Mar
18
2017
Io servo la Carta, non i desideri dei magistrati
Intervista pubblicata su "Il Dubbio"

Siamo stati demnizzati in un modoinaccettabile per un paese civile». Così il sena­tore Giorgio ToniniCosì il sena­tore Giorgio Tonini, uno dei 19 parlamentari del Partito Democra­tico che hanno votato contro la decadenza di Augusto Minzolini, bolla le polemiche intorno al "sal­vataggio" del parlamentare azzur­ro.

 

Senatore, vogliamo chiarire per­ché ha votato no?

Perché io come senatore sono sta­to chiamato a valutare se sia esi­stito il cosiddetto fumus persecu­tions contro Minzolini. Per farlo, ho analizzato i fatti: un'accu­sa già di per sé scivolosa, visto che si trattava di una questione aziendale i    sull'uso di una carta di credito oltre il limite previsto. Poi un'assolu­zione in primo grado. Infine la misteriosa sen­tenza di appello, con una condanna superiore alla richiesta dell'accusa e che sembra fatta ap­posta per rientrare nella Severino, ignorando qualsiasi attenuante. Una sentenza pronunciata da un collegio in cui siede un magistrato che è stato parlamentare del cen­trosinistra e quindi avversario po­litico dell'imputato. A mio modo di vedere, in base a questi elemen­ti il fura us c'è: questo non vuol di­re che ci sia la prova che il giudice Sinisi si sia comportato in modo settario contro Minzolini ma il so­spetto che ci sia stata una senten­za perlomeno influenzata da ra­gioni politiche esiste. Quindi ho votato contro la decadenza.

 

E però Minzolini è stato condannato con sentenza passata in giu­dicato, qualcosa vorrà pur dire...

Ma come si fa a dire che, siccome questa è la sentenza, noi automa­ticamente siamo chiamati a met­terla in opera? La Costituzione ci assegna il dovere di giudicare e ra­tificare pedissequamente la sen­tenza avrebbe significato mancare al nostro dovere. Io mi sono sen­tito di applicare la massima del­l'ir! dubio pro reo: in una situazio­ne di dubbio meglio assolvere un colpevole che condannare un in­nocente.

 

Quindi anche la legge Severino andrebbe eliminata?

Tutt'altro, io sono un sostenitore della legge Serverino. Ci sono del­le cose da migliorare ma l'impian­to è giusto, io condivido l'idea che chi abbia avuto condanne penali significative e in particolare per reati contro la pubblica ammini­strazione possa essere escluso dal­l'elettorato passivo. Di più, riven­dico la correttezza dell'istituto della decadenza.

 

Ma la legge Severino non andava applicata nel caso di Minzolini?

L'opposto. Il mio è stato un voto perfettamente coerente con lo spi­rito della legge Severino, che rin­via alla procedura costituzionale secondo la quale la decadenza de­ve essere vagliata dalla camera di appartenenza del parlamentare in carica, ai sensi dell'articolo 66 della Costituzione. Noi non dove­vamo schiacciare un pulsante e prendere ordini da una decisione esterna.

 

Eppure gli attacchi sono stati fe­roci...

La penna gentile di Peter Gomez ci ha definiti «maiali»: un linguag­gio e una demonizzazione inac­cettabili per un paese civile. Chi dice che abbiamo calpestato la legge non capisce è che proprio la legge a chiederci di entrare nel merito. Noi siamo chiamati a giu­dicare e quindi soppesare i valori in campo: da una parte una norma severa che va applicata e che io difendo, dall'altra la valutazione se la sentenza di condanna è vi­ziata da elementi esterni alla giu­risdizione e interni alla politica. Nel Pd non c'è stato un voto omo­geneo, come mai? Io sono orgoglioso che il mio par­tito abbia dato libertà di coscien­za: gli altri hanno dato un giudizio politico compatto, nel Pd ciascu­no ha potuto giudicare. Inaccetta­bile è invece ridurre tutto a un mercimonio, soprattutto visti i no­mi di chi ha votato no: da Mario Tronti a Rosaria Capacchione, che vive sotto scorta da anni perché la camorra l'ha condannata a morte. Lei sarebbe una donna pronta a fa­re voto di scambio?

 

Falsi anche i teoremi di una re­stituzione di favori dopo il salva­taggio di Lotti?

Falsi per una ragione molto sem­plice: i voti di Forza Italia non so­no stati determinanti per il no alla sfiducia a Lotti. Se si sceglie una lettura faziosa, però, qualunque comportamento sarebbe stato sba­gliato. Se noi 19 avessimo votato contro Minzolini, forse ci avreb­bero detto che abbiamo usato due pesi e due misure. Voti di questo genere sono sempre e comunque utilizzabili nella polemica politi­ca.

 

Significa allora che siamo al de­finitivo cortocircuito tra magi­stratura e politica?

Io credo che dovrebbe essere nor­male che un magistrato che entra in politica non possa poi tornare alla toga e spero che la legge alla Camera metta su questo la parola definitiva. Aggiungo un elemento: questi magistrati, per restare fedeli alla loro vocazione, dovrebbero essere capaci di portare nella po­litica un plus di equilibrio, sag­gezza e senso della misura.

 

 Invece?

Invece, in alcuni casi, accade esat­tamente il contrario. Sembra quasi che i magistrati entrino in politica per appiccare il fuoco. Mi piacerebbe che riflettessero su questo: la dote maggiore che si richiede a un magistrato è l'equilibrio e non lo si può perdere quando si va in Parlamento. Di più, proprio i ma­gistrati dovrebbero aiutare gli altri a contenere la faziosità.

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