Insieme al tutto esaurito in alberghi e ristoranti della città e a una straordinaria opportunità di presenza mediatica, il Festival dell'economia lascia al Trentino un messaggio che a me pare di assoluta importanza: a qualunque livello si sia chiamati a svolgere una funzione dirigente, c'è un solo modo di farlo nell'interesse della collettività, quello di guardare con speranza e fiducia al cambiamento, per concorrere a guidarlo e non limitarsi a subirlo.
No ai profeti di sventura, amava dire Giovanni XXIII, il santo papa del Concilio. Il mondo è pieno di profeti di sventura e l'Europa ne ha prodotti e continua a produrne su scala industriale. A cento anni esatti dall'esplosione di quella che forse è stata la più grande tragedia della storia dell'umanità, la sequenza delle due guerre mondiali che hanno insanguinato la prima metà del Novecento, ancora si moltiplicano partiti e partitini che giocano e scherzano, come bambini incoscienti.
Giocano e scherzano con ordigni dalla devastante potenza distruttiva: il nazionalismo, la xenofobia, più in generale l'irrazionalismo e il settarismo politico, di destra come di sinistra, quello che dappertutto vede non problemi, grandi e gravi, da risolvere, anche con la necessaria dose di conflittualità politico-culturale, ma complotti orditi da cricche di malvagi, tenebrose congiure demo-pluto-giudaico-massoniche, ai danni di moltitudini innocenti.
La clamorosa, straordinaria vittoria del Pd di Matteo Renzi è stata una vittoria delle ragioni della speranza contro la rabbia e la paura, diffuse a piene mani dai profeti di sventura di tutte le risme. La speranza che Renzi ha saputo diffondere, prima nel suo partito, poi nel paese e perfino in Europa (come ha scritto l'insospettabile Financial Times), è riassumibile in uno slogan, semplice ed efficace, perché serio e profondo: se non abbiamo paura di cambiare noi stessi, possiamo non aver paura del cambiamento che ci viene incontro. Vale per il Pd rispetto all'Italia, vale per l'Italia rispetto all'Europa, vale per l'Europa stessa alle prese con la crisi globale.
Penso possa e debba valere anche per il Trentino. Solo se non avremo paura di cambiare, con coraggio e apertura mentale, la nostra autonomia, nella sua dimensione istituzionale come in quella finanziaria, o nel rapporto tra società, economia e politica, potremo guardare con fiducia al cambiamento che viene da Roma, a quello che arriva da Bruxelles, a quello che muove da tutte le direzioni, in un mondo che si va facendo sempre più piccolo e vicino.
Un anno fa le elezioni politiche, in netta controtendenza rispetto al dato nazionale, sei mesi fa le provinciali-regionali e da ultimo, pochi giorni fa, le europee, hanno premiato il centrosinistra autonomista, portandolo ben oltre la maggioranza assoluta dei consensi, perché hanno colto nella nostra coalizione questa fiducia e questo impegno per il cambiamento possibile e necessario.
I voti al Pd e quelli alla Stella alpina, raccolti in Trentino il 25 maggio scorso, non vanno dunque messi a confronto tra loro, in una rischiosa lite tra compagni di cordata, ma vanno sommati: perché si tratta di partiti stabilmente alleati, che condividono ormai da anni la responsabilità dei governi locali in Trentino e in Regione, che si riconoscono nel sostegno al governo Renzi e al suo ambizioso programma riformista, e che hanno dato vita ad un accordo di apparentamento tra liste alle europee, che solo in modo molto riduttivo può essere definito tecnico.
Sul piano tecnico, le Stelle alpine avevano altre possibili soluzioni di apparentamento, che tuttavia erano chiaramente impercorribili sul piano politico. Allo stesso modo, il Pd non avrebbe potuto ignorare la richiesta di apparentamento da parte di un alleato strategico sia in Regione che a Roma. E se è certamente vero che diversi erano i riferimenti europei (Pse per il Pd e Ppe per gli alleati) è altrettanto vero che anche Pse e Ppe dovranno dar vita a Bruxelles ad un'alleanza europeista, non tanto diversa da quella che regge le sorti di governi come quello tedesco, quello italiano e quello... trentino e sudtirolese.
Dunque, il 42 per cento del Pd in Trentino e il 12 per cento della Stella alpina, sostenuta oltre che dal Patt e dall'Ual, anche da parte dell'Upt, si sommano tra loro e convergono in un grande, storico risultato per il Pd e per il centrosinistra autonomista, nonché nella elezione al Parlamento europeo di un eurodeputato capace e autorevole come Herbert Dorfmann: una risorsa non solo per la Svp, ma per tutta l'Euregio trentino-tirolese.
Semmai il rimpianto può essere quello di non aver osato di più, di non aver puntato, come coalizione, ad eleggere un altro eurodeputato regionale nelle liste del Pd. Un'occasione persa, nonostante il generoso impegno dell'ottimo Andrea Pradi, per la quale ovviamente esistono numerose spiegazioni: dall'eccessivo prolungarsi della fase congressuale del Pd trentino (se per la segreteria provinciale si fosse votato in marzo, come nel resto d'Italia, anziché in aprile, forse ci sarebbe stato tempo e modo di occuparsi anche delle elezioni...), all'incertezza strategica che perdura (lo dico con tutto il doveroso rispetto) nell'Upt, fino alla comprensibile indisponibilità di una parte cospicua dell'elettorato, prima ancora che del gruppo dirigente, del Patt a votare un simbolo diverso da quello della Stella alpina. Sarà bene pensarci per tempo, la prossima volta.
Resta il fatto che se vogliamo dare alla discussione, in sé opportuna e necessaria, sul futuro del centrosinistra autonomista, un taglio costruttivo e propositivo, è da questo punto fermo che dobbiamo partire: è la coalizione che ha vinto, nella nostra regione. E questo è un dato che appare tanto più significativo, se si considera che il successo della coalizione si è avuto in modo così netto e chiaro, proprio perché, grazie alla leadership di Renzi, il Pd ha ripreso e rilanciato con forza la sua «vocazione maggioritaria», la sua ambizione di rappresentare, non solo il tradizionale elettorato di sinistra, in una logica difensiva e residuale, ma una grande alleanza per il cambiamento, ispirata a quello che potremmo definire un «interclassismo riformista», fino a svolgere quel ruolo di «partito del Paese» di cui parlava Nino Andreatta.
Oggi il Pd trentino è retto, sulla base di un mediocre accordo di potere, pensato più per escludere che per proporre, dalle componenti che hanno sempre guardato con diffidenza a questa strategia. Una diffidenza del resto a lungo condivisa da componenti significative dell'Upt più che del Patt. È ora e tempo di andare oltre, di rilanciare il Pd trentino e la coalizione provinciale e regionale, a partire dalla scommessa riformista che ha sconvolto tanto positivamente la politica italiana e forse perfino europea. Una scommessa che non può non essere raccolta, in modi autonomi e originali, ma con la stessa passione per il cambiamento, dal centrosinistra autonomista che governa i nostri territori e le nostre comunità.