May
02
2016
Tutte le cose che Roberto Speranza non puņ non sapere
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Sulla Repubblica di oggi, Roberto Speranza, a nome della minoranza dem, lancia un allarme: “Se Denis Verdini entra nella maggioranza, è la fine del Partito democratico”. 

Speranza mi perdonerà, ma non riesco proprio a dare credito alla sua buona fede. Perché per farlo dovrei dubitare della sua intelligenza. L’intervistatrice, Giovanna Casadio, gli fa notare infatti che Verdini, che allora era il braccio destro di Berlusconi, era in maggioranza, insieme al Pd, sia col governo Monti che con quello Letta. E Speranza, che allora era capogruppo del Pd alla Camera, risponde così: “Non sono vicende paragonabili: nel 2013 o si faceva un governo di larghe intese o non sarebbe nato nessun governo. Oggi invece un governo c’è, il dialogo con Verdini non è una necessità ma una scelta politica”. 

Ecco: un dirigente politico del calibro di Speranza non può sostenere una tesi del genere senza che l’interlocutore sia posto dinanzi ad un dubbio radicale: o Speranza crede alla sua propaganda, e allora incorre in quello che Giancarlo Pajetta definiva l’errore più frequente e più grave per un giovane dirigente politico, oppure ci sta solo rifilando pessima propaganda, con grave detrimento per la sua credibilità. Speranza non può non sapere che il patto del 2013 è durato poche settimane, fino al voto sulla decadenza di Berlusconi da senatore e che il governo Letta sarebbe caduto se Alfano non avesse scelto, insieme ai suoi, la difficile strada della scissione del Pdl e della fondazione del Ncd. 

Speranza non può non sapere che la maggioranza rimasta a sostegno del governo Letta non sarebbe riuscita a portare a termine le riforme costituzionali senza il ritorno di Berlusconi (con Verdini), non al governo, ma al tavolo delle riforme, attraverso il famigerato patto del Nazareno. Speranza non può non sapere che anche quel patto è stato stracciato da Berlusconi, a causa della scelta da parte del Pd di proporre ed eleggere Sergio Mattarella presidente della Repubblica e che è stato su questo passaggio che si è consumata la rottura tra Berlusconi e Verdini. Speranza non può non sapere che senza i voti del gruppo di Verdini, al Senato i 161 sì necessari alla riforma sarebbero stati ad altissimo rischio. Speranza non può non sapere che il gruppo di Ncd ha perso alcuni senatori, passati all’opposizione, a causa del voto di fiducia sulle unioni civili, sostenuto invece dal gruppo dei verdiniani. 

Speranza non può non sapere, in definitiva, che oggi al Senato, senza i verdiniani, la maggioranza forse c’è e forse non c’è e dunque il dialogo con il gruppo di Verdini non è una scelta ma una necessità. Poi c’è la politica, che ci dice cinque cose. La prima è che le varie rotture del patto del 2013 sono state sempre reazioni a scelte che il Pd ha deciso in modo unanime: il voto sulla decadenza di Berlusconi, la scelta di Mattarella per il Quirinale, le unioni civili. 

La seconda è che in questa legislatura i gruppi del Pd sono rimasti uniti e anzi si sono allargati a parlamentari di Sel e di Scelta civica, mentre è stato nel centrodestra che si sono consumate numerose e dolorose scissioni. 

La terza è che il nostro elettorato ha compreso e condiviso quella che resta una linea politica difficile (perché è sempre difficile sostenere a lungo una collaborazione al governo con gli avversari di sempre), come ha dimostrato il risultato storico delle europee e quello largamente positivo delle regionali. 

La quarta è che ciò è stato possibile perché nei contenuti dell’azione di governo e parlamentare abbiamo saputo fare compromessi alti e mai abbiamo ceduto sui nostri principi e valori di fondo. 

La quinta è che c’è un solo modo per non essere più costretti ad alleanze spurie: portare a termine, con la vittoria del SI al referendum confermativo, le riforme costituzionali che renderanno possibile, finalmente, una chiara e limpida scelta del governo da parte degli elettori. Anche questo, Speranza non può non saperlo.

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