Apr
21
2015
Così può nascere un buon accordo Renzi-Berlusconi per stabilizzare la Libia
Sul Foglio di oggi qualche mia riflessione dinanzi alla catastrofe umanitaria che si sta consumando davanti alle nostre coste

C'è voluto Berlusconi per spezzare la spirale demagogica e populista, che non esita a piegare alla piccola propaganda del­la politichetta italiana perfino la immane ca­tastrofe umanitaria che si va consumando nelle acque del Mediterraneo. '"Di fronte a quest'ultima tragedia, basta con le accuse e le contrapposizioni. Questo è il momento dell'unità e dell'azione, non delle divisioni e dei contrasti". Così l'ex premier, che ha lanciato la proposta, subito pubblicamente apprezzata da Renzi, di un tavolo bipartisan, dove ciascuno possa mettere a disposizione le proprie esperienze per porre fine a que­ste sciagure. C'è da sperare che il ritrovato asse tra governo e almeno una parte dell'op­posizione, su quella che è oggi la principale questione di interesse nazionale, serva a sgomberare il campo dalle due polemiche inutilmente divisive degli ultimi mesi e gior­ni. Da un lato, a sinistra, la polemica sulla cessazione di "Mare nostrum" e la sua sosti­tuzione con la missione europea "Triton": una vicenda che, al di là degli evidenti, gra­vi limiti della missione europea, è stata assai probabilmente del tutto irrilevante rispetto alla tragedia di domenica scorsa, nella qua­le, a quanto sembra di capire, non sono man­cati i soccorsi, che sono arrivati e in tempo, ma ci si è scontrati con l'impossibilità tecni­ca di evitare il rovesciamento di una imbar­cazione riempita all'inverosimile di persone in preda al panico. Non a caso, salvati e som­mersi hanno purtroppo accompagnato la vi­ta di entrambe le operazioni di pattuglia­mento. Dall'altro lato, a destra, le proposte tanto aggressive nei toni, quanto vaghe e va­cue nei contenuti concreti, di blocco navale: una misura che, a meno che non significhi occupazione militare della Libia, dovrebbe

 

attestarsi in acque internazionali. E a quel punto, non potendo né prendere i barconi a cannonate, né respingere i profughi in Libia, mancando un'autorità legittima a cui conse­gnarli, non si potrebbe che soccorrerli, farli salire a bordo delle nostre navi e accompa­gnarli nei nostri porti. Più o meno quello che si sta già facendo e che a detta di tutti non è più sufficiente.

Il tavolo proposto da Berlusconi dovreb­be servire a spiazzare le facili semplificazio­ni, perlopiù cinicamente strumentali, e di ri­chiamare l'attenzione del paese sul fatto che, a poche miglia nautiche dalle nostre co­ste, c'è la guerra, anzi la terza guerra mon­diale, come l'ha definita Papa Francesco. Una guerra disordinata e frammentata, che ha come epicentro il mondo arabo-islamico, dall'Afghanistan fino alla Libia, passando per Medio Oriente e mezza Africa. Dunque. una tragedia che avvolge nelle sue spire centinaia di milioni di esseri umani. Una guerra che ha già fatto centinaia di migliaia di morti e ha messo in moto milioni di pro­fughi, non emigranti in cerca di fortuna, ma gente che mette insieme quel che ha per scappare dalla morte, dalla violenza, dalla persecuzione. Una guerra che continua a scaricare migliaia di vittime nelle acque a ridosso delle nostre coste, le coste italiane, le coste europee.

Proprio la gravità della situazione, impo­ne un salto di qualità sul piano politico. In­nanzi tutto prendendo atto che la dimensio­ne del problema impone un passaggio di scala, dal livello nazionale a quello euro­peo. E dalla logica dell'emergenza a quella strutturale. Non si tratta di un piagnisteo italiano o mediterraneo: l'Italia ha sempre fatto e continuerà a fare quello che serve,

 

mettendo in campo tutto quello che può. Si tratta di capire che sono in atto rivolgimen­ti che chiedono un intervento dell'Europa come tale, sia diretto (cominciando da una revisione in chiave solidaristica del regola­mento di Dublino), che in seno alla comu­nità internazionale.

Innanzitutto sul terreno decisivo, quello politico-diplomatico, ove necessario suppor­tato anche da un uso adeguato della forza mi­litare, della stabilizzazione della Libia. E' co­sa buona e giusta sostenere senza riserve il tentativo dell'inviato dell'ONU, Bernardino Leon. Ma il negoziato tra le fazioni libiche non può essere privo di un calendario strin­gente e cogente per tutte le parti coinvolte. Solo un'Europa che parli, se non con una so­la voce, almeno all'unisono, può mettere in campo la forza di pressione necessaria a sbloccare la situazione in tempi utili a sal­vare centinaia se non migliaia di vite umane.

Accanto al terreno politico-diplomatico, c'è quello di polizia internazionale, finalizza­to alla lotta determinata e inequivoca ai nuo­vi schiavisti, ai negrieri del nostro tempo, ai trafficanti di esseri umani, chiaramente col­legati con le centrali del terrore e i signori della guerra, in Libia e non solo in Libia. Su questo punto, è venuta l'ora di chiedere al Consiglio di sicurezza una presa di posizione più netta e l'adozione di strumenti giuridici e militari più chiari ed efficaci. Il Ruanda e Srebrenica sono lì a ricordare come quello di omissione possa essere il peccato più im­perdonabile per l'organizzazione preposta al mantenimento della pace e alla difesa dei diritti umani.

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