Sep
21
2016
Europa salva se segue la via riformista
Articolo pubblicato su il "Trentino"

La nuova sconfitta elettora­le della Cdu, stavolta a Berlino, ha messo in eviden­za tuti i limiti della strategia at­tendista di Angela Merkel e ri­proposto come unica soluzione possibile della crisi europea la via riformista suggerita nei gior­ni scorsi a Trento daMario Dra­ghi. Stare fermi, in attesa che l'onda populista passi, ogni gior­no di più appare una scelta det­tata dalla paura più che dalla prudenza. Battere il populismo difendendo lo status quo è infat­ti illusorio, per la semplice ragio­ne che lo status quo è indifendi­bile e insostenibile. Pei tutti, te­deschi compresi.

Se la casa brucia, restare fermi aspettando che le fiamme si estinguano non è una strate­gia. E se si vuole evitare che runica alternativa alla morte certa sia la mossa, dettata dalla disperazione, di buttarsi dalla finestra dell'ultimo piano, co­me in sostanza propongono tutti i populisti, bisogna orga­nizzare una risposta coraggio­sa e razionale al tempo stesso, come quella a cui sono adde­strati i vigili del fuoco.

La prima settimana di set­tembre ho partecipato a Bru­xelles alla Conferenza interisti­tuzionale (Parlamento euro­peo e parlamenti nazionali) sul futuro del bilancio dell' Unione europea. Mario Monti è incari­cato di predisporre un rapporto su una questione apparente­mente ipertecnica, in effetti squisitamente politica. Come ho avuto modo di dire nel mio intervento, oggi l'Europa è l'area del mondo con la più al­ta incidenza della spesa pubbli­ca in rapporto al PIL. Il vecchio continente viaggia attorno al 45%, negli USA sono dieci punti sotto. Il problema è che men­tre la spesa pubblica america­na (circa un terzo del loro pro­dotto) è equamente distribuita (50 e 50) tra 11 bilancio federale e quelli degli stati, la ben più corposa spesa pubblica euro­pea è gestita al 98% (!) dagli sta­ti nazionali e solo per il 2% dall' Unione. Non è tutto: quel mi­nuscolo 2% è quasi interamen­te assorbito, non dalla fameli­ca burocrazia di Bruxelles, ad­ditata al pubblico ludibrio in tutti i comizi antieuropeisti, e che invece costa solo il 6 per cento di quel 2 (in pratica lo 0,0012% della spesa pubblica europea...), ma per sostenere l'agricoltura e finanziare i fon­di di coesione territoriale. Otti­me cose, per carità. Ma chi si occupa, in Europa, di difesa e sicurezza interna, immigrazio­ne e cooperazione allo svilup­po, grandi infrastrutture ed energia, ricerca e innovazione, sostegno alla crescita e all'occupazione? Di fatto, nessuno. Non gli stati nazionali, troppo piccoli, anche i più grandi, pei farlo efficacemente. Ma neppu­re l'Unione, che non ha né la competenza giuridica, né tan­tomeno le risolse finanziarie, per farlo. Basti pensate, per fa­re solo un esempio, che quella europea è la seconda spesa mi­litare del mondo dopo quella americana, pari a quell a cinese e rossa messe insieme, ma ser­ve a finanziare eserciti inca­paci da soli di fronteggiare qua­lunque minaccia esterna...

Che i popoli europei siano sempre plu insoddisfatti di questo stato di cose è più che comprensibile, è perfino ov­vio. Come si fa a non arrabbiar­si se ti chiedono di pagare il 45 per cento di quello che produ­ci, molto più di ogni altra area del mondo, per avere In cam­bio un sistema pubblico che non assicura più, a livelli accet­tabili, né sicurezza, né crescita economica, né coesione socia­le? La risposta populista non solo non risolve, ma aggrava la crisi. "Restituiamo la Francia al francesi", propone la signo­ra Le Pen. Come se la Fiancia fosse in grado da sola di garan­tire ai suoi cittadini, nel mondo globalizzato di oggi, sicurez­za, crescita e occupazione, riappropriandosi di quel fasti­dioso 2 pei cento trasferito a Bruxelles.

Ma alla demagogia neo-na­zionali sta non si può risponde­re con l'avanti piano, quasi i dietro, dell'attuale. stanco motore franco-tedesco, ma solo ri­lanciando una credibile strate­gia neo-federale, ispirata (co­me ha proposto Draghi sulle orme di Degasperi) ad un rin­novato principio di sussidiarie­tà. È l'intero sistema della spe­sa pubblica europea che va rivisto in profondità: lasciando e se necessario restituendo agli stati nazionali le competenze che meglio possono essere ge­stite a quel livello e mettendo invece in comune (se necessa­rio, almeno in una prima fase, sulle basi volontarie dele coo­perazioni rafforzate) sovranità e risorse, per affrontare a livel­lo sovranazionale le questioni che si presentano come troppo complesse per poter essere ge­stite dai singoli stati.

Questa è la vera ' Grande Riforma" che serve al futuro dei nostri figli. Ma chi è in grado in questo momento di farsene ca­rico? Dopo la Brexit, il pallino l'hanno in mano tre paesi: Ger­mania, Francia e Italia. Diffici­le dire se e quando i tre grandi d'Europa troveranno un accor­do dettato dal coraggio rifor­matore e non dalla paura con­servatrice. Una cosa, però è certa: l'unica via attraverso la quale noi italiani possiamo contribuire a far evolvere la si­tuazione in modo positivo è quella di sostenere lo sforzo di rinnovamento che il governo Renzi, anche raccogliendo l'eredità dei predecessori, ha messo in campo e che ha posi­tivamente impressionato non solo i governanti, ma soprattut­to le opinioni pubbliche degli altri paesi europei. Anche per questo è importante che al re­ferendum costituzionale vinca il Sì.

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