Sep
14
2016
Il ruolo del bilancio europeo
Intervento alla conferenza con i Parlamenti nazionali sulle risorse proprie dell'Ue all'Europarlamento a Bruxelles

Il carattere interistituzionale di questa Conferenza, che vede la presenza di una rappresentanza dei Parlamenti nazionali, accanto a quelle del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione, consente e in un certo senso suggerisce di inquadrare la questione della valutazione, della finalizzazione e della revisione del budget dell'Unione europea, nella più ampia prospettiva della finanza pubblica europea, in massima parte ancora oggi costituita dai bilanci degli Stati membri.

 

Facciamo qui i conti con il carattere strutturalmente complesso della costruzione europea, che ha alla sua base il principio del superamento del monopolio della sovranità, a lungo detenuto dagli Stati nazionali, in favore di una sua condivisione tra gli Stati e di una sua riorganizzazione in un sistema multilivello — comunale, regionale, statale, federale — nel quale si riarticola lo stesso binomio-chiave della democrazia moderna, costituito dal rapporto tra tassazione e rappresentanza.

 

Naturalmente, questo auspicabile allargamento di prospettiva non deve ridursi a un espediente per sfuggire alla responsabilità di misurarsi con la concretezza delle questioni con le quali si sta confrontando il Gruppo di alto livello, autorevolmente presieduto da Mario Monti. Deve trattarsi piuttosto del tentativo di condividere, o almeno di discutere in modo stringente e ravvicinato, una visione di medio periodo circa l'adeguatezza del complesso sistema della finanza pubblica europea e delle esigenze di riforma che esso presenta: nel presupposto che questo esercizio possa risultare utile anche a superare gli ostacoli che fin qui si sono frapposti ad una piena attuazione dell'articolo 311 del Trattato sul funzionamento dell'UE.

 

Il principale problema che il sistema della spesa pubblica europea oggi evidenzia è il divario tra le sue dimensioni e i suoi risultati. L'Unione europea è l'area del mondo con la più elevata incidenza della spesa pubblica sul PIL: circa il 45 per cento, una decina di punti più degli USA. E tuttavia, l'Unione europea, da molti anni, e ben prima della grande crisi del 2008, è una delle aree del mondo che crescono di meno. Ad esempio, stabilmente meno degli USA. E nonostante l'elevato livello di spesa pubblica, da diversi anni è tornata a crescere la disuguaglianza: tra gli Stati membri e all'interno della maggioranza degli Stati membri. È tornata a crescere anche la povertà. E non è tutto: la spesa pubblica più grande del mondo si mostra sempre meno capace di garantire il bene pubblico primario per antonomasia, la sicurezza.

 

Questi dati di fatto, certamente grezzi ed elementari, ci dicono che, così come è organizzata oggi, la spesa pubblica europea non risponde appieno ai criteri di efficacia e di efficienza, basilari per ogni contratto sociale. Il diffuso malessere che affligge la maggior parte dei popoli europei, che manifestano un crescente distacco, al tempo stesso verso le istituzioni e le formazioni politiche, europee e nazionali, indica che qualcosa non funziona nel rapporto tra tassazione e rappresentanza, nel complesso edificio multipiano europeo.

 

C'è dunque poco da conservare e molto da riformare, e in profondità, nell'attuale assetto della finanza pubblica in Europa. La nostra esperienza parlamentare ci insegna peraltro quanto sia difficile riformare la struttura della spesa pubblica, tanto più quando questa abbia raggiunto dimensioni prossime alla metà del prodotto e non possa essere quindi modificata per via incrementale, ma debba essere riorganizzata sostituendo vecchie spese o vecchie entrate con nuove spese o nuove entrate, lasciando invariato, o meglio ancora riducendo, il livello complessivo di risorse impiegate dal sistema pubblico.

 

È in queste circostanze che si moltiplicano resistenze e veti incrociati, da parte di tutti i portatori di interessi: economici, sociali, territoriali; nel caso dell'Ue, ovviamente anche e soprattutto nazionali. L'esperienza parlamentare ci dice che queste resistenze possono essere superate, solo se si mette in campo una visione, un progetto di medio periodo, che consenta a tutti i portatori di interessi di fare i conti con il nuovo scenario e di adattarsi ad esso.

 

È quindi un'occasione da non sprecare, la decisione delle istituzioni europee di promuovere, con l'aiuto del Gruppo di alto livello, l'elaborazione di un progetto di medio periodo di riorganizzazione della finanza pubblica europea, certo focalizzato sulle risorse proprie previste dall'articolo 311, ma inevitabilmente interconnesso con la più vasta questione della struttura del budget europeo e del suo rapporto con i bilanci degli Stati membri.

 

Criterio guida di questo progetto di medio periodo dovrà essere, a mio modo di vedere, la coraggiosa applicazione del principio di sussidiarietà, oggi palesemente violato da una strutturazione della spesa storica che vede, da un lato, un eccesso di intervento federale su materie che potrebbero e dovrebbero essere restituite alle cure del livello statale e, dall'altro, la palese inadeguatezza degli Stati dinanzi a questioni di portata globale che solo l'Unione come tale può essere in grado di affrontare.

 

Nel medio periodo, una revisione della spesa pubblica europea, operata alla luce del principio di sussidiarietà, non potrà non produrre un riequilibrio quantitativo tra la spesa statale e quella federale: tra l'assetto degli USA (50-50) e quello attuale dell'UE (poco più di un punto di PIL di spesa federale a fronte di circa 45 punti di spesa statale) ci sono ampi spazi intermedi.

 

Una prima sperimentazione di questo riequilibrio potrebbe essere l'auspicata capacità fiscale dell'Eurozona, che devolva al livello federale lo sforzo principale di alimentazione finanziaria, economica e politica, in sintonia con le politiche monetarie espansive della BCE, della crescita, della produttività e della competitività. Una devoluzione tanto più necessaria e urgente, quanto più si evidenziano i limiti di una politica economica federale che affida ai soli margini di flessibilità, previsti dal Patto di stabilità e crescita e dal Fiscal compact, la funzione decisiva di mettere in campo gli investimenti necessari al rilancio della crescita e dell'occupazione.

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