Jun
13
2014
Dobbiamo stare uniti O i cittadini ci portano tutti in manicomio
La mia intervista pubblicata sul "Corriere della Sera"

«Spero si fermino sull'orlo del burrone...». Giorgio Tonini, viceca­pogruppo del Pd, si appella a Mineo e agli altri dissidenti: «A Pd non può caricarsi della responsabilità storica tremenda di far fallire il governo Renzi, dopo il gigan­tesco carico di speranza che ha suscitato negli italiani».

Pensa che gli autosospesi vogliano far saltare il banco?

«Non vedo proporzione tra il danno che si rischia di fare e la materia del con­tendere. È una follia mettere in discussio­ne l'unità del gruppo e del Pd per una questione secondaria, che attiene alla di­sciplina e non alla libertà di coscienza. Di fronte alle sfide enormi che il governo sta affrontando, ci dividiamo sul Senato eletto alla spagnola o alla francese?».

La situazione del Paese giustifica la sostituzione di Mineo?

«Parlano di epurazione, ma qui nessu­no è stato cacciato da nulla. Mineo ha vo­tato in maniera difforme e poiché siamo alla vigilia di un passaggio decisivo, le prime votazioni sugli emendamenti, il partito ha il diritto di sapere se in com­missione c'è la maggioranza oppure no. Al Senato i numeri sono risicati, ognuno ha in mano la chiave per far saltare tutto».

Per Mineo i numeri non ci sono.

«Con la sua sostituzione, i numeri ci sono. E siccome si deve fare un accordo più ampio, un conto è andare al confron­to con Berlusconi forti di una maggioran­za autosufficiente, altra cosa è chiedere i voti a Forza Italia col cappello in mano. Trovo singolare che proprio coloro che accusano Renzi di eccessive aperture a Berlusconi stiano lavorando per indebo­lire il Pd davanti ai nostri interlocutori».

L'ipotesi espulsione esiste?

«Noi non cacciamo nessuno. Loro si sono autosospesi e spero chiariscano co­sa voglia dire. Mineo ha deciso di fare della sua presenza in dissenso in Com­missione uno strumento di battaglia po­litica ed è stato quindi giorni sui giornali da par suo. Il caso andava risolto e si è trovato un escamotage».

Per Lotti, Mineo ha tradito.

«A me non piacciono queste parole forti, né condivido l'idea di decisioni di­sciplinari. In questo assomiglio a Zanda, credo nella mediazione e mi considero un allievo ideale di Aldo Moro. Ma la pa­zienza a un certo punto finisce. Dopo 15 assemblee di grappo a discutere di Sena­to, si tira una linea e chi è in dissenso si adegua. Lo dice uno che è stato quasi sempre in minoranza e al quale non è mai passato per l'anticamera del cervello di sfasciare l'unità».

Il Pd rischia la scissione?

 

«E merito non giustifica una posizione così dura e incongrua, contro la maggio­ranza del gruppo e contro il governo, quindi non posso che rubricare la vicen­da come un episodio di lotta politica con­tro il premier. Una parte del grappo e del Pd è contro le riforme e intende opporsi con tutti i mezzi. È bene chiamare le cose col loro nome».

Gli autosospesi si appellano al rego­lamento del gruppo e impugnano l'arti­colo 67 della Costituzione.

«Il regolamento prevede la libertà di coscienza nel voto in assemblea, non in commissione, sui principi della Costitu­zione. Dunque non è questo il caso. L'ar­ticolo 67 poi non c'entra niente, perché garantisce al parlamentare che nessuno possa revocarne il mandato. Ma non è scritto da nessuna parte che i membri delle commissioni sono inamovibili».

Vede una relazione con i franchi tira­tori alla Camera sulla giustizia?

«Non credo ai complotti. Ma se nel vo­to non ci si adegua tutti alla linea che pre­vale, i partiti non riescono a stare insie­me. Se davanti a una crisi storica in Euro­pa facciamo saltare tutto sulle modalità di elezione dei senatori, gli italiani ci rin­corrono coi forconi e ci portano tutti in manicomio».

Monica Guerzoni

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