«Ho le mani legate» dice al telefono Giorgio Tonini, il grande mediatore della legge sulle unioni civili.
Nel senso che ormai non ci sono più margini di trattativa, senatore?
«No, nel senso letterale: ho il gomito destro e il polso sinistro ingessati. Sono caduto in casa, non posso fare praticamente nulla. Però verrò a Roma per votare la legge».
Lei ha scritto il manifesto fondativo del Pd, ma ha alle spalle una storia cattolica. Se il Papa e Renzi dicono due cose diverse, lei a chi dà retta?
«Dipende da qual è il terreno su cui ci si muove. Per la politica, si decide nel Parlamento e nel partito. Per la vita spirituale conta la comunione ecclesiale. Ma sarebbe sbagliato se Matteo volesse farsi Dio, o se chi rappresenta Dio sulla terra volesse farsi Cesare. Detto questo, non mi pare che il Papa sia contro le unioni civili. Ha detto che il matrimonio cristiano rappresenta il sogno di Dio per l'umanità».
Ma ì gay non sono ammessi al matrimonio cristiano...
«Certo. Però, nello stesso tempo, il Papa sa bene che se si pretende di realizzare un sogno in modo meccanico e autoritario, i sogni possono diventare incubi. Io non vedo le altre famiglie come un attacco alla famiglia "sogno di Dio". Anzi. Questa ricerca di una stabilità affettiva, sia etero che omo, è la prova della forza del matrimonio».
E la stepchild adoption?
«È l'estensione del principio della solidarietà di coppia. Fa sì che il partner faccia sua la responsabilità genitoriale dell'altro».
Per queste posizioni "Il Foglio" l'ha definita "una sanguisuga sul corpo piagato di Cristo".
Oggi si discute di unioni civili. Ma lei è favorevole o contrario al matrimonio gay?
«Stiamo andando nella direzione giusta, seguendo la via più saggia. Le confesso che mi ha impressionato la sentenza della Corte Suprema americana. Un inno al matrimonio, quasi lirico. Per arrivare alla conclusione che proprio per questo nessun essere umano può esserne privato, per nessuna ragione, fosse anche il suo orientamento sessuale. Io oggi penso che facciamo bene a distinguere tra unioni civili e matrimonio. Ma rispetto chi la pensa diversamente».
Lei è un testimone vivente della famiglia numerosa: sette figli. Ne avete parlato anche in casa?
«Le mie figlie più giovani sono schierate per le unioni civili in modo militante. Io cerco di moderarle un po' ma loro hanno un approccio molto forte e deciso».
Così si sarà allenato alla mediazione. Che una volta era considerata un vizio doroteo, se non addirittura un frutto avvelenato del cinismo andreottiano.
«Per qualcuno conservare il potere è più importante delle soluzioni che dai ai problemi. 10 però mi considero un nipotino di Moro. E lui ci ha insegnato che la mediazione alta è il contrario del compromesso al ribasso. La mediazione ha due
alternative: il compromesso e la guerra. A me non piacciono né l'uno nél'altra».
E quindi è un mediatore per vocazione.
«Il Pd è nato per superare gli steccati tra laici e cattolici, sulla base del principio che mettersi insieme a cercare una soluzione con onestà e serietà dà risultati migliori delle contrapposizioni frontali. Per me la mediazione è un valore. Il cristianesimo stesso è mediazione: Cristo è Dio che si è fatto uomo, la mediazione per eccellenza».
Se uno dei suoi sette figli le avesse detto "papà, sono gay", lei cosa gli avrebbe detto?
«Guardi, la cosa più difficile per un genitore è imparare a capire che ogni figlio trova la sua strada da solo, che scopre i suoi istinti da solo. Tu lo aiuti, gli stai vicino, ma poi ciascuno costruisce la propria vita. Noi dobbiamo rispettare tutto questo. E capire che ciò che forma la persona è la libertà».