'Italia e ne mettono a rischio perfino la tenuta unitaria, il nostro essere una Nazione. Di questo e non di altro tratta il nostro Congresso.
Care democratiche e cari democratici,
non sono andato fuori tema. Questo è il mio primo punto programmatico. Se sarò segretario, in Trentino faremo più politica nazionale, lotteremo, anche da qui, perché il nostro diventi un Paese migliore: dal Brennero alla Sicilia. Perché siamo un grande partito nazionale. E perché tutta l'Italia ci riguarda.
Perché non potremo salvarci da soli, come trentini, se l'Italia va in rovina. E perché penso che sia giunto il momento di dire basta alla rassegnazione davanti ad un Trentino che vota centrosinistra alle elezioni provinciali e centrodestra alle elezioni nazionali. Una contraddizione che denuncia tutta la nostra insufficienza, la nostra incapacità di parlare ad una parte larga e importante della nostra comunità.
Per questo abbiamo fatto il PD in Trentino. Questa, per dirla con Reichlin, è la nostra funzione storica. Quella di essere lo specchio che meglio raffigura l'identità profonda del Trentino e raffigurandola la riporta a piena consapevolezza di sé, la rimette al centro della battaglia politica.
Ho scritto nella mia mozione che il PD del Trentino è l'unico partito che definisce se stesso come la coalizione, la coalizione che governa il Trentino col presidente Dellai: noi siamo un partito di centrosinistra autonomista, figlio dell'incontro, in una moderna e matura cultura autonomistica, tra il centro che cammina verso sinistra, secondo l'insegnamento di Degasperi, e la sinistra plurale che da Battisti fino a Walter Micheli si è confrontata con il problema del governo.
Ma questa complessità non è solo la nostra ricchezza. E' il modo attraverso il quale noi cerchiamo di rappresentare e di interpretare sempre meglio l'identità del Trentino, che è anch'essa plurale, variegata, complessa, irriducibile ad una sola dimensione.
In un famoso discorso tenuto da presidente del Consiglio in piazza Cesare Battisti il 25 aprile 1951, Alcide Degasperi così spiegava la complessità dell'identità trentina:
"Tre sono i monumenti a Trento che vedo come simbolo della nostra tradizione, della nostra storia, della nostra vita civile: il monumento dantesco, la Torre Civica e la Cattedrale".
E Degasperi spiegava la complessità di ognuno di quei tre simboli.
Il monumento a Dante rappresenta l'identità italiana del Trentino, nazionale ma non nazionalista, perché la scritta dice: "Inchiniamoci italiani, inchinatevi stranieri, rialziamoci affratellati nella giustizia".
"Ecco - commenta Degasperi - come il nostro senso nazionale, il nostro senso di unità e solidità della patria è contemporaneamente senso di giustizia internazionale, senso di universalità cristiana": la stessa universalità, umana prima ancora che cristiana, alla quale i missionari trentini ci hanno richiamato nei giorni scorsi.
Una universalità umana e cristiana, costitutiva dell'identità trentina, che viene invece negata e calpestata da quelle forze, forse padane, chissà se celtiche, certamente non trentine, che fondano la loro politica sulla paura del diverso e talvolta perfino sull'intolleranza razzista e xenofoba.
C'è qui un grande lavoro, culturale e politico, per noi da fare: per sciogliere le paure, per affermare le regole, per promuovere il valore universale della fraternità, come dimensione imprescindibile del nostro essere italiani.
"La Torre Civica - prosegue Degasperi - ricorda i Comuni come focolai della democrazia e della libertà, l'unione delle forze, l'autonomia".
Dunque sono i Comuni la radice prima dell'autonomia. Una considerazione identitaria che è un programma ancora inattuato: riportare i Comuni, beninteso comuni più grandi e più forti, a giocare un ruolo paritario dinanzi alla Provincia, nell'ambito del nostro sistema di autonomia speciale.
Un sistema che deve rimeditare il duplice ammonimento degasperiano perché "si evitasse un campanilismo cantonale, un localismo troppo ristretto, una diminuzione di solidarietà nazionale e che insorgesse una nuova burocrazia che gravasse sopra i poveri contribuenti e sopra la gente del lavoro".
Anche qui, nell'identità profonda e complessa del Trentino, c'è un programma chiaro per noi: contrastare, in modo cordiale ma fermo, tutte le tentazioni di chiusura, da quelle simil-tirolesi a quelle protezionistiche, fino al provincialismo partitico, con le sue ossessioni territoriali; e ridurre il peso della macchina provinciale, la sua pesantezza burocratica, la pervasività illiberale e feudale delle "magnadore", di un'autonomia che non può e non deve diventare una sorta di Holding Provincia spa.
Meno partecipazioni provinciali, che troppo spesso diventano centri di potere autoreferenziali e più privatizzazioni e liberalizzazioni: ci vorrebbe una bella lenzuolata anche in Trentino! Meno contributi e meno oneri, fiscali e burocratici, più libertà d'impresa, più trasparenza, più competizione, più merito, più valore al lavoro e all'impegno.
"Il terzo monumento che simboleggia la nostra tradizione - dice Degasperi - è la cattedrale". Attenzione: anche questo, per lo statista più credente e al tempo stesso più laico della storia italiana, è un simbolo complesso.
"Oggi in noi è chiara la distinzione tra la sfera di azione dello Stato e l'azione della Chiesa - dice Degasperi - fra politica e religione e non confondiamo una missione con l'altra. E benché le sappiamo associate nel progresso umano, tuttavia distinguiamo responsabilità e funzione".
Come la comunità trentina, impregnata di cristianesimo e al tempo stesso refrattaria ad ogni integralismo, noi siamo un partito laico e di laici, tutti laici, credenti e non credenti, uniti nel difendere la libertà religiosa e nel contrastare qualunque utilizzo della religione a fini politici. Da qualunque parte essa provenga.
Unità nazionale, nell'apertura europea e universale. Autonomia speciale e pluralista, civica e municipale, sobria e leggera. Laboriosità e intraprendenza, nella solidarietà, ma contro ogni assistenzialismo. Laicità e tolleranza, nella comune ricerca di nuove sintesi tra etica e politica. Questa è l'identità plurale e complessa del Trentino.
Rilanciare e risvegliare questa identità è la funzione storica nostra, è il programma di azione di noi Democratici del Trentino. Questa è la nostra vocazione maggioritaria. Ed è la ragione per la quale i trentini ci hanno assegnato la funzione di primo partito della Provincia.
Per essere all'altezza della nostra ambizione maggioritaria e soprattutto delle attese che i nostri concittadini hanno riposto in noi, abbiamo bisogno di un partito forte, perché radicato e unito. Tanto più alla vigilia di una impegnativa stagione di elezioni amministrative, che interesseranno la maggior parte dei comuni trentini.
Un partito radicato: innanzi tutto nel territorio, grazie ai circoli, che sono già una realtà preziosa, ma che vanno aperti a nuove adesioni, moltiplicati sul territorio, sostenuti anche finanziariamente.
Un partito radicato nella società, attraverso la costituzione di forum d'ambiente: a cominciare dai mondi che ci guardano con maggiore diffidenza e che dobbiamo riconquistare: dal mondo operaio a quello contadino, dalle professioni alla piccola impresa, fino alla scuola, alla sanità, al variegato mondo della solidarietà sociale.
E poi un partito capace di rinnovarsi, facendo spazio alle donne e promuovendo i giovani, anche con un grande e forte investimento nella formazione all'impegno politico e amministrativo.
Un partito unito, innanzi tutto nel suo gruppo dirigente. No alle polemiche tra di noi a mezzo stampa. Si alla costruzione di una squadra, affiatata e coesa. Tra partito, gruppo consiliare, giunta provinciale, amministratori comunali, circoli.
Siamo quattro candidati, ma non abbiamo quattro piattaforme politiche diverse: tra di noi, i punti di contatto e di condivisione sono di gran lunga più numerosi e importanti delle sfumature di diversità.
Nutro da tanti anni profonda stima e amicizia per Michele, Roberto e Renato. Se sarà eletto segretario uno di loro, non solo sarà il mio segretario, ma facilmente mi sentirò pienamente rappresentato.
Se mi sono candidato è per due ragioni: perché penso di poter offrire un mattoncino in più al partito, mettendo a disposizione la mia esperienza nazionale; e perché penso di avere con me, senza nulla togliere alle altre liste, la squadra più mescolata e plurale, meglio rappresentativa delle diverse storie, di partito e di società civile, che sono alla base del PD.
Se sarò eletto segretario, ispirerò il mio lavoro al principio di collegialità. E chiederò a Michele, Roberto e Renato di assumere ruoli di primo piano nel lavoro comune. Se i nostri elettori sceglieranno diversamente, sarò lieto di collaborare con chi sarà eletto.
Comunque vada, sono certo che usciremo da questo passaggio più forti, più uniti, più autorevoli. Al servizio del Trentino e dell'Italia.
da oggi la parola passa ai nostri elettori. Sono loro che il 25 ottobre decideranno chi sarà il segretario nazionale e il segretario trentino del PD.
La prima fase, la fase che ha visto protagonisti i circoli e gli iscritti, è stata faticosa, per certi versi un po' barocca, ma tutt'altro che inutile.
Perché ha consentito un ampio e capillare dibattito tra gli iscritti. E anche perché, fatemelo dire con un pizzico di orgoglio, ha dimostrato quanto fossero senza senso le accuse a Veltroni e a Franceschini di aver voluto un partito virtuale, liquido, non radicato nella società e nei territori.
Nel mese di settembre, tutti i seimila circoli democratici hanno tenuto le loro Assemblee, alle quali hanno partecipato, con il loro voto, più della metà degli iscritti: circa 400 mila persone; per avere un termine di paragone, quasi il doppio degli iscritti che votavano ai congressi di sezione dei Ds.
A due anni dalla sua fondazione, il PD è una presenza radicata in tutto il Paese, anche se non dappertutto con la stessa forza, è la più grande esperienza di partecipazione politica che esista in Italia, è uno dei più grandi partiti popolari d'Europa.
Il problema che abbiamo davanti a noi - e che deve sempre stare al centro della nostra discussione - è come possiamo valorizzare questa nostra forza per dare risposta ai grandi problemi del Paese, per dare una speranza agli italiani, per costruire un'alternativa di governo credibile e vincente.
Nelle discussioni serali nei circoli è spesso riecheggiata la domanda sulla nostra identità, l'identità del Partito Democratico.
Potrei rispondere, come ho fatto in queste settimane, che non c'è nulla di più forte e chiaro oggi nel mondo dell'identità, della cultura politica, dei democratici: è l'identità di Obama e di Lula, dei progressisti che governano Sudafrica, India, Giappone.
È l'identità che cerca di farsi strada, anche grazie al PD, in Europa: oltre la crisi della socialdemocrazia e più in generale delle grandi culture politiche del Novecento.
È il pensiero democratico il vero pensiero forte di questa nostra stagione, la stagione della globalizzazione, che ha visto il clamoroso fallimento, sia sul terreno geopolitico, che su quello socio-economico, del pensiero neo-conservatore.
Ma alla domanda sulla nostra identità, preferisco rispondere con le parole di un grande vecchio del PD. Alfredo Reichlin, uno dei dirigenti storici del Pci e poi dei Ds, mi ha insegnato che l'identità di un partito consiste nella sua funzione storica. Il problema, in altre parole, non è chiederci astrattamente "chi siamo", ma "a cosa dobbiamo servire", qui ed ora, in questa fase storica del nostro Paese.
A questa domanda, la vera domanda che sta dinanzi a noi, penso che dobbiamo rispondere così: abbiamo dato vita al PD perché vogliamo cambiare l'Italia, vogliamo trasformarla profondamente, perché vogliamo dare al nostro Paese quella cura riformista, quel ciclo riformatore stabile e duraturo, che l'Italia non ha mai avuto.
Le conseguenze di questa mancanza di riforme le vediamo tutti i giorni.
Mi ha impressionato l'amarezza con la quale il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha commentato la tragedia di Messina. Dinanzi al diffuso dissesto idrogeologico, ha osservato, c'è bisogno di un piano di difesa del suolo, prima che di opere faraoniche.
E c'è bisogno, mi sento di aggiungere, di una cultura della legalità che dica no, no e poi no alla scorciatoia immorale della deroga e del condono: si tratti del condono edilizio o dello scudo fiscale.
E per questo dico che è grave quel che è successo la settimana scorsa alla Camera: mai più deve accadere che un provvedimento vergognoso come quello voluto dal governo, che premia gli evasori, lascia le porte aperte al riciclaggio del denaro sporco, umilia i cittadini onesti, venga approvato anche grazie alle assenze dei nostri parlamentari. Mai più!
Due giorni fa, il Fondo monetario internazionale ha detto che i problemi economici e sociali dell'Italia non sono cominciati con la recessione mondiale.
"Nel corso dell'ultimo decennio - ha detto il Fmi - l'Italia ha visto "declinare la produttività, ristagnare i redditi e allargarsi ulteriormente il gap di competitività". Si potrebbe aggiungere che sono aumentate le disuguaglianze e si è bloccato l'ascensore sociale, quello che consente a chi sta peggio almeno la speranza di migliorare, con il merito e l'impegno, la propria condizione di vita.
Senza riforme incisive, che aumentino in modo significativo la qualità del nostro sviluppo, il Paese è condannato al declino, i nostri figli sono condannati ad avere nel complesso meno opportunità di quelle che noi abbiamo ricevuto dai nostri padri.
Ieri pomeriggio, a Roma, si è tenuta una manifestazione, promossa dai giornalisti, a difesa della libertà di stampa.
Non ho mai pensato che siamo in un regime. Ma tira una gran brutta aria. E' ormai evidente che il governo non è all'altezza dei problemi del Paese: non lo è sul piano morale, non lo è sul piano politico, non lo è sul piano della azione concreta.
Il governo sta quindi cercando di compensare il suo fallimento con il racconto di un mondo immaginario, sta cercando di oscurare la realtà per far parlare solo la propaganda. Per questo la libertà, a cominciare dalla libertà di stampa, soffre. E per questo dobbiamo difenderla, dobbiamo alzare la voce perché la nostra non diventi una democrazia illiberale.
Dissesto idrogeologico e cultura del condono, precarietà economica e sociale, libertà fondamentali in affanno: è l'immagine di un Paese in sofferenza ed è un chiaro manifesto programmatico per il PD.
Il nostro compito, il nostro dovere è chiamare a raccolta tutte le energie intellettuali e morali, sociali e civili del Paese per costruire un'alternativa credibile, autorevole, vincente. Che non solo ci faccia tornare al governo del Paese, ma ponga le condizioni per un governo stabile, duraturo, capace di affrontare i grandi nodi strutturali che bloccano lo sviluppo dell'Italia e ne mettono a rischio perfino la tenuta unitaria, il nostro essere una Nazione. Di questo e non di altro tratta il nostro Congresso.
Care democratiche e cari democratici,
non sono andato fuori tema. Questo è il mio primo punto programmatico. Se sarò segretario, in Trentino faremo più politica nazionale, lotteremo, anche da qui, perché il nostro diventi un Paese migliore: dal Brennero alla Sicilia. Perché siamo un grande partito nazionale. E perché tutta l'Italia ci riguarda.
Perché non potremo salvarci da soli, come trentini, se l'Italia va in rovina. E perché penso che sia giunto il momento di dire basta alla rassegnazione davanti ad un Trentino che vota centrosinistra alle elezioni provinciali e centrodestra alle elezioni nazionali. Una contraddizione che denuncia tutta la nostra insufficienza, la nostra incapacità di parlare ad una parte larga e importante della nostra comunità.
Per questo abbiamo fatto il PD in Trentino. Questa, per dirla con Reichlin, è la nostra funzione storica. Quella di essere lo specchio che meglio raffigura l'identità profonda del Trentino e raffigurandola la riporta a piena consapevolezza di sé, la rimette al centro della battaglia politica.
Ho scritto nella mia mozione che il PD del Trentino è l'unico partito che definisce se stesso come la coalizione, la coalizione che governa il Trentino col presidente Dellai: noi siamo un partito di centrosinistra autonomista, figlio dell'incontro, in una moderna e matura cultura autonomistica, tra il centro che cammina verso sinistra, secondo l'insegnamento di Degasperi, e la sinistra plurale che da Battisti fino a Walter Micheli si è confrontata con il problema del governo.
Ma questa complessità non è solo la nostra ricchezza. E' il modo attraverso il quale noi cerchiamo di rappresentare e di interpretare sempre meglio l'identità del Trentino, che è anch'essa plurale, variegata, complessa, irriducibile ad una sola dimensione.
In un famoso discorso tenuto da presidente del Consiglio in piazza Cesare Battisti il 25 aprile 1951, Alcide Degasperi così spiegava la complessità dell'identità trentina:
"Tre sono i monumenti a Trento che vedo come simbolo della nostra tradizione, della nostra storia, della nostra vita civile: il monumento dantesco, la Torre Civica e la Cattedrale".
E Degasperi spiegava la complessità di ognuno di quei tre simboli.
Il monumento a Dante rappresenta l'identità italiana del Trentino, nazionale ma non nazionalista, perché la scritta dice: "Inchiniamoci italiani, inchinatevi stranieri, rialziamoci affratellati nella giustizia".
"Ecco - commenta Degasperi - come il nostro senso nazionale, il nostro senso di unità e solidità della patria è contemporaneamente senso di giustizia internazionale, senso di universalità cristiana": la stessa universalità, umana prima ancora che cristiana, alla quale i missionari trentini ci hanno richiamato nei giorni scorsi.
Una universalità umana e cristiana, costitutiva dell'identità trentina, che viene invece negata e calpestata da quelle forze, forse padane, chissà se celtiche, certamente non trentine, che fondano la loro politica sulla paura del diverso e talvolta perfino sull'intolleranza razzista e xenofoba.
C'è qui un grande lavoro, culturale e politico, per noi da fare: per sciogliere le paure, per affermare le regole, per promuovere il valore universale della fraternità, come dimensione imprescindibile del nostro essere italiani.
"La Torre Civica - prosegue Degasperi - ricorda i Comuni come focolai della democrazia e della libertà, l'unione delle forze, l'autonomia".
Dunque sono i Comuni la radice prima dell'autonomia. Una considerazione identitaria che è un programma ancora inattuato: riportare i Comuni, beninteso comuni più grandi e più forti, a giocare un ruolo paritario dinanzi alla Provincia, nell'ambito del nostro sistema di autonomia speciale.
Un sistema che deve rimeditare il duplice ammonimento degasperiano perché "si evitasse un campanilismo cantonale, un localismo troppo ristretto, una diminuzione di solidarietà nazionale e che insorgesse una nuova burocrazia che gravasse sopra i poveri contribuenti e sopra la gente del lavoro".
Anche qui, nell'identità profonda e complessa del Trentino, c'è un programma chiaro per noi: contrastare, in modo cordiale ma fermo, tutte le tentazioni di chiusura, da quelle simil-tirolesi a quelle protezionistiche, fino al provincialismo partitico, con le sue ossessioni territoriali; e ridurre il peso della macchina provinciale, la sua pesantezza burocratica, la pervasività illiberale e feudale delle "magnadore", di un'autonomia che non può e non deve diventare una sorta di Holding Provincia spa.
Meno partecipazioni provinciali, che troppo spesso diventano centri di potere autoreferenziali e più privatizzazioni e liberalizzazioni: ci vorrebbe una bella lenzuolata anche in Trentino! Meno contributi e meno oneri, fiscali e burocratici, più libertà d'impresa, più trasparenza, più competizione, più merito, più valore al lavoro e all'impegno.
"Il terzo monumento che simboleggia la nostra tradizione - dice Degasperi - è la cattedrale". Attenzione: anche questo, per lo statista più credente e al tempo stesso più laico della storia italiana, è un simbolo complesso.
"Oggi in noi è chiara la distinzione tra la sfera di azione dello Stato e l'azione della Chiesa - dice Degasperi - fra politica e religione e non confondiamo una missione con l'altra. E benché le sappiamo associate nel progresso umano, tuttavia distinguiamo responsabilità e funzione".
Come la comunità trentina, impregnata di cristianesimo e al tempo stesso refrattaria ad ogni integralismo, noi siamo un partito laico e di laici, tutti laici, credenti e non credenti, uniti nel difendere la libertà religiosa e nel contrastare qualunque utilizzo della religione a fini politici. Da qualunque parte essa provenga.
Unità nazionale, nell'apertura europea e universale. Autonomia speciale e pluralista, civica e municipale, sobria e leggera. Laboriosità e intraprendenza, nella solidarietà, ma contro ogni assistenzialismo. Laicità e tolleranza, nella comune ricerca di nuove sintesi tra etica e politica. Questa è l'identità plurale e complessa del Trentino.
Rilanciare e risvegliare questa identità è la funzione storica nostra, è il programma di azione di noi Democratici del Trentino. Questa è la nostra vocazione maggioritaria. Ed è la ragione per la quale i trentini ci hanno assegnato la funzione di primo partito della Provincia.
Per essere all'altezza della nostra ambizione maggioritaria e soprattutto delle attese che i nostri concittadini hanno riposto in noi, abbiamo bisogno di un partito forte, perché radicato e unito. Tanto più alla vigilia di una impegnativa stagione di elezioni amministrative, che interesseranno la maggior parte dei comuni trentini.
Un partito radicato: innanzi tutto nel territorio, grazie ai circoli, che sono già una realtà preziosa, ma che vanno aperti a nuove adesioni, moltiplicati sul territorio, sostenuti anche finanziariamente.
Un partito radicato nella società, attraverso la costituzione di forum d'ambiente: a cominciare dai mondi che ci guardano con maggiore diffidenza e che dobbiamo riconquistare: dal mondo operaio a quello contadino, dalle professioni alla piccola impresa, fino alla scuola, alla sanità, al variegato mondo della solidarietà sociale.
E poi un partito capace di rinnovarsi, facendo spazio alle donne e promuovendo i giovani, anche con un grande e forte investimento nella formazione all'impegno politico e amministrativo.
Un partito unito, innanzi tutto nel suo gruppo dirigente. No alle polemiche tra di noi a mezzo stampa. Si alla costruzione di una squadra, affiatata e coesa. Tra partito, gruppo consiliare, giunta provinciale, amministratori comunali, circoli.
Siamo quattro candidati, ma non abbiamo quattro piattaforme politiche diverse: tra di noi, i punti di contatto e di condivisione sono di gran lunga più numerosi e importanti delle sfumature di diversità.
Nutro da tanti anni profonda stima e amicizia per Michele, Roberto e Renato. Se sarà eletto segretario uno di loro, non solo sarà il mio segretario, ma facilmente mi sentirò pienamente rappresentato.
Se mi sono candidato è per due ragioni: perché penso di poter offrire un mattoncino in più al partito, mettendo a disposizione la mia esperienza nazionale; e perché penso di avere con me, senza nulla togliere alle altre liste, la squadra più mescolata e plurale, meglio rappresentativa delle diverse storie, di partito e di società civile, che sono alla base del PD.
Se sarò eletto segretario, ispirerò il mio lavoro al principio di collegialità. E chiederò a Michele, Roberto e Renato di assumere ruoli di primo piano nel lavoro comune. Se i nostri elettori sceglieranno diversamente, sarò lieto di collaborare con chi sarà eletto.
Comunque vada, sono certo che usciremo da questo passaggio più forti, più uniti, più autorevoli. Al servizio del Trentino e dell'Italia.
4 commenti all'articolo - torna indietro
inviato da vincenzo calì il 10 October 2009 22:31
Dalla partecipazione più o meno grande il 25 ottobre alle primarie del Partito democratico dipenderà molto del futuro del centrosinistra nel Trentino. Se la partecipazione sarà alta, diciamo paragonabile a quella che registrammo ai tempi della sfida alla segreteria fra Pacher e Kessler, potremo considerare positivamente conclusa la fase i rodaggio, accendere i motori e partire per il lungo viaggio che dovrà portare alla nascita in loco di un nuovo soggetto politico, erede dell'Ulivo, collegato al PD nazionale, che nel Trentino non potrà che declinarsi con le due parole chiave di “democrazia e autonomia”. Se viceversa la partecipazione fosse malauguratamente scarsa, nubi nere si addenserebbero sull'alleanza che regge oggi il governo provinciale, e ciò dovrebbe bastare a convincere anche i più critici verso l'attuale compagine di governo a non disertare le urne, vista l'alternativa a Dellai che si troverebbero davanti. Una forte partecipazione popolare alla sfida democratica per la scelta di chi guiderà in sede nazionale e locale il più grande partito del nostro paese ( più grande nel senso della partecipazione attiva) servirà anche come ricostituente per la coalizione di governo locale, che di un bagno nelle vicende nazionali ha urgente bisogno. E' sotto gli occhi di tutti la pericolosa deriva localistica, che rientra nella categoria storica del “trentinismo”che affligge il nostro territorio, deriva che si può arrestare solo coniugando le tematiche locali con il dibattito, nazionale ed internazionale, che sta attraversando il PD. E' per questo motivo che personalmente ho scelto di appoggiare la candidatura di Giorgio Tonini alla guida del partito trentino; nella sua persona e nel suo programma, una felice sintesi “glocal”, si trovano infatti tutti gli antidoti di cui il Trentino ha bisogno per reggere all'assalto dell'influenza autunnale che si sta pericolosamente avvicinando e di cui cogliamo i primi sintomi nei ricorrenti attacchi condotti da più parti all'autonomia speciale. Ho il massimo rispetto per gli altri tre candidati, persone che dobbiamo ringraziare per la loro disponibilità ad impegnarsi per il bene comune, ma è questo un momento che richiede particolarissime qualità, che per fortuna nostra Tonini possiede: un grande equilibrio, che lo tiene lontano a livello nazionale da quegli atteggiamenti visceralmente antiberlusconiani che stanno portando ai margini un intero ceto politico dominato dalla demonizzazione dell'avversario, una conoscenza più che ventennale della realtà locale e dei suoi diversi ed intrecciati livelli di autonomia, una sensibilità alle tematiche sociali che gli deriva da una lunga militanza di pura ispirazione degasperiana. Non lasciamoci sfuggire l'opportunità di dare al primo partito del Trentino una guida autorevole, capace di rendere meno traballante il carro del centrosinistra-autonomista trentino.
Vincenzo Calì
Vincenzo Calì
inviato da gg il 07 October 2009 22:11
In bocca al lupo dal Piemonte caro Giorgio ed un saluto alla tua bella famiglia.
Ho apprezzato molto il passo sulle liberalizzazioni dei servizi pubblici locali. Mi auguro di vederti presto all'opera sul tema.
ciao
gg brossa
Ho apprezzato molto il passo sulle liberalizzazioni dei servizi pubblici locali. Mi auguro di vederti presto all'opera sul tema.
ciao
gg brossa
inviato da ggiuseppe il 07 October 2009 12:56
io spero solo che finisca una buona volta la politica fatta di mozioni e di scelte tra candidati, una deriva personalistica che non mi entusiasma più e che tende a farci implodere come partito.
avrei preferito un passaggio più netto nei confronti del rapporto stato (provincia) e chiesa in trentino, con una posizione inequivocabile a proposito dei finanziamenti alla scuola cattolica (anticostituzionali).
in ogni caso, spero che il senatore tonini venga eletto a segretario provinciale, anche perchè mi sembra l'unica personalità in grado di fronteggiare un dellaismo che ultimamente mostra segni a mio avviso chiari di svolta a destra.
avrei preferito un passaggio più netto nei confronti del rapporto stato (provincia) e chiesa in trentino, con una posizione inequivocabile a proposito dei finanziamenti alla scuola cattolica (anticostituzionali).
in ogni caso, spero che il senatore tonini venga eletto a segretario provinciale, anche perchè mi sembra l'unica personalità in grado di fronteggiare un dellaismo che ultimamente mostra segni a mio avviso chiari di svolta a destra.
inviato da marteras il 05 October 2009 15:26
ottimo intervento - spero che tu venga eletto - il Pd trentino ne guadagnerebbe: avrebbe un segretario lucido ed equilibrato. Complimenti e auguri -marteras-