May
05
2010
Insisto: vocazione maggioritaria
Il mio articolo pubblicato su "Europa"
  In tutti i sistemi politici a competizione bipolare, l'opposizione può tornare a vincere se si verificano due condizioni: una crisi di consenso della maggioranza e un più elevato livello di favore alla proposta di alternativa. Se la prima condizione non si verifica, l'opposizione si trova dinanzi ad un ostacolo oggettivo, che rende pressoché vani i suoi sforzi. Nell'altro caso, l'opposizione deve guardarsi dagli ostacoli soggettivi, che possono rivelarsi non meno impervi.

Penso che questo schema possa risultare utile per una valutazione più a freddo dei risultati delle recenti elezioni regionali, che hanno visto una vittoria del centrodestra e una sconfitta del centrosinistra, in un contesto di forte astensionismo. E' la prima volta, dal 1994 ad oggi, che le elezioni regionali puniscono l'opposizione anziché (o più che) la maggioranza. Fino ad ora, le elezioni di medio termine avevano sempre punito la coalizione al governo, attraverso una più o meno vasta astensione del suo elettorato, alla quale corrispondeva invece una almeno relativa mobilitazione dell'elettorato dell'opposizione.

Sulla base delle elaborazioni dell'Istituto Cattaneo di Bologna, nelle 13 regioni in cui si è votato (lasciando fuori dal conto la Provincia di Roma), il Pdl ha perso 4 dei 10 milioni di voti che aveva preso alle politiche del 2008: un clamoroso -40,3 per cento, che dice che la crisi di consenso della maggioranza c'è ed è grave. Anche perché non è vero che i voti perduti si siano riversati nelle liste della Lega, che non solo non ha aumentato i suoi voti, ma ne ha persi, sia pure pochi (e in questo consiste il suo successo): 117 mila sui 2 milioni 867 mila del 2008.

La brutta notizia è che stavolta non c'è stata la mobilitazione dell'elettorato di opposizione. Il Pd ha perso quasi 4 milioni e mezzo dei suoi più di 10 del 2008 (contando anche la Provincia di Roma): un ancor più duro -43,3 per cento, appena alleviato dalle poche centinaia di migliaia di voti conquistati da Idv e Sinistre, peraltro entrambi in forte riflusso rispetto alle europee. Il Pd non può neppure sperare nell'avvento di un nuovo grande Centro: in un contesto di affanno di entrambi i partiti maggiori, l'Udc non solo non se ne avvantaggia, ma perde quasi 300 mila del milione e mezzo di voti delle politiche.

Riassumendo, le elezioni regionali ci hanno quindi detto: a) che il governo del Paese è tornato contendibile, perché il consenso alla maggioranza è calato vistosamente; b) che pur in assenza di ostacoli oggettivi alla riscossa dell'opposizione, la severa crisi di consenso del Pd segnala un ostacolo soggettivo drammaticamente alto; c) che il Pd non può illudersi di compensare il proprio ridimensionamento con le alleanze, poiché nessuno dei suoi alleati tradizionali mostra tendenze dinamiche e lo stesso progetto centrista appare in crisi.

Il Pd ha preso atto di questo stato di cose nella direzione del 17 aprile ed ha abbozzato una linea di risposta che ha due punti fermi, che aspettano di essere sviluppati, in vista dell'Assemblea nazionale del prossimo 22 maggio. Il convegno di Area democratica, il prossimo fine settimana a Cortona, può essere al riguardo un utile contributo alla riflessione.

I due punti fermi sono la convergenza di tutto il Pd nel tenere al riparo dal risultato del voto la leadership di Pierluigi Bersani, perché sarebbe sbagliato attribuire al segretario un esito negativo che ha radici profonde; e lo speculare riconoscimento della necessità di rivedere la linea politica prevalsa in questi 200 giorni, beninteso per andare avanti e non per guardare indietro. E' stato un errore, ad esempio, liquidare la "vocazione maggioritaria": lo ha riconosciuto implicitamente Enrico Letta, su queste stesse colonne, in un articolo titolato "Prima il progetto, poi le alleanze". Per provare a vincere il Pd deve infatti uscire dal  fortino assediato delle tradizionali aree di consenso al centrosinistra, per conquistare consensi nuovi, correndo il rischio dell'innovazione. Così come deve scongiurare il ripiegamento verso una visione tradizionale della forma-partito e della sua organizzazione, volta più a rassicurare l'attuale gruppo dirigente diffuso, che a favorire l'emergere, attraverso l'effettiva contendibilità degli incarichi, di una nuova leva di dirigenti.

Le cartine colorate dei comuni dell'Emilia-Romagna, elaborate da Fausto Anderlini e pubblicate in un bel servizio del "Sole - 24 Ore" del 14 aprile scorso, sono lì a confermarlo. La prima colora di un verde via via più scuro i comuni nei quali la Lega supera il 12, il 16, perfino il 24 per cento. Fuori dalle città, dove prevale il ceto medio intellettuale, (pubblici dipendenti, studenti, ma anche pensionati) e che rappresenta il nerbo dell'elettorato del Pd e del centrosinistra, c'è il grande mondo della produzione: dai contadini agli operai, dagli artigiani ai commercianti, dai lavoratori autonomi agli imprenditori, sempre meno in conflitto tra loro e sempre più uniti in un "sindacato del territorio", in conflitto con il partito della città, su grandi questioni politico-programmatiche, come l'immigrazione, il fisco, la giustizia. A seconda che si viva dentro o fuori dalle mura, problemi come questi sono pensati in modo assai diverso: nessun dipendente pubblico considera l'immigrato un competitore, magari oggettivamente sleale, come lo considerano invece l'operaio, l'artigiano, l'imprenditore. E anche il fisco, o la giustizia, sono vissuti e pensati in modo radicalmente diverso, a seconda che si faccia parte del settore pubblico, o la si veda invece venirci addosso con la sua pesantezza, salvo non riuscire mai a trovarla quando si debba riscuotere un credito o avere giustizia.

Nel 2008, il Pd si è affermato come il primo partito nelle aree urbane: un primato del quale andare fieri, ma che non produrrà maggioranza politica nel paese se non riuscirà a saldarsi con una parte almeno di quel mondo della produzione che vive nel fitto reticolo della provincia italiana. Questa è la "vocazione maggioritaria": tradurre i nostri principi e valori democratici, di accoglienza e solidarietà, di equità fiscale, di uguaglianza davanti alla legge, in proposte programmatiche che facciano incontrare, fino a saldarle in una nuova forza riformatrice, la città e il territorio, i ceti medi intellettuali e il mondo produttivo, in definitiva il lavoro e la cultura. In questa direzione muoveva il discorso di Veltroni al Lingotto, poi il programma elettorale del 2008, fino all'iniziativa del Pd in parlamento sul federalismo fiscale e da ultimo i testi di Orlando e Fassina sulla giustizia e sul fisco. In questa direzione dobbiamo continuare a muoverci, rendendo patrimonio condiviso le proposte innovative presentate alla Camera e al Senato, a cominciare da quelle di Ichino sul lavoro. Abbiamo tre anni per convincere il paese che stavolta il nostro riformismo è solido e deciso: non possiamo non cominciare subito, con un chiaro segnale alla prossima assemblea.

Ma c'è un'altra cartina di Anderlini sui comuni dell'Emilia-Romagna, che colora la diffusione del voto al movimento di Beppe Grillo: oltre l'8 per cento nelle aree urbane, a cominciare da Bologna. "Il Pd di Veltroni - commenta Anderlini - aveva attratto questa fascia di elettorato, l'aveva catturato. Soprattutto con il messaggio di un partito aperto, di formule democratiche nuove come le primarie: insomma, ha creato un'aspettativa che è rimasta delusa". Anche in questo caso, non si tratta di gettare la croce addosso a Bersani. La distanza tra il "partito nuovo" annunciato e quello effettivamente praticato, a Roma come sul territorio, era diventata troppo grande già nella stagione di Veltroni. E tuttavia, richiudere quella forbice non adeguando i comportamenti agli annunci, ma riducendo l'ambizione democratica e di rinnovamento del Pd, vorrebbe dire sommare alla crescente distanza dei ceti produttivi l'abbandono del ceto medio urbano, con effetti catastrofici sulla nostra tenuta elettorale. Sarebbe un autogol se dall'assemblea uscissero decisioni di ridimensionamento del carattere innovativo e democratico del nostro Statuto: una parte consistente del nostro elettorato lo percepirebbe come un tradimento e ci volterebbe le spalle. La lezione della Puglia non andrebbe dimenticata troppo in fretta. Solo saldando il riformismo programmatico con il rinnovamento di metodi e persone, il Pd potrà guidare il centrosinistra nella costruzione dell'alternativa di governo che serve all'Italia.

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