Jun
24
2010
Dentro quei cancelli una metafora dell' Italia
Dal sito di Democratica: http://www.scuoladipolitica.it/
  E se Pomigliano fosse una metafora dell'Italia? E se la classe operaia fosse tornata classe generale? magari per uno di quei ricorsi storici sui quali, tre secoli fa, aveva meditato Giambattista Vico, il grande filosofo napoletano al quale sono intitolati quegli stabilimenti Fiat? Difficile scrollarsi di dosso questa domanda. Soprattutto se prima ce ne siamo posti un'altra, la vera domanda, quella che invece sembra non interessare nessuno, la domanda che per prima un sindacato vero, cioè autonomo, unitario e riformista, non diviso tra organizzazioni che firmano a prescindere e organizzazioni che, sempre a prescindere, neppure si siedono al tavolo, si sarebbe posto e avrebbe proposto alla controparte e alla politica: perché la Fiat porta via la Panda dalla Polonia e la porta in Italia, a Pomigliano?

Sabato scorso, sul "Sole - 24 Ore", il numero uno di Renault spiegava perché la sua impresa, per le solite ragioni di costo del lavoro, sta "delocalizzando" tutte le fabbriche d'auto, tranne le due più pregiate, che resteranno saldamente in Francia: quella che costruisce la Laguna, ovvero il modello top di gamma di Renault, e quella dove si lavora alla nuova auto elettrica, che sta per entrare in produzione.

Da noi succede il contrario: Fiat "rilocalizza" in Italia il suo modello-base, quello a più basso valore aggiunto, quello che fa utili solo grazie ai volumi. O forse si potrebbe guardarla da un altro punto di vista e metterla così: Chrysler-Fiat, che grazie a Marchionne sta cercando di diventare una grande impresa multinazionale dell'auto, una delle pochissime che (forse) sopravvivranno alla terribile selezione in atto, ha deciso di "delocalizzare" la Panda dalla Polonia, per portarla a Napoli, nel cuore del Mezzogiorno d'Italia. Un modo di vedere la questione che parrebbe avvalorato dall'altra decisione Fiat: quella di chiudere Termini Imerese e di portare proprio in Polonia la linea produttiva della Lancia Y, che è un modello più "pregiato" della Panda.

Difficile non collegare questa lettura del caso Pomigliano con la drammatica considerazione del Governatore di Bankitalia, Mario Draghi, al convegno del novembre scorso sul Mezzogiorno e ripresa dal Presidente Napolitano nella sua prefazione agli atti: "Il Sud, in cui vive un terzo degli italiani, produce un quarto del prodotto nazionale lordo e rimane il territorio arretrato più esteso e più popoloso dell'area dell'Euro". Proprio così: il territorio arretrato più esteso e più popoloso dell'area dell'Euro. Dunque, un territorio che, proprio a causa della sua "arretratezza", nella divisione internazionale del lavoro è naturalmente vocato ad ospitare produzioni a basso valore aggiunto. E a fare produttività più sulle quantità che sulla qualità. Per di più un territorio che, facendo invece parte dell'area dell'Euro, non può neppure godere dell'aiuto di un tasso di cambio favorevole.


Questo contesto strutturale, e non la perfidia di Marchionne, che non era un socialdemocratico ieri e non è diventato un affamatore del popolo oggi, è il cappio che si è stretto attorno al collo degli operai di Pomigliano. Ma è lo stesso cappio che stringe tutto il Paese, a cominciare dal Mezzogiorno. Un Paese che, oggi come quindici anni fa (tanti ne sono passati dalla epica rincorsa dell'Euro), deve decidere del suo destino: se vuole restare nell'area forte d'Europa, o se invece vuole uscirne. Per restare tra i forti, l'Italia deve fare oggi, finalmente, quel che non ha saputo fare in questi quindici anni: prendere atto della realtà, con realismo e umiltà, e mettersi all'opera con determinazione per diventare un paese efficiente, nel quale le risorse non vengano più bruciate in modo allegramente irresponsabile, ma impiegate nella costruzione di un futuro solido per noi e i nostri figli. Insomma, un paese meno cicala e più formica.


Questo è l'aut-aut che si sono trovati di fronte i cinquemila operai di Pomigliano. Non una scelta tra lavoro e diritti. Perché non sono diritti né l'assenteismo cronico, né la conflittualità permanente: queste sono degenerazioni inaccettabili, maturate in una zona di confine, non sempre netto, tra anarco-sindacalismo e criminalità organizzata, e che come tali vanno chiamate, considerate e condannate. Ed è bestemmiare la Costituzione, invocarla a tutela di queste abitudini intollerabili.


La vera scelta, il vero oggetto del referendum, era se accettare o no di ricominciare da un livello più arretrato di fatica, diciamo pure di sfruttamento intensivo della forza-lavoro: ciclo continuo, tre turni giornalieri su sei giorni, sette ore a turno, al netto delle pause. Sapendo che l'alternativa era finire ad ingrossare le fila della disoccupazione, della disperazione, in definitiva della camorra.


Quasi due terzi dei dipendenti di Pomigliano si sono dichiarati favorevoli a questo atto di responsabilità. Niente di meno, niente di più. Non sono finiti in Paradiso, ma non sono neppure precipitati nel Terzo Mondo. Hanno detto di si a portare a Pomigliano il modello Melfi. Hanno accettato condizioni di lavoro che un bravo dirigente di base della Fiom mi ha definito comunque più avanzate della media, non solo delle piccole, ma anche delle medie imprese metalmeccaniche del famoso Nord-Est.


Se ora Fiat manterrà l'impegno di rilanciare Pomigliano e se Marchionne riuscirà a vincere la sua terribile partita globale, per quei cinquemila ricomincerà la ripresa, la riconquista di migliori condizioni di vita e di lavoro, attraverso una contrattazione pragmatica e non ideologica, perché protesa nella ricerca di sintesi sempre più avanzate tra i sacrosanti interessi dei lavoratori e la ineludibile competizione ormai mondiale sulla produttività.


In questo senso, Pomigliano è una metafora dell'Italia e la classe operaia è tornata classe generale. Perché il voto responsabile di quelle tute blu (oggi diventate bianche) non può restare confinato nel mondo dell'industria, nel mondo produttivo in genere, in quella parte d'Italia che è stretta nel cappio tra la caduta della produttività totale dei fattori del nostro sistema-paese e l'appartenenza alla stessa area monetaria di paesi che sanno far crescere la loro produttività a vista d'occhio.


Se vogliamo che il Paese resti unito socialmente e se vogliamo che l'Italia resti una Nazione, dobbiamo fare della competitività un obiettivo di tutto il sistema, non solo dei settori esposti alla concorrenza internazionale. La competitività non è affare solo delle tute blu, ma anche (e oggi, in Italia, innanzi tutto) dei colletti bianchi: dei settori che hanno a che fare con la spesa pubblica, come con quelli che operano nella finanza.


Il Governo Berlusconi sta cercando di dividere i dipendenti pubblici dai mondi produttivi. Quel che serve è invece un nuovo patto tra produttori e terziario pubblico e privato. Ma nessun patto sarà possibile senza riforme vere, che taglino in profondità, alla radice, il tumore mortale della spesa improduttiva, del parassitismo corporativo, delle molte forme di rendita di posizione. Più in generale, della inadeguatezza dei risultati di interi comparti, basti pensare a scuola e università, rispetto agli standard internazionali.


Solo se il centrosinistra saprà avanzare proposte chiare e nette di riforma dello Stato, della macchina pubblica, del welfare, delle professioni, che consentano di "fare meglio con meno", ovvero di produrre risultati migliori con le stesse e anzi con meno risorse, perché c'è il debito da ridurre, potrà opporsi in modo credibile alla rassegnata politica tremontiana dei "tagli lineari sulle voci rimodulabili", ossia dello stress tanto iniquo e doloroso, quanto inefficace, della spesa pubblica.


Questa è la sfida che Pomigliano ci consegna. Insieme all'ammonimento di Giambattista Vico, frutto di una lettura sapiente della storia umana: "paion traversie eppur sono opportunità".

1 commenti all'articolo - torna indietro
inviato da marinella il 02 July 2010 09:55
IL DILEMMA LAVORO

La scelta di Pomigliano
Una crisi dietro l’altra. Non manca giorno che sul, giornale oppure in Tv, non venga comunicato che una azienda chiude. Quando dieci, quando cento operai tornano a casa. Sembra un bollettino di guerra.
Mentre, le certezze si trasformano in false certezze, tutti aspettiamo che a livello globale si paventi qualche timido segnale di ripresa dalla crisi della finanziaria virtuale che sta attanagliando tutto il mondo industriale dal settembre del 2008. Nel frattempo non ci resta che assistere impotenti alle ripercussioni di quella crisi globale ed iniqua che giorno dopo giorno produce i suoi effetti, questi sì reali, sulle nostre vite.
Cosa accadrà domani, dopo che oggi la Cina ha deciso si sganciare lo Yuan dal Dollaro? Fino ad ieri dollaro USA e Yuan avevano un cambio fisso. È ancora presto per saperlo.
D’altro canto è chiaro, la domanda è ben altra, al livello di noi uomini della strada, e nello specifico la domanda è: cosa avrei fatto io se fossi un operaio di Pomigliano ? Non è chiaro se da un lato la Fiat si stia approfittando di una posizione dominante, oppure vi siano state forti pressioni, da parte di tutte le Istituzioni italiane, affinché la produzione delle auto potesse proseguire sul suolo nazionale. In tal caso, la Fiat dovendo confrontarsi con la sua storia industriale italiana, ha dichiarato di accettare solo se anche gli operai fossero stati d’accordo. Se analizziamo le due posizioni, le clausole imposte dal nuovo contratto possono ritenersi vessatorie oppure giustificate. Certo è che episodi di assenteismo abusivo si sono succeduti con notevole frequenza, in occasione della trasmissione televisiva di importanti partite di calcio, oppure in occasione della proclamazione di scioperi, condizionando e danneggiando la produzione. Questi abusi hanno spinto la Fiat ad inserire nell’accordo una clausola, ritenuta vessatoria dal sindacato FIOM, che prevede il non pagamento dei primi tre giorni di assenza dal lavoro.
Il risultato del referendum apre ancora dubbi sull’accordo per il futuro di Pomigliano d’Arco, la proposta Fiat ha vinto, ma di misura ed il futuro della fabbrica è ancora incerto. Su un totale di 4.881 aventi diritto hanno votato si in 2.888 rappresentando il 62,2%, mentre i voti contrari sono stati il 36 % probabilmente più di quanti l’azienda torinese si aspettasse.
Gli operai sono un po’ con le spalle al muro nell’accettare le nuove e stringenti condizioni che l’azienda ha proposto. Occorre tornare a produrre Panda e non lasciare uscire un altro pezzo di Italia industriale, come ormai stiamo facendo da decenni, per non rincorrere e sfidare la competitività che aumenta in tutto il mondo.
Possiamo puntare tutto sul turismo? Ben sapendo che questo settore ha funzionato bene fintanto che la lira viaggiava a colpi di svalutazione. Negli anni 80 e 90 i tedeschi venivano in Italia a flotte, ma perché nel nostro paese le vacanze costavano meno che altrove. Adesso che altri paese propongono le vacanze a prezzi più convenienti e talvolta servizi migliori, la domanda si sposta inevitabilmente verso queste nuove destinazioni: il Mar Rosso per primo.
Forse accettare il ricatto o la sfida, se così vogliamo dire, della Fiat rimane l’unica strada da percorrere in questo momento di grandissima incertezza; non dimenticando che i nostri padri hanno combattuto a lungo nelle fabbriche per affermare i diritti dei lavoratori e che siamo ancora pronti a difenderli, mantenendo, al contempo, il posto di lavoro.
Oggi però dobbiamo alzare il tiro, occorre uno sguardo più lungo, non serve ripercorrere la strada di chi ci ha già preceduto. Ogni epoca è chiamata ad affrontare sfide diverse e le cure in questo frangente non possono essere le stesse di un tempo.
Forse è giusto, forse sbagliato, difendere la fabbrica, questo dipenderà dalla durata della crisi. La prudenza necessaria in questo momento, richiede di valutare attentamente verso quali settori dell’economia deve puntare il nostro paese; sul primario cioè l’agricoltura, il secondario cioè l’industria oppure esclusivamente terziario e servizi. Dobbiamo però sapere che la battaglia non si combatte a Pomigliano, ma tra le grandi Istituzioni internazionali di regolazione mondiale. Quelle stesse istituzioni che fanno naufragare la conferenza mondiale sul clima perché spinte dal profitto.
Pomigliano, in fondo, è solo uno degli effetti che si producono sul territorio, causati dagli egoismi globali.

Marinella Sichi
24.06.2010

(verrà moderato):

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