Signor Presidente, il Gruppo del Partito Democratico voterà convintamente a favore della fiducia al Governo ed esprimerà un sì altrettanto convinto al decreto-legge al nostro esame.
Voteremo a favore perché questo decreto-legge è un tassello importante all'interno di una strategia di politica economica e sociale che si sta rivelando, man mano che il tempo passa, fruttuosa, perché è stata impostata in modo al tempo stesso ambizioso e concreto.
Ho sentito in questo lungo dibattito tante critiche formulate a questo o a quell'aspetto del decreto-legge. Adesso non c'è il tempo per tornare su tutti i singoli aspetti, ma i colleghi intervenuti ieri in discussione generale hanno già replicato, punto per punto: cito per tutti il collega Ichino che ha risposto, da par suo, alle obiezioni, per carità legittime, ma a nostro avviso assolutamente infondate, sulla misura a favore del lavoro occasionale. Le critiche sono state avanzate alle singole misure, ma anche e soprattutto all'impostazione generale della nostra politica economica e sociale. Ho sentito tante critiche, ma nessuno di noi è riuscito, nonostante gli sforzi nel cercare di comprendere e ascoltare le ragioni degli altri, a cogliere una strategia alternativa, altrettanto ambiziosa e ‑ mi si consenta ‑ altrettanto concreta.
La strategia del Governo si è concretizzata in questi anni innanzitutto nell'obiettivo di mettere in campo politiche a favore della crescita e dell'occupazione (questo è stato il nostro principale obiettivo e lo è anche in questo decreto), producendo il massimo impegno possibile di risorse pubbliche, sia attraverso gli investimenti che attraverso la riduzione della pressione fiscale, concentrata in particolare su impresa e lavoro, compatibilmente con l'obiettivo del consolidamento fiscale che per noi è altrettanto importante.
In termini di finalità, l'obiettivo è innanzitutto quello della crescita e dell'occupazione, ma dal punto di vista strumentale è altrettanto importante ed essenziale l'obiettivo del consolidamento fiscale e cioè la progressione verso il pareggio di bilancio e quindi la stabilizzazione del debito. Ci è stato riconosciuto da tutte le autorità internazionali che il nostro debito è in una fase di stabilizzazione, in particolare in rapporto al PIL. Naturalmente, una volta raggiunto il pareggio, l'obiettivo è quello di una riduzione del debito. Il terzo importante elemento di questa strategia è mettere in campo riforme, sia dei mercati che degli apparati pubblici, finalizzate ad aumentare la crescita potenziale e la produttività complessiva del nostro sistema.
In questi anni e con questo provvedimento prosegue il cammino verso una riduzione strutturale della pressione fiscale e al tempo stesso una sua rimodulazione e riqualificazione.
Non sto a ricordare tutte le misure di politica fiscale varate in questi anni; altro che strategia delle mance e dei bonus, come sento continuamente ripetere! 10 miliardi di euro di sconto fiscale ai redditi medio bassi, saldati con la riduzione dell'IMU sulla prima casa (quindi della pressione, anche in questo caso, sui ceti che posseggono la loro prima casa): due terzi di queste risorse sono andate ai consumi, quindi hanno sostenuto la crescita di questi anni.
Vi è, poi, la riduzione strutturale dell'IRAP e dell'IRES che, insieme agli incentivi agli investimenti, da quelli sulle infrastrutture edilizie a quelli sui macchinari, hanno aiutato la ripresa in atto, trainata, in particolare, dal sistema industriale.
Da ultimo, le misure universali e strutturali di contrasto alla povertà.
Non si tratta solo di riduzione, ma anche di riqualificazione e riorientamento della politica fiscale, proseguendo la strada della riduzione selettiva, in particolare sul lavoro e sull'impresa, finanziata anche attraverso un massiccio impegno, inedito in questa forma e in queste misure, contro l'evasione fiscale, in modo particolare contro l'evasione dell'IVA, che è la madre di tutte le evasioni. (Applausi dal Gruppo PD).
Si parla di 50 miliardi di evasione dell'IVA; noi vogliamo finanziare la riduzione della pressione fiscale sul lavoro, sull'impresa e sulle famiglie attraverso una lotta all'evasione fiscale che ci faccia aumentare il gettito dell'IVA, non perché aumentiamo le aliquote - e infatti stiamo lavorando per disinnescare le clausole che aumenterebbero le aliquote - ma perché aumentiamo il gettito attraverso misure strutturali di contrasto all'evasione fiscale. Tali misure non sono un generico impegno, ma la previsione di misure concrete. In questo decreto-legge c'è lo split payment, ma allo studio c'è anche l'estensione e la generalizzazione della fatturazione elettronica, che è lo strumento principe per l'eliminazione alla radice dell'evasione dell'IVA.
I frutti di questa strategia stanno arrivando e lo dimostra proprio questa manovrina, che è nata per correggere uno scostamento modesto dagli obiettivi di indebitamento, dello 0,2 del PIL, ma che, strada facendo, è diventata qualcosa di più importante. Come hanno riconosciuto anche le forze di opposizione, la parte forse più qualificante di questa manovrina è l'anticipo del disinnesco delle clausole dell'IVA del 2018: noi prevedevamo di disinnescarle nel 2018 e un quarto di questa manovra viene anticipato già nel 2017. Insieme al negoziato che è in atto con la Commissione europea, questo ci consentirà in autunno di fare una manovra di bilancio che avrà caratteristiche espansive e non restrittive e, quindi, recessive. (Applausi dal Gruppo PD).
Questo è un punto cruciale, che rappresenta la registrazione della conquista da parte di questo decreto-legge.
È stato riconosciuto anche a livello internazionale che ci stiamo muovendo nella direzione giusta. È stato citato da vari colleghi l'ultimo dato importante, quello della relazione del Fondo monetario internazionale, che evidenzia un aspetto importante, sul quale credo sia utile riflettere e con il quale mi avvio alla conclusione. Il Fondo riferisce che l'economia italiana è al terzo anno di una moderata ripresa (moderata: noi la vorremmo molto più incisiva e stiamo lavorando per questo), che è sostenuta da tre fattori, che il Fondo indica nell'ordine: in primo luogo, dalle politiche e dagli sforzi di riforma del Governo (questo è il primo fattore); in secondo luogo, da agevolazioni monetarie eccezionali (le politiche della Banca centrale europea, che peraltro non arrivano dal cielo, sono in gran parte anche il frutto di una politica europea del Governo italiano); in terzo luogo, dai bassi prezzi delle materie prime.
Il Fondo riporta le proiezioni di crescita per quest'anno all'1,3 per cento; prima erano dello 0,8 per cento e il Fondo le ha corrette in avanti per mezzo punto di PIL, quasi il 40 per cento in più rispetto agli obiettivi previsti.
Poiché però i venti a favore diventeranno meno propizi negli anni a venire - queste istituzioni sono sempre pessimiste e preferiscono peccare di pessimismo che non di ottimismo, ed è giusto così - si prevede che la crescita si attesterà all'1 per cento, quindi meno del 2017, nel 2018 e fino al 2020. Perché le previsioni sull'anno prossimo e i successivi sono più prudenti - e vorrei dire più pessimiste - rispetto a quelle dell'anno in corso? Per la fragilità finanziaria, in gran parte dovuta alla massa del nostro debito pubblico, che ci rende strutturalmente esposti a rischi; al secondo posto ci sono le incertezze politiche e al terzo le eventuali battute d'arresto al processo e al percorso di riforma. I fattori di rischio, allora, stanno certo nel debito, perché ce l'abbiamo sulle spalle, ma esso può diventare pericoloso in presenza di instabilità politica e di una battuta d'arresto nel percorso delle riforme.
Sgombriamo il campo dal dibattito stupido che stiamo facendo, se bisogna andare a votare un mese prima o dopo. Il problema non è la conclusione di questa legislatura, che pure ha un elemento importante, ma la prospettiva: cosa succederà dopo le prossime elezioni? Avremo un Paese stabile in grado di proseguire sul percorso delle riforme o entreremo in una spirale di confusione, nella quale prevarranno gli elementi di rottura rispetto alla strada portata avanti in questi anni? È chiaro che questo è il tema cruciale, sul quale in quest'Assemblea e in questo Parlamento ritengo opportuno avviare una discussione che naturalmente proseguirà nel Paese e nel corpo elettorale, quando, al più tardi all'inizio del prossimo anno, saremo chiamati al voto. Quella sarà la questione decisiva.
L'Europa si sta riorganizzando: ha sconfitto e isolato il focolaio d'infezione che veniva dalla Gran Bretagna, con il rischio di una dissoluzione del percorso europeo e, in particolare, dell'Unione economica e monetaria. L'Europa va avanti, in particolare grazie al clamoroso e straordinariamente positivo risultato delle elezioni francesi: la Francia ha battuto le posizioni euroscettiche e antieuropee della signora Le Pen e ha scelto, in maniera massiccia e chiara, di restare protagonista dell'Europa e dell'euro. In Germania è scontato che il risultato a settembre sarà di continuità e stabilità, indipendentemente dal fatto che questa continuità sia guidata dalla signora Merkel o dal leader della SPD Schulz.
Il problema siamo noi: vogliamo essere in questo gruppo, che sta lavorando per riorganizzare, ristrutturare, riformare e rilanciare il percorso europeo dell'euro, o decidiamo di chiamarci fuori da soli? Sia chiaro che, rispetto a qualche mese fa, quando un eventuale risultato diverso in Francia avrebbe innescato una reazione a catena dissolutiva dell'Unione europea, adesso siamo in uno scenario completamente diverso. È chiaro che una crisi dell'Italia può creare danni all'Europa, ma altrettanto lo è che gli altri Paesi hanno deciso di andare avanti. Il problema è nostro: vogliamo essere dentro questa discussione da protagonisti o vogliamo ritagliarci uno spazio di fuga che ci porterebbe - questo sì - a una condizione d'instabilità pericolosa e di recessione? Questo credo sia il tema politico davanti a noi.
Il Governo - e il Partito Democratico che lo sostiene, insieme all'apporto determinante di altri alleati - è chiaramente orientato verso questa direzione. Siamo per far andare avanti l'Europa e partecipare alla discussione e alla progettazione di una fase nuova per l'Europa stessa e l'eurozona in particolare. Per tale ragione, votiamo la fiducia a questo Governo e al decreto-legge in esame, che di codesta strategia è un tassello importante.