Nella livorosa intervista rilasciata al Corriere di oggi, Pierluigi Bersani accusa il Pd, traviato da Renzi, di tutte le peggiori nefandezze. La prima è quella di aver fatto in questi anni una politica economica e sociale di destra, che avrebbe aumentato le disuguaglianze sociali. Evidentemente Bersani non ha letto l’ultimo rapporto dell’Istat sulla redistribuzione del reddito in Italia, pubblicato il 21 giugno scorso. Altrimenti sarebbe stato più cauto. L’Istituto nazionale di statistica certifica infatti che «Le principali politiche redistributive del periodo 2014-2016 (bonus di 80 euro, aumento della quattordicesima per i pensionati e sostegno di inclusione attiva), hanno aumentato l’equità della distribuzione dei redditi disponibili nel 2016 (l’indice di Gini è passato dal 30,4 al 30,1) e ridotto il rischio di povertà (dal 19,2 al 18,4%)». Dunque, il Governo Renzi, quello al quale il deputato Bersani ha ripetutamente votato la fiducia, anche se lui non se ne è accorto, è stato un governo riformista di centrosinistra, un governo che le gravi diseguaglianze che pesano sulla società italiana, ha cominciato a ridurle: coi fatti, certificati dai numeri dell’Istat, e non con le chiacchiere, tipiche di quella sinistra parolaia alla quale il riformista padano Pierluigi Bersani sembra essersi iscritto, nello stupore generale.
Si parla tanto, in questi giorni, di unità a sinistra. Intento certamente lodevole. Ma l'unica unità possibile è quella che si basa sul reciproco riconoscimento, quanto meno della buona fede e della rettitudine delle intenzioni: se mi dici che sono di destra, che ho voluto e voglio aumentare le disuguaglianze sociali, come possiamo pensare di allearci? E poi, l'unità deve basarsi su un metodo riformista: le diseguaglianze si riducono con le riforme. Come gli 80 euro di sgravio fiscale, strutturale e permanente, ai lavoratori. Come la quattordicesima, anch'essa strutturale e permanente, ai pensionati. Come lo strumento, strutturale e permanente, di contrasto alla povertà attraverso il sostegno all’inclusione attiva, che per la prima volta è stato introdotto in Italia. Le riforme, per definizione, non sono mai perfette e definitive. Vanno valutate nei loro effetti, con serietà e pragmatismo. Se dimostrano limiti e difetti, vanno corrette. L’Istat, ad esempio, mette in evidenza come l’impatto delle tre misure valutate sia stato più forte tra gli anziani, mentre abbia appena sfiorato i giovani. Questo è un limite del nostro lavoro, certamente non intenzionale, che va corretto. E infatti a questo obiettivo, quello di dare migliori opportunità di vita e di lavoro ai giovani, dovrà innanzi tutto puntare la manovra di bilancio prevista per questo autunno.
C'è poi un'altra questione di fondo, che il rapporto Istat evidenzia in modo impietoso e clamoroso: «L’intervento pubblico — dice il rapporto — migliora la posizione del 56,6% degli individui con redditi familiari di mercato nulli o molto bassi, appartenenti al quinto più povero della popolazione. Al crescere del reddito di mercato diminuisce l’importanza dei trasferimenti e aumenta quella del prelievo, determinando peggioramenti che non riguardano soltanto individui in famiglie con redditi di mercato elevati, ma anche il 49,6% di chi ha redditi medio-bassi». In sostanza, dice l’Istat, la struttura attuale del sistema dei trasferimenti monetari pubblici in Italia, allevia la condizione del quinto più basso e peggiora, come è normale che sia, quella dei due quinti più alti, ma grava in modo pesante anche sui ceti medio-bassi (secondo e terzo quinto dal basso, cioè operai e impiegati), che per la metà degli individui che li compongono significa un peggioramento della loro condizione di vita, già tutt'altro che privilegiata. Una politica di alleggerimento del carico fiscale, in misura e con tempi compatibili con gli equilibri di finanza pubblica, attraverso le necessarie riforme, è dunque la politica più di sinistra che si possa immaginare nella concreta condizione attuale. Altro che regalo ai ricchi.
Parliamone, discutiamone, cerchiamo insieme le soluzioni migliori. Solo così si può costruire l'unità che serve al governo del paese. Altrimenti, come dice Bersani, ognuno vada dove lo porta il suo cuore. O il suo rancore.