Jun
21
2014
Grillo e PD, l'intesa difficile
Il mio articolo pubblicato sul quotidiano "Alto Adige"

L'apertura da parte del Movimento Cinque Stel­le ad un confronto con il Partito democratico sulla rifor­ma elettorale èuna gran bella notizia. Il secondo gruppo parla­mentare della Camera e il terzo gruppo del Senato hanno deci­so di uscire dal loro orgoglioso e sterile isolamento e di portare al confronto sulle regole il loro contributo di idee e di propo­ste. Penso si tratti di un altro, positivo effetto collaterale del­la vittoria del Pd alle elezioni europee: contro ogni previsio­ne, il riformismo concreto di Matteo Renzi ha raccolto il doppio dei voti dell'estremi­smo sterile di Beppe Grillo. Tra gli stessi parlamentari di Cinque Stelle e perfino tra i due leader massimi, Grillo e Casaleggio, è così cominciato a serpeggiare il dubbio che la via fin qui seguita dal movi­mento possa rivelarsi una stra­da senza uscita. Dunque, me­glio mettere sul tavolo una proposta, che continuare nel­la sola protesta.

A questo punto, rimosse le pregiudiziali, sarà il merito delle proposte a definire il quadro delle possibili conver­genze. Due sono gli ostacoli che mi pare si frappongano ad un'intesa tra Pd e M5S. Il pri­mo ostacolo riguarda il nesso tra la riforma elettorale (che ri­guarda la sola Camera dei De­putati) e la riforma costituzio­nale, che riguarda il rapporto tra lo Stato e le regioni e le autonomie locali, nonché la composizione e le competen­ze del Senato. In questo mo­mento, a Palazzo Madama, si sta discutendo della seconda (la riforma costituzionale) e solo dopo aver approvato que­sta in prima lettura si riaprirà il dossier riforma elettorale. Ma perché allora il M5S ha aperto a Renzi sulla riforma elettorale, di cui si parlerà in Senato, nella migliore delle ipotesi, nella seconda metà di luglio (ma più verosimilmente in settembre), mentre ha deci­so di non dire nulla sulla rifor­ma costituzionale, che da set­timane è all'attenzione della Commissione Affari costitu­zionali e, dai primi di luglio, lo sarà dell'aula di Palazzo Mada­ma? Al momento una risposta a questa domanda non c'è. Ma è chiaro che Grillo e i suoi parlamentari non possono pensare di opporsi duramen­te alla riforma costituzionale e poi rientrare nei binari del confronto su quella elettorale. Sulla riforma costituzionale dovremmo essere vicini ad un accordo largo, per una corre­zione del testo-base presenta­to dal governo, in due direzio­ni: da un lato, una più chiara riaffermazione del principio di sussidiarietà nel rapporto tra Stato, regioni e autonomie locali, scongiurando o almeno attenuando i rischi di un rigur­gito neo-centralista e anti-autonomistico; dall'altro, una ri­forma del Senato sul modello del Bundesrat tedesco, l'unica "seconda Camera" che ha un ruolo, parziale e limitato, ma vero: quello di rappresentare le autonomie, a cominciare dalle regioni, e di coinvolgerle nel procedimento legislativo. Un obiettivo da sempre im­presso nel DNA del centrosini­stra, fin dai tempi delle tesi dell'Ulivo di Romano Prodi (1995) e rilanciato ora con grande forza da Matteo Renzi. E fallito invece il tentativo, da parte dei 14 senatori "autoso­spesi" del Pd (da Chiti a Mi­neo, da Mucchetti a Casson), di dar vita ad una maggioran­za volta a mantenere un Sena­to, come l'attuale, eletto diret­tamente dai cittadini. Sia la Le­ga che Forza Italia sembra vo­gliano concorrere attivamen­te ad un esito positivo dello sforzo riformatore di Renzi e della maggioranza che lo so­stiene. Non è ancora chiaro in­vece cosa intendano fare i gril-lini. Vedremo nei prossimi giorni.

L'altro ostacolo, tutt'altro che facile da superare, riguar­da la riforma elettorale come tale. La proposta avanzata dal

 

M5S ha un impianto netta­mente proporzionale, appena temperato dalla previsione di soglie di accesso circoscrizio­nali (cioè non nazionali), va­riabili tra il 3 e il 5 per cento. È dunque un sistema, certamen­te del tutto legittimo, che tuttavia non solo non garantisce, ma rende assai improbabile il formarsi nel voto di una mag­gioranza in grado di governa­re stabilmente. Al contrario, il testo approvato dalla maggio­ranza di governo e da Forza Italia alla Camera e ora all'esa­me del Senato, il cosiddetto "Italicum", ha senza dubbio molti difetti, ma grazie al pre­mio di maggioranza, assegna­to al primo o al secondo turno, garantisce che la sera delle ele­zioni si sappia chi ha vinto e chi ha perso, chi governerà e chi starà all'opposizione. Que­sto è un punto, per così dire, "non negoziabile" per il Pd: perché è un preciso interesse del paese. Dunque vedremo, quando il confronto sulla leg­ge elettorale rientrerà nel vivo, se il M5S accetterà il confron­to sulla base dell'Italicum, per quanto da correggere e miglio­rare, o se invece le posizioni dei democratici e quelle dei grillini torneranno a dimo­strarsi incompatibili.

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