Ai tempi della segreteria di Walter Veltroni ripartimmo dalle tessere, in gran parte “passive” di Ds e Margherita, invece di organizzare questa imponente massa di elettori che si era messa in fila per far nascere il Pd. Questo l’errore più grave che mi rimprovero
Il tema della partecipazione dei cittadini alla vita pubblica per il tramite dei partiti politici è di tale rilievo civile, democratico e perfino costituzionale, che sarebbe bene venisse sottratto alla piccola propaganda correntizia e alla modesta polemica quotidiana. Tutti i candidati in lizza al Congresso in corso dovrebbero avvertire la nostra democrazia interna come un patrimonio comune dal valore inestimabile, tanto più se confrontato con i modelli gravemente autoritari che prevalgono nelle altre forze politiche italiane, a cominciare da Forza Italia e Cinque Stelle.
Del resto, una delle ragioni fondative del Partito democratico è stata proprio la ricerca di un modello di partito nuovo, che consentisse spazi di partecipazione popolare che la tradizionale forma-partito non riusciva più a garantire. Questa ricerca non è avvenuta senza resistenze e senza conflitti. Da molte parti, dentro e fuori il Pd, è stata dipinta come nuovismo velleitario, subalterno a visioni elitarie, o a modelli estranei alla nostra tradizione, artificiosamente importati dagli Usa o dal Nordeuropa. Sta di fatto che passano gli anni, quest’anno il Pd ne compirà dieci, ma quel modello originario, tracciato nel seminario di Orvieto del 6 e 7 ottobre 2006, grazie in particolare alla relazione di Salvatore Vassallo, e poi tradotto nello Statuto voluto da Walter Veltroni, mantiene intatta la sua forza.
Al cuore del modello Pd sta la “governance duale”, basata sulla complementarietà tra iscritti ed elettori: il Pd è un partito “costituito da elettori ed iscritti”, recita lo Statuto. Elettori innanzi tutto: perché la modalità tradizionale di partecipazione attraverso la tessera è, in Italia e non solo in Italia, in costante declino. Questo è il primo dato sul quale sarebbe opportuno evitare polemiche stucchevoli. A sentire qualcuno, il calo del tesseramento al Pd (calo, beninteso, non crollo) sarebbe imputabile a Renzi. Sembra di sentire Tremonti quando dice che la globalizzazione è colpa di Prodi. Le cose sono leggermente più complicate.
Nel 1947 il Partito comunista italiano di Togliatti aveva più di 2 milioni di iscritti. Quello di Berlinguer 1 milione e 800 mila, quello di Occhetto 1 milione e 2. Il Pds è partito con 900 mila iscritti ed è arrivato alla fusione con altre componenti di sinistra democratica nei Ds, segretario Massimo D’Alema, che ne aveva 600 mila. I Ds hanno tenuto quel livello di adesioni fino alla confluenza, con la Margherita, nel Pd. Sommando iscritti di Ds e Margherita, il Pd avrebbe dovuto avere quasi un milione di tesserati. E invece, il Congresso del 2009, quello che ha incoronato Bersani, si è tenuto con 675 mila iscritti. Quattro anni dopo, nel 2013, Renzi ha ereditato un partito con 530 mila iscritti, che oggi sono diventati 450 mila. La cattiva notizia è insomma che il declino del tesseramento è una tendenza di lungo periodo, sostanzialmente inarrestabile e irreversibile. Difendere il vecchio modello di partito equivale di fatto a subirne la lenta ma inesorabile erosione.
Ma la buona notizia è che il Pd ha scelto un’altra strada, quella di valorizzare l’apporto degli elettori e di trasformare la funzione degli iscritti. Nel grande tesseramento di massa del passato c’era una fortissima componente di adesione “passiva”. Lo dimostrano i dati sulla partecipazione degli iscritti ai congressi del Pds e poi dei Ds. Al Congresso del Pds del 1997 (segretario D’Alema) prese parte appena il 24 per cento degli iscritti, (meno di uno su quattro). Fassino fu eletto segretario in un Congresso al quale prese parte il 32 per cento degli iscritti e fu rieletto quattro anni dopo con la partecipazione del 35. Maurizio Migliavacca, allora segretario organizzativo, parlò di una “partecipazione straordinaria”. Ed aveva ragione, perché nessun partito di allora eleggeva il suo segretario coinvolgendo tanta gente. Resta il fatto che la maggioranza delle tessere dei Ds erano tessere “passive”. Al Congresso di Firenze, quello che decise la confluenza nel Pd, e dunque la fine del vecchio partito, partecipò il 43 per cento degli iscritti: un record, ma comunque una minoranza.
Col Pd, la maggioranza degli iscritti ha sempre partecipato alla elezione del segretario, o meglio alla selezione dei candidati da presentare alle primarie: il 55 per cento nel 2013, il 59 oggi. Dunque, la natura degli iscritti sta cambiando: meno numerosi, ma più attivi. E per questo, forse, anche un po’ più liberi dalle appartenenze correntizie, come dimostra il voto “a sorpresa” in moltissimi circoli. Gli iscritti dunque come autentica infrastruttura stabile, al tempo stesso organizzativa e politica, del coinvolgimento di una assai più vasta platea di cittadini-elettori.
L’iscrizione non è più infatti l’unica modalità di partecipazione alla vita del partito. C’è la possibilità di lasciarsi coinvolgere votando alle primarie: quelle per il segretario, che è anche e indissolubilmente il nostro candidato alla guida del governo del paese, o per le altre candidature alle cariche monocratiche, come sindaci e governatori. Sarebbe bene che smettessimo tutti di litigare sui decimali di aumento o calo delle tessere e cominciassimo a occuparci dei milioni di cittadini che partecipano alle primarie del Pd, nazionali e locali. L’errore più grave che mi rimprovero come membro della segreteria di Walter Veltroni è non averlo fatto già allora. Con Fioroni e Orlando, che avevano la responsabilità dell’organizzazione, ripartimmo dalle tessere, in gran parte “passive” di Ds e Margherita, invece di organizzare questa imponente massa di elettori che si era messa in fila per far nascere il Pd ed eleggere il suo segretario. Furono più di 3 milioni nel 2007, un po’ meno le volte successive, ma sempre una quantità irraggiungibile da qualunque tesseramento tradizionale. Organizzare questa grandiosa fonte di energia democratica è ancora oggi la “nuova frontiera” della cultura organizzativa del Pd. Discutiamo di questo, vi prego, nei prossimi giorni: come portare tanta gente a votare il segretario e come dare loro la credibile certezza che, stavolta davvero, ci occuperemo di loro anche dopo che avremo smontato ì gazebo.