Dunque la nostra identità trentino-tirolese nasce dal nostro dover entrare in relazione con i nostri grandi e potenti vicini, a Nord e a Sud delle Alpi. Una relazione dalla quale dobbiamo certo anche difenderci: per non venire schiacciati, per non essere ridotti a corridoio di transito, a parco dei divertimenti, a museo del folklore. Per questo ci serve l'Euregio: per fare massa critica, per darci assieme quella dimensione minima, territoriale e demografica, senza la quale non può esserci altro destino che l'irrilevanza. Senza la quale l'autonomia proclamata si rovescia in conclamata dipendenza. Ma è anche e soprattutto, quella con le pianure padana e bavarese, una relazione sulla quale fare leva per crescere.
Per questo, senza dissolverci in esso, non possiamo prescindere dal Nord-Est italiano e, più in generale, da quel sistema che si distende lungo l'asse tra Milano e Venezia, fino a Trieste. E non possiamo sottrarci alla domanda sulla nostra vocazione nell'ambito di una macroarea tra le più forti e dinamiche d'Europa. In questi anni, il Trentino ha cercato di qualificarsi come l'area della qualità e dell'innovazione, mettendo a valore, anche economico e sociale, il grande investimento in sapere e in saper fare che ha caratterizzato il nostro modello di sviluppo da Bruno Kessler in avanti. Riflettere tra noi e discutere con veneti e friulani sull'attualità di questa vocazione e dei modi di portarla avanti mi parrebbe non una concessione a Zaia, ma un nostro interesse, un dovere verso noi stessi. Così come non sarà difendendoci dal federalismo nazionale, compreso quello fiscale, ma dando risposta noi per primi alla domanda di trasparenza e di responsabilità nell'uso delle risorse pubbliche, che potremo assicurare un futuro non effimero alla nostra autonomia speciale.