Il 25 maggio scorso, il leader del Pd I e premier del governo del Paese, I per la prima volta (nel campo del centrosinistra) unificati nella persona di Matteo Renzi, ha stravinto le elezioni, sbaragliando sui campo sia Grillo che Berlusconi. Insieme a un giovane leader, al suo partito e al suo governo, ha vinto un'idea della crisi italiana e della strategia per venirne fuori: Renzi ha convinto una larga maggioranza relativa degli elettori che una riforma coraggiosa e radicale del Parlamento e dei partiti è ancora possibile e dunque è ancora possibile salvare e anzi rilanciare la nostra democrazia parlamentare.
Renzi ha vinto una battaglia, importante, forse decisiva, ma non ancora la guerra. Se le riforme che ha promesso al Paese e con le quali ha conquistato la fiducia di uno storico 40,8 per cento, dovessero impantanarsi, lo sguardo degli italiani tornerebbe a rivolgersi verso Grillo e Berlusconi. Non necessariamente verso le loro persone o anche le loro forze politiche attuali, ma certo verso le loro narrazioni del Paese, così diverse e sotto molti profili alternative a quella di Renzi: la tesi disperata della non rifor-mabilità della politica, che tra astensioni e voto grillino mantiene una presa impressionante sulla società italiana; o la proposta berlusconiana, per la quale solo una torsione di tipo presi-denzialista può mettere la governabilità al riparo dalla crisi irreversibile del Parlamento e dei partiti.
Sta in questa sfida a tre il senso del passaggio storico che la politica italiana sta attraversando. Un passaggio descritto, con grande passione civile e rigore intellettuale, da Salvatore Vassallo, nel suo ultimo lavoro: Liberiamo la politica. Prima che sia troppo tardi, diçve-na pubblicato dal Mulino. Centottanta pagine che si leggono d'un fiato, come quelle di un pamphlet nitidamente schierato e lucidamente polemico, ma che poi si tengono a portata di mano, comunque la si pensi sulle tesi politiche dell'autore, tanto prezioso è il corredo informativo di dati, ricostruzioni storiche, comparazioni internazionali, proposte rifonnatrici.
C'è tutto VassaHo nella duplice virtù del suo nuovo libro. Formatosi alla scuola esigente della Fuci, di cui è stato dirigente nazionale negli anni 80, e insieme alla grande scuola politologica dell'Università di Bologna, Vassallo ha sempre accompagnato, a un'intensa attività di ricerca empirica e a una produzione scientifica di eccellenza, un quotidiano impegno civile e democratico: dagli anni del movimento referendario di Segni e Parisi, fino a quando, nel 2006, Romano Prodi gli chiese di tenere la relazione sulla fisionomia del nuovo Partito democratico, allo storico convegno fondativo di Orvieto, e poi Walter Veltroni, primo segretario del Pd, nel 2007 lo incaricò di coordinare la redazione dello statuto del nuovo partito. Quel lavoro gli è valso l'epiteto di Dottor Stranamore, affibbiatogli da Franco Marini, polemico contro il partito «di iscritti e di elettori», basato sulle primarie, o meglio, come direbbe Vassallo, sulla «contendibilità» delle cariche dirigenti, a tutti i livelli. Primarie e contendibilità hanno riservato al Pd fatiche e stress, ma gli hanno in definitiva consentito di proporsi al Paese come strumento di cambiamento. Senza primarie, senza quel partito nuovo fortemente voluto da Prodi e Veltroni e «ingegnerizzato» da Vassallo, un giovanissimo presidente della provincia di Firenze non avrebbe mai potuto candidarsi a sindaco della sua città. E tanto meno muovere da Palazzo Vecchio a Palazzo Chigi.
Del resto, gli esiti disastrosi, sul piano elettorale e politico, ai quali ha condotto la linea conservatrice sul piano istituzionale e restauratrice su quello del modello di partito, seguita dal Pd nel corso della XVI legislatura, la «XVI occasione perduta» per le riforme la definisce Vassallo, che in quegli anni è stato deputato del Pd, sono lì a dimostrare come la rinuncia a «liberare la politica» non può condurre che al diffondersi della voglia di «liberarsi dalla politica democratica».
La vittoria di Renzi aHe primarie e il rilancio da parte del nuovo leader dei principi fondamentali del progetto originario del Pd (dalla vocazione maggioritaria alla coincidenza di leader e premier) hanno segnato una controffensiva democratica potenzialmente vincente. Vassallo condivide appieno l'agenda Renzi, a cominciare dalla cru-cialità della riforma del bicameralismo e del superamento del Senato elettivo, in favore di una camera di raccordo col sistema delle autonomie, come del resto proponevano le tesi originarie dell'Ulivo, nel 1995. «La proposta avanzata dal Governo Renzi - scrive Vassallo - contiene, finalmente, coraggiose verità, dopo tante ipocrisie, sul nostro eccentrico bicameralismo. I punti discriminanti su cui è stata impostata (senatori non elettivi e senza indennità) sono sacrosanti, non solo perché parlano al senso comune e alla pancia degli elettori riguardo ai costi della politica, ma perché definiscono correttamente la natura che il nuovo Senato deve assumere se si vuole snellire davvero e dare più forza al Parlamento».