Il governo Gentiloni ha proposto al parlamento, che ne ha appena avviato l’esame, una manovra di bilancio in evidente continuità con la linea di politica economica e sociale seguita dai governi guidati dal Pd in questa legislatura. Il perseguimento del pareggio strutturale del bilancio, condizione per avviare la riduzione del pesante fardello del debito pubblico che grava sul presente e sul futuro dell’Italia, è stato sapientemente ed efficacemente armonizzato, attraverso la conquista nel confronto con l’Europa di significativi spazi di flessibilità, con l’obiettivo di rimettere in moto la crescita e l’occupazione.
I risultati finali di questa legislatura dicono che la scommessa del Pd è stata vinta: siamo entrati nella legislatura in piena recessione, con la lancetta del pil che segnava -3%, e in procedura di infrazione europea per deficit eccessivo, avendo superato il 3% di disavanzo. Chiudiamo la legislatura con il pil a +1,5 (4 punti e mezzo in più) e il deficit dimezzato a 1,6. Nel frattempo si sono creati un milione di posti di lavoro, la produzione industriale vola e la bilancia commerciale ha l’attivo più grande d’Europa dopo la Germania. Torna a crescere perfino l’edilizia, mentre le banche, che avevano subito i colpi della recessione e della crisi del debito sovrano, tornano a vedere il sereno, grazie ad un intervento pubblico che peraltro ha pesato sul contribuente italiano in misura assai più leggera rispetto agli altri paesi europei.
Ciò non significa che tutto vada bene e tutti i problemi siano risolti. Il principale punto di debolezza dell’Italia resta il forte rischio di instabilità politica, conseguenza del vero nostro scacco in questa legislatura: quello della riforma delle istituzioni nel senso della democrazia decidente. L’incertezza della prospettiva politica, abbinata all’elefantiasi del nostro debito pubblico (in gran parte frutto delle politiche previdenziali folli degli anni settanta e ottanta del secolo scorso) e all’esaurirsi degli effetti espansivi della politica monetaria della Bce, devono raccomandarci serietà e autocontrollo, sia sul piano parlamentare che su quello politico. Le poche risorse disponibili vanno concentrate su obiettivi di qualità, economica e sociale, e non sprecate inseguendo la demagogia populista.
La manovra proposta dal governo individua un obiettivo di grande rilievo sul quale concentrare le risorse: quello dell’occupazione giovanile, attraverso una riduzione strutturale del costo del lavoro dei giovani assunti con contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. Attorno a questo nucleo fondamentale ruotano altre importanti misure, tutte rivolte a sostenere gli investimenti, sia nell’ammodernamento degli impianti sia nella qualificazione del capitale umano.
C’è un punto invece sul quale la manovra è carente ed è quello delle politiche a favore della famiglia e della natalità: una lacuna tanto più evidente, se si considera che quella demografica è ormai diventata una vera e propria emergenza nazionale. Questa lacuna va colmata e può essere colmata nel corso dell’esame parlamentare. Ad una precisa condizione: che si concentrino su questo obiettivo tutte le (poche) risorse disponibili e si sconfigga la tentazione di disperderle in mille rivoli, o di destinarle a obiettivi sbagliati, come quello di rimettere in discussione i capisaldi della riforma Fornero, a cominciare dall’adeguamento automatico dell’età pensionabile all’aspettativa di vita. L’obiettivo sacrosanto di consentire l’uscita anticipata dal lavoro a chi svolge mansioni particolarmente gravose e usuranti può e deve essere perseguito attraverso l’istituto dell’Ape sociale e non attraverso il cambiamento delle regole per tutti. Una via, questa seconda, che rischia di compromettere un bene sociale indisponibile, come la solidità e la sostenibilità del nostro sistema previdenziale.