May
11
2017
La lezione di Macron all'Italia
Intervista a Pierluigi Mele, pubblicata sul blog "Confini", RaiNews

Si andrà sempre più verso una Europa a due velocità? Questa sembra la direzione che l’elezione di Macron a Presidente della Repubblica francese imprimerà all’UE. Direzione, con asse franco-tedesco, confermata anche dall’intervista a Repubblica, uscita questa mattina, dal ministro delle Finanze tedesco Schäuble. Quale “lezione” porta l’elezione di Macron all’Eliseo? Ne parliamo, in questa intervista, con Giorgio Tonini, senatore del PD e Presidente della Commissione Bilancio a Palazzo Madama.


Senatore Tonini, non possiamo non partire dalle elezioni presidenziali francesi: qual è la lezione politica che ci viene dalla Francia?

 Se devo sceglierne una in particolare, direi che i francesi ci hanno detto che i problemi agitati dai populisti, sia di destra che di sinistra, sono problemi veri, ma le soluzioni da loro proposte sono invece sbagliate, perfino controproducenti. Macron ha colto la domanda di sicurezza e di protezione che sale dalla società francese. Ed ha convinto due terzi dei suoi concittadini che lo Stato nazionale, anche uno Stato forte ed efficiente come quello francese, non è più in grado, da solo, di corrispondere a queste esigenze profonde, per insuperabili problemi di scala. Solo una sovranità condivisa, come quella che faticosamente, da più di settant’anni, quindi da ben prima dei Trattati di Roma, stiamo cercando di costruire a livello europeo, può dare risposte efficaci ai problemi dei popoli.

 

 

 Il populismo  sovranista è stato sconfitto, ed è una gran fortuna per tutta l’Europa. Certo rimangono, tra i grandi Paesi fondatori dell’UE,  Germania e Italia. Sappiamo che in Germania il confronto sarà tra due europeismi robusti. In Italia,  siamo , come afferma Enrico Letta sulla “Stampa”, impelagati in un dibattito, per la verità sembra più una rissa in un cortile, tra “euro-fobici”, “euro-scettici” e “euro-timidi”.  Insomma siamo ancora l’anello debole. Qual è la sua opinione?

Se guardiamo ai fatti e non ci lasciamo irretire dal chiacchiericcio mediatico quotidiano, vediamo che il Partito democratico, cioè il principale partito italiano, il partito baricentrico degli equilibri politici e di governo del paese, non solo ha l’Europa nel suo dna, non solo ha rappresentato e rappresenta il principale argine in Italia al populismo antieuropeo, ma è anche uno dei protagonisti assoluti del dibattito, del confronto, talvolta del conflitto, in atto in Europa sul futuro dell’Unione. Quando dunque andremo a votare per il nuovo Parlamento, presumibilmente qualche mese dopo i tedeschi che votano in settembre, la posta in gioco sarà molto chiara e riguarderà la partecipazione o meno dell’Italia al gruppo di testa della nuova Europa a due velocità che, grazie all’esito delle elezioni francesi, si può dire, ormai con un certo grado di certezza, che prenderà il largo.

 

 

Veniamo a Macron. Anche qui, come al solito, si è scatenata, in Italia, la corsa, ed è il segno del nostro provincialismo, a chi è più vicino al leader francese. Non Sarebbe più corretto prendere atto che la vicenda del giovane Presidente è un fenomeno tipicamente francese. Questo non significa che non possano esserci affinità con Renzi, non le sembra esagerato l’atteggiamento di Matteo Renzi di appropriarsi del personaggio? 

Cercare le affinità e le differenze sul piano personale, tra Renzi e Macron, può essere divertente e magari interessante per il pubblico di un talk show. Sul piano politico, è evidente l’alleanza tra i due leader, entrambi impegnati sulla frontiera del riformismo europeista. Sul piano istituzionale invece, tanto più dopo la bocciatura della nostra riforma costituzionale al referendum del 4 dicembre scorso, un abisso separa purtroppo il neoeletto president de la Republique, che potrà disporre di tutta la forza che la Costituzione riformata da De Gaulle mette in capo all’Eliseo, dal segretario e candidato premier di una Repubblica perennemente a rischio di ingovernabilità.

 

 

E tanto per rimanere nel tema sappiamo che  vi sono differenze tra i due su diversi dossier economici. Per esempio Macron spinge sulla riduzione del debito pubblico. L’obiettivo è quello di portare, in tempi rapidi, il rapporto deficit-pil all’1%. Un obiettivo per noi ancora lontano. Certo poi ci sono gli investimenti, l’ecologia ecc. Insomma guarda più alla Germania che al Sud dell’Europa. Renzi è consapevole di questo?

Per la verità, nel rapporto deficit-pil, siamo assai più vicini all’1 per cento, e in definitiva al pareggio strutturale, noi italiani, rispetto ai cugini francesi. Che hanno un debito storico meno grande del nostro, ma anche anni di deficit assai più alti, comunque sopra il 3 per cento previsto dai Trattati. Macron si è impegnato a mettere ordine nei conti della Francia. E ha proposto ai tedeschi (e a noi italiani) un patto politico nuovo, basato sul risanamento dei conti dei singoli Stati membri, reso sostenibile da vere politiche espansive a livello di Unione. Per questo Macron ha rilanciato la proposta di un bilancio dell’Eurozona, finalizzato a sostenere un ambizioso programma di investimenti che innalzi il livello di crescita in tutta l’area; un bilancio gestito da un ministro delle Finanze, che ne risponda ad un Parlamento dell’Eurozona. I tedeschi al momento sono cauti e tali rimarranno fino alle elezioni di settembre. Ma sono convinto che il 2018 ci regalerà una nuova convergenza tra Parigi e Berlino, basata su questa innovativa piattaforma francese. Noi abbiamo tutto l’interesse a proporci come comprimari da subito di questo accordo per la riforma dell’Eurozona. E la Francia ha tutto l’interesse a trattare con i tedeschi potendo contare su una convergenza con gli italiani. Non a caso nel suo manifesto politico-programmatico, enfaticamente titolato “Révolution”, Macron non parla mai di asse franco-tedesco, ma di rilancio del progetto europeo “insieme alla Germania e all’Italia e ad alcuni altri paesi”.

 

 

 Comunque questa elezione rappresenta l’ultima occasione per l’Europa di riformarsi. Macron spingerà  “a tavoletta” sul rafforzamento dell’UE. Riuscirà l’Italia a stare dietro a questa accelerazione?

 È questa la vera incognita. E anche la maggiore incertezza che grava sul futuro dell’Europa, una volta messa in sicurezza la Francia grazie alla vittoria di Macron. Ma mentre alle elezioni francesi si giocava il futuro d’Europa, che sarebbe stato radicalmente compromesso con la vittoria della signora Le Pen, alle prossime elezioni italiane sarà in gioco solo l’Italia. L’Europa e l’euro, comunque, andranno avanti, con o senza di noi. Starà a noi decidere se vogliamo restare saldamente agganciati all’Europa, come perfino la Grecia ha scelto di fare, o se invece davvero preferiamo lasciarci andare alla deriva nel Mediterraneo…

 

 

 Parliamo per un attimo del PD. Renzi ha stravinto il Congresso, appena eletto è parso “ecumenico” però poi all’Assemblea di domenica ha continuato nell’ingordigia: niente Presidente alle minoranze. Insomma il “ragazzo” non perde il vizio…

 Il Pd è l’unico grande partito italiano nel quale la leadership sia effettivamente contendibile e sottoposta alla periodica verifica del consenso della base. Non a caso il Pd, nei suoi primi dieci anni di vita, è passato dalla leadership di Veltroni, a quella di Bersani e poi a quella di Renzi. Né Forza Italia, né il Movimento Cinque Stelle conoscono qualcosa di lontanamente paragonabile. Sono entrambi proprietà rispettivamente di Silvio Berlusconi e di Beppe Grillo. Un po’ come gli Stati assoluti erano proprietà privata del sovrano. Matteo Renzi, nonostante la sconfitta al referendum e le dimissioni da presidente del Consiglio, la scissione a sinistra e la competizione interna con due avversari di tutto rispetto, è stato voluto di nuovo  alla guida del partito dal 70 per cento di 1,8 milioni di elettori del Pd. Una rinnovata apertura di credito che gli consegna una grande forza. Sta ora a lui non sprecarla. Resta curioso il fatto che in Italia l’unica “deriva autoritaria” di cui ci si occupa è quella, immaginaria, dell’unico partito che possa essere definito democratico.

 

 

 Tra un anno, se  tutto va bene, ci saranno le Elezioni. Non sarebbe il caso, per il PD, di abbandonare la chimera del 40% e puntare, invece più saggiamente, a costruire una coalizione di centrosinistra ?

 Dal 1994 fino al 2013 le coalizioni sono state create per vincere le elezioni e non per governare. Con tutte le conseguenze del caso… C’è assai poco di saggio, a mio modo di vedere, nel rimpiangerle e nel riproporle. Credo che si andrà a votare tra un anno con un sistema sostanzialmente proporzionale, quale quello scaturito dalle due sentenze della Corte. Non vedo infatti né le condizioni politiche, né quelle tecnico-giuridiche, per una riforma elettorale che produca un vero effetto maggioritario, nella elezione di due Camere con gli stessi poteri e una composizione molto diversa. Il Pd andrà alle elezioni con l’obiettivo di essere confermato primo partito del paese e cercherà poi di costruire attorno a sé una coalizione di governo, omogenea sul piano programmatico, a cominciare dalla riforma dell’Europa. Ma è probabile che nella prossima legislatura il tema della riforma costituzionale si riproponga e che si formi un arco di forze disponibili a sostenere un modello di tipo semipresidenziale alla francese.

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