Onorevoli Senatori. – La necessita` e l’urgenza di un intervento legislativo in materia di procreazione medicalmente assistita e`, in quest’Aula, largamente condivisa.
Diffusa, anche se non unanime, e` la preoccupazione suscitata da quello che Ju¨rgen Habermas ha definito «lo scivolamento in una genetica liberale, vale a dire una genetica regolata dalla legge della domanda e dell’offerta». Parimenti condivisa e` la tesi del grande filosofo tedesco, per la quale i limiti del possibile ricorso agli strumenti della genetica debbano essere definiti «in maniera autonoma, a partire da considerazioni normative che rientrano nella formazione democratica della volonta`» e non «in maniera arbitraria, a partire da preferenze soggettive che si soddisfano attraverso il mercato».
L’ingegneria genetica ha infatti a che fare con la natura umana e col complesso rapporto tra natura e cultura: un rapporto che incide sull’identita` e il destino, non solo di ciascuna persona, ma anche, radicalmente, del genere umano come tale. Si tratta, come e` evidente, di un ambito della decisione che non puo` essere affidato alla casualita` del mercato, ma deve vedere il responsabile protagonismo della politica. Certo, una politica consapevole dei propri limiti, una politica che non ignori che la formazione democratica della volonta` e`, in un campo come quello bioetico, operazione particolarmente complessa.
Come scrive Ulrich Beck, il sociologo che ha descritto la nostra come la societa` del rischio, «le decisioni che abbiamo preso in passato in materia di energia nucleare e quelle attuali in merito allo sfruttamento dell’ingegneria e della manipolazione genetica, della nanotecnologia, dell’informatica e cos`ı via scatenano conseguenze imprevedibili, incontrollabili e addirittura incomunicabili, che minacciano la vita sul nostro pianeta [...] la nostra stessa lingua non e` in grado di informare le generazioni future sui pericoli che abbiamo disseminato nel mondo a causa dello sfruttamento di alcune tecnologie».
Dunque noi viviamo nella paradossale condizione per la quale, da un lato, la radica-lita` dei mutamenti che il progresso scientifico sta producendo nella biosfera reclama l’intervento normativo della politica, che non puo` delegare decisioni strategiche sul futuro del genere umano alla interazione spontanea tra la scienza e il mercato; ma, dall’altro, proprio la complessita` e la potenza dell’interazione tra la logica della scoperta scientifica e il calcolo degli interessi economici scopre la politica in una condizione di inedita debolezza: dalla quale essa puo` sperare di uscire solo assumendo un punto di vista, almeno tendenzialmente "globale" e quanto meno formulato su una scala assai piu` vasta di quella meramente nazionale; e solo ponendosi in atteggiamento di dialogo e di ascolto con la mobile costellazione delle molteplici sensibilita` culturali e morali presenti nelle societa` contemporanee.
Entrambe queste attenzioni sono mancate, in questi anni, alla politica italiana nel delicato settore bioetico. Non a caso, l’Italia e` ancora uno dei pochi Paesi europei privi di una organica disciplina in materia di procreazione medicalmente assistita.
Se nel nostro Paese l’esercizio dei nuovi margini decisionali in campo genetico e` ancora affidato all’arbitrio delle preferenze soggettive soddisfatte attraverso il mercato anziche´ all’autonomia della formazione democratica della volonta`, e` anche perche´ la complessita` di questa materia deve fare i conti non solo con la realta` di un ampio pluralismo di visioni etiche, ma anche con la mancanza di una consolidata tradizione di convivenza dialogica tra di esse.
E un intervento legislativo che voglia risultare possibile ed efficace, in un ambito delicato e sensibile come quello che concerne la sfera della trasmissione della vita umana, non puo` scaturire dall’imporsi di una visione etica su altre, ma deve emergere dalla ricerca onesta e coraggiosa di una mediazione «alta», nella quale si possa riconoscere, almeno parzialmente, il piu` ampio spettro di posizioni e di visioni culturali e morali.
Una mediazione alta e` innanzitutto una mediazione consapevole della portata globale delle questioni in gioco e dunque della ne-cessita` di stabilire una sintonia comunicativa, certamente attiva e non solo passiva, con gli indirizzi emergenti almeno nei Paesi a noi piu` vicini, a cominciare da quelli europei. Nessuna soluzione politico-legislativa sara` tale se adottata in solitudine, o addirittura in contraddizione con l’orientamento prevalente in Europa.
Una mediazione alta presuppone altres`ı l’accettazione da parte di tutti della coessen-zialita` di liberta` e responsabilita`. Non puo` esserci vera liberta` se non nella disponibilita` a rispondere di essa; cos`ı come non c’e` risposta etica se non nell’esercizio della li-berta`. A questo binomio liberta`-responsabi-lita` deve ispirarsi la relazione comunicativa tra la politica, nella sua cogente dimensione legislativa, e il mondo vitale degli individui, delle coppie, delle famiglie. Nella consapevolezza che la politica vedrebbe fallire il suo compito se i mondi vitali dovessero avvertirla non come esercizio associato di un piu` alto livello di autonomia, ma come imposizione arbitraria, compressione irragionevole di diritti che meglio potrebbero essere esercitati in solitudine, sul mercato.
Una mediazione alta presuppone quindi lo sforzo di distinguere, sulla base dell’affermazione del limite della politica, tra le questioni e gli aspetti che e` possibile e anzi necessario normare per via legislativa e quelli che e` preferibile affidare alla azione regolativa che deriva, per via dialogica, dalla maturazione di una coscienza etica collettiva.
Una mediazione alta implica pertanto anche la consapevolezza che nessuna visione etica puo` pretendere di riconoscersi appieno nella definizione legislativa, la quale non puo` peraltro pensarsi come eticamente neutrale o indifferente, ma deve sottomettersi al principio di saggezza secondo il quale gli strumenti giuridici, proprio in quanto piu` forti e cogenti, devono essere utilizzati, in una sfera particolarmente sensibile come quella bioetica (nella quale il diritto ha a che fare da un lato con la sfera piu` intima delle persone, dall’altro con la liberta` della ricerca scientifica e le professionalita` in campo medico), con una circospezione, una prudenza, una delicatezza, del tutto speciali.
In particolare, la presenza di uno scarto insuperabile tra etica e diritto, assieme alla ne-cessita` di evitare una distonia troppo acuta tra la norma di legge e il senso morale comune, suggerisce di procedere, nel legiferare, ricercando il punto di equilibrio sostenibile tra accompagnamento e orientamento, da parte della legislazione, dell’ethos collettivo.
Questa visione puo` ispirare una normativa che definisca come illeciti comportamenti estremi, frutto di una visione per comune sentire colta nella sua dimensione radicalmente individualistica, regolando invece, come non illeciti, anche comportamenti rientranti in una sfera di problematicita` etica e rispetto ai quali e` preferibile la via della norma di indirizzo, rispetto a quella perentoria. In questo modo, la produzione legislativa puo` favorire una evoluzione, nel senso dell’esercizio consapevole e responsabile della liberta`, da parte del costume collettivo, senza porre la legge positiva a illusorio strumento di imposizione di una legge morale non avvertita come tale da strati ampi della societa`.
La larga condivisione, in materie come questa, della soluzione normativa innanzitutto nella comunita` scientifica e tra gli operatori sanitari e` del resto fattore di successo non secondario della legge stessa, sia sotto il profilo della sua efficacia tecnica (ad esempio la praticabilita` del suo impianto san-zionatorio), sia sotto il profilo della sua ca-pacita` di influenzare positivamente il costume morale collettivo.
L’intervento legislativo in campo bioetico deve pertanto ricercare, senza mai perdere il riferimento al piu` ampio quadro legislativo almeno europeo, un punto di incontro tra le diverse visioni e un punto di equilibrio nella tutela di valori talora in relazione di reciproca contraddizione: il diritto alla salute, che include anche il diritto alla cura della sterilita`, insieme al diritto-dovere di prevenire, ove possibile, la trasmissione di malattie per via genetica; il riconoscimento della responsabile liberta` della coppia come soggetto della procreazione; il principio di precauzione circa gli effetti biologici, psicologici e sociali del ricorso alle tecniche di fecondazione assistita; il riconoscimento non della «personalita` giuridica», che e` forzatura irragionevole, ma certamente della «dignita` umana» dell’embrione; la tutela dei diritti del nascituro e del nato da procreazione assistita.
La domanda che dobbiamo porci e` a questo punto se il testo licenziato dalla Camera dei deputati, e ora sottoposto alla valutazione dell’Aula del Senato, risponda pienamente, o comunque in modo soddisfacente, alla com-plessita` delle esigenze fin qui esposte, o se invece esso richieda, da parte del Senato, un intervento emendativo.
La 12ª Commissione ha rivolto questa domanda, un anno fa, ad una lunga lista di interlocutori, le cui valutazioni ha ritenuto meritevole ascoltare, per la loro autorevolezza, vuoi nel campo scientifico e medico, vuoi in quello giuridico o filosofico, vuoi in quello dell’esperienza vissuta come persone, coppie, famiglie, bisognose dell’assistenza medica per la procreazione.
L’attenzione e la disponibilita` con le quali la Commissione e il suo Presidente, il senatore Tomassini, hanno svolto tra la fine del 2002 e l’inizio del 2003 questo intenso e fitto programma di audizioni, hanno onorato l’alta funzione costituzionale del Senato della Repubblica.
La risposta di gran lunga prevalente, emersa dalle numerose e accurate audizioni, nella maggior parte dei casi affidata a documenti scritti conservati agli atti della Commissione, oltre che ad esposizioni orali e al dialogo diretto con i senatori, e` stata un giudizio variamente critico nei confronti del testo in esame e la richiesta di numerose modifiche, alcune delle quali considerate indispensabili.
Cinque sono in particolare i punti critici del testo in esame, come emerso dalle audizioni della 12ª Commissione.
Il primo punto critico e` il divieto di utilizzo delle tecniche di fecondazione medicalmente assistita per la prevenzione delle malattie trasmesse per via genetica. Si tratta di una pratica assai diffusa nel nostro Paese – in particolare in Sardegna, dove la percentuale di portatori sani di talassemia e` particolarmente alta (13 per cento, pari a 250.000 persone, in Italia i portatori sani sono oltre 3 milioni) – e che consiste nella produzione in vitro di piu` embrioni, mediante l’utilizzo di materiale genetico interno alla coppia malata o portatrice sana della malattia genetica, e nell’impianto nell’utero della madre di un embrione sano, selezionato attraverso la diagnosi preimpianto. Si tratta, come e` evidente, di una tecnica che comporta distruzione di embrioni e come tale e` eticamente controversa. E tuttavia, non e` possibile ignorare che il divieto di ricorrere alla fecondazione assistita con diagnosi preimpianto e selezione embrionaria finirebbe per indurre le coppie affette o portatrici sane di malattie genetiche o a rivolgersi a strutture di altri Paesi, o a fare ricorso all’aborto terapeutico.
Nella memoria consegnata alla 12ª Commissione, il presidente regionale della «Associazione sarda talassemici», Giorgio Vargiu, ricorda che «dal 1977, anno della prima diagnosi prenatale di b-talassemia in Europa (eseguita a Cagliari), ad oggi, sono state eseguite oltre 6.000 diagnosi prenatali per b-ta-lassemia e purtroppo di queste ben 1.502 (il 25 per cento) hanno dato esito di feto malato e tutti, eccetto 18, sono stati abortiti terapeuticamente dalle coppie su loro libera scelta dopo la decima settimana di gravidanza».
Proprio per ridurre il ricorso all’aborto, come ha relazionato alla 12ª Commissione il dottor Giovanni Monni, dell’Ospedale regionale per le microcitemie di Cagliari, centro di riferimento dell’Organizzazione Mondiale della Sanita` per la prevenzione, diagnosi e terapia delle anemie ereditarie, sono state sperimentate con esiti incoraggianti le tecniche di fecondazione assistita con diagnosi preimpianto, tecniche che il testo di legge, come approvato dalla Camera dei deputati, renderebbe illegali. «L’approvazione di tale legge – scrive il dottor Monni nella nota consegnata alla 12ª Commissione – limiterebbe la liberta` della coppia e la possibi-lita` di usufruire di metodiche diagnostiche innovative e precoci per individuare gli embrioni sani evitando l’aborto terapeutico».
A sua volta, il professor Carlo Flamigni, nella nota trasmessa dopo l’audizione alla 12ª Commissione, conclude che con il testo approvato alla Camera, «si e` [...] scelto di bloccare la strada della diagnosi genetica preimpiantatoria, sapendo che comunque esiste sempre quella della diagnosi prenatale, cioe` dell’aborto». Nel mondo, ricorda Flami-gni, solo quattro Paesi – Argentina, Austria, Svizzera e Taiwan – proibiscono la diagnosi genetica preimpiantatoria: «sembra dunque [...] – conclude Flamigni – che la maggior parte delle persone distingua, dal punto di vista morale, tra il dover interrompere una gravidanza dopo aver diagnosticato la presenza,nel feto, di una grave malattia genetica, e la possibilita` di non trasferire un embrione affetto dalla stessa malattia».
Naturalmente, la posizione di Flamigni, che sembra considerare eticamente preferibile la soppressione di embrioni malati prima dell’impianto rispetto all’aborto terapeutico che interrompe l’esistenza di feti dopo la decima settimana di gravidanza, puo` non essere condivisa da chi consideri sacra e inviolabile l’esistenza dell’embrione dal momento del concepimento.
Il grande filosofo Jacques Maritain scriveva nel 1967 che «uccidere un essere che possiede virtualmente (realmente-virtual-mente) la natura umana ed e` fatto per essere uomo, e` evidentemente lo stesso delitto che uccidere un uomo». Ma cio` non impediva a Maritain di cogliere la dinamica evolutiva tra l’embrione, il feto e il nato: «Ammettere che il feto umano, dall’istante della sua concezione, riceva l’anima intellettiva – scrive nello stesso testo – quando la materia non e` ancora in nulla disposta a questo riguardo, e` ai miei occhi un’assurdita` filosofica. E` tanto assurdo quanto chiamare bebe` un ovulo fecondato. Significa misconoscere completamente il movimento evolutivo, che viene in realta` considerato un semplice movimento di aumento o di crescita».
Il testo in esame sembra non solo misconoscere, ma addirittura capovolgere il movimento evolutivo di cui parla Maritain: lo fa attraverso la paradossale previsione di un divieto assoluto di soppressione dell’embrione prodotto in vitro, formulata contestualmente alla riaffermazione della liceita` dell’aborto.
Il comma 1 dell’articolo 14 recita infatti te-` stualmente: «E vietata la crioconservazion e la soppressione degli embrioni, fermo restando quanto previsto dalla legge 22 maggio 1978, n. 194».
Sulla base di questo testo, nell’ordinamento giuridico italiano l’embrione sarebbe «persona» in provetta e «cosa» nell’utero materno; sacro e inviolabile allo stadio di ovulo fecondato visibile solo al microscopio e privo dell’ambiente materno che gli e` indispensabile per venire al mondo; e invece in bal`ıa del principio di autodeterminazione della donna una volta raggiunto lo stadio fetale. Si tratta di un articolo che e` impossibile definire sia laico che cattolico, sia di destra che di sinistra. Appare piuttosto come una norma illogica, cos`ı come e` illogico considerare l’aborto al terzo mese un male minore rispetto alla selezione embrionaria precoce.
Una norma illogica, risultato di un compromesso sbagliato, perche´ frutto non della ricerca di un punto di convergenza realistico tra visioni etiche e culturali diverse, ma piuttosto della mera giustapposizione di norme contraddittorie tra loro, perche´ espressione di visioni opposte.
L’obiettivo «ideologico» del testo in esame e` evidente al comma 1 dell’articolo 1, ove si afferma che la presente legge «assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito». Il concepito diviene soggetto di diritti, quindi – almeno implicitamente – persona. Una forzatura ideologica, tutt’altro che necessaria ai fini di una regolamentazione anche rigorosa, perfino restrittiva, della procreazione medicalmente assistita. Una forzatura alla quale sarebbe di gran lunga preferibile sostituire il doveroso richiamo, proposto in audizione alla 12ª Commissione dal costituzionalista Augusto Barbera, alla «dignita` dell’embrione, non quale persona ma quale "progetto di vita"».
Una forzatura, peraltro, quella dell’articolo l del testo in esame, che parve voler mettere in dubbio la legge sull’aborto, con grave rischio per la tenuta del consenso in Parlamento e nel Paese. La forzatura e` stata allora «sterilizzata», nel corso dell’iter alla Camera, con quel «fermo restando quanto previsto dalla legge 22 maggio 1978, n. 194». Una sorta di «qui lo dico e qui lo nego», che produce il paradosso della tutela decrescente tra lo stadio embrionale in vitro e quello fetale in utero.
E produce anche un secondo punto critico del testo, una vera e propria aporia, evidenziata come tale dallo stesso parere della 12ª Commissione del Senato. Al comma 3 dell’articolo 6, il testo prevede che la volonta` di accedere alle tecniche di fecondazione assistita possa essere revocata da ciascuno dei due soggetti della coppia solo «fino al momento della fecondazione dell’ovulo».
La ratio della norma e` chiara, coerente col divieto di soppressione e anche di crioconservazione dell’embrione e conseguente all’implicito riconoscimento dello status di persona all’embrione stesso. E tuttavia la norma, oltre ad essere in contrasto con la recente Convenzione di Oviedo, ratificata ai sensi della legge 28 marzo 2001, n. 145, che all’articolo 5 esplicitamente afferma che «la persona interessata (ad un trattamento sanitario) puo`, in qualsiasi momento, ritirare liberamente il proprio consenso», rischia di essere inapplicabile, nel caso in cui la donna effettivamente revochi il suo consenso all’impianto in utero dell’ovulo fecondato. In quel caso, il medico non potrebbe ne´ sopprimere ne´ congelare l’embrione, pena l’incorrere in pesanti sanzioni; ma non potrebbe neppure sottoporre la donna a trattamento sanitario obbligatorio, esplicitamente vietato dall’articolo 32 della Costituzione.
Come ha scritto nella nota consegnata durante l’audizione alla 12ª Commissione il professor Stefano Rodota`, interpretando questa norma alla luce di quanto previsto dal comma 5 dell’articolo 14 che prevede il diritto degli interessati di essere informati «sullo stato di salute degli embrioni prodotti e da trasferire nell’utero», si dovrebbe concludere «che la donna [...] sarebbe obbligata ad accettare il trasferimento nell’utero anche nel caso in cui vi sarebbe certezza della nascita di una persona con gravi malformazioni. [...] A questo obbligo, tuttavia, si accompagnerebbe poi il diritto di ricorrere alla interruzione della gravidanza, dando cos`ı vita ad una situazione giuridicamente ed eticamente paradossale e preoccupante».
Un terzo punto critico, denunciato da quasi tutti i medici intervenuti nel corso delle audizioni in 12ª Commissione, e` quanto previsto dal comma 2 dell’articolo 14, per il quale le tecniche di fecondazione assistita «non devono creare un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario ad un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre». Il fine dichiarato di questa norma e` quello di evitare la produzione di embrioni cosiddetti «soprannumerari» e quindi di rimuovere alla radice la controversa questione, di indubbia problema-ticita` etica, sulla destinazione degli stessi.
Tuttavia, a giudizio pressoche´ unanime degli auditi dalla 12ª Commissione, tra i quali il dottor Luca Gianaroli, direttore scientifico della Societa` italiana di studi di medicina della riproduzione e membro della task-force dell’Organizzazione Mondiale della Sanita` per la medicina della riproduzione, con questa norma «il legislatore italiano imporrebbe al medico l’obbligo di utilizzare una metodologia non solo non ottimale, ma addirittura tale da essere contraria alla deontologia e all’etica medica». Se venisse introdotto, come proposto dal testo in esame, il divieto di produrre embrioni potenzialmente soprannumerari e l’obbligo di impiantare subito tutti e tre gli embrioni prodotti, afferma ancora il dottor Gianaroli, si avrebbe «la notevole diminuzione delle percentuali di successo del trattamento» e «in media, ogni donna dovrebbe triplicare i cicli di procreazione medicalmente assistita, e quindi i suddetti rischi ovvero disagi, per ottenere le stesse percentuali di gravidanza».
Tra i rischi l’iperstimolazione ovarica e, all’opposto, la gravidanza plurigemellare con grave pericolo di malformazioni. Tra i disagi, lo stress fisico e psichico, la frustrazione, il tempo perso, la lievitazione dei costi.
«In qualunque altro campo della medicina o della chirurgia – rileva nella sua nota presentata alla 12ª Commissione il Segretario generale della Federazione internazionale di ginecologia ed ostetricia, professor Giuseppe Benagiano – una simile pratica sarebbe passibile di denuncia all’autorita` giudiziaria per quella che tutti ormai chiamiamo in inglese malpractice e che in italiano viene colloquialmente denominata malasanita`».
Tutto cio`, comunque, avverrebbe «solo in Italia», fa notare il professor Flamigni: «per-che´ in tutti gli altri Paesi il congelamento degli embrioni e` consentito (visto che Austria e Germania, che l’avevano proibito, autorizzano la crioconservazione degli zigoti allo stadio pre-singamico). Personalmente – osserva conclusivamente Flamigni - conto molto sulla possibilita` di sostituire il congelamento degli embrioni con quello degli ovociti: ma questo vuol dire sperimentazione e tempo, e sarebbe stata opportuna una fase di transizione».
Il quarto punto critico e` il divieto assoluto di ricorrere alla procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo (comma 3 dell’articolo 4), ossia effettuata con materiale genetico esterno alla coppia.
La principale motivazione addotta a sostegno del divieto, quella del diritto del nascituro ad un quadro parentale che veda l’identificazione tra la dimensione biologica e quella giuridica della genitorialita`, appare di incerta sostenibilita` giuridica, posto che risulta difficile affermare diritti precedenti l’esistenza stessa di un individuo, nonche´ di controversa fondazione filosofica, in ogni caso contraddittoria con il principio del limite della politica e del suo principale strumento, il diritto. Un limite che non puo` essere dilatato fino a penetrare il territorio misterioso delle ragioni che motivano la procreazione e che rendono una vita umana degna di essere vissuta. L’argomento dell’interesse del «concetturo» acquisterebbe senso solo in presenza di dati di fatto che evidenzino forme di sofferenza o quanto meno di disagio nell’ambito dell’ormai popolosa co-munita` dei nati da fecondazione eterologa. E invece, dopo decenni di ricorso su vasta scala alle pratiche di fecondazione assistita eterologa, nessuna ricerca empirica ha potuto mettere in evidenza danni o anche solo problemi apprezzabili, vuoi di natura fisiologica, vuoi di natura psicologica, a carico dei nati mediante il ricorso a tali tecniche.
Il divieto assoluto, senza eccezione alcuna, in presenza di una larga e legalissima diffusione nel mondo delle tecniche di fecondazione eterologa, rischia di produrre, come ha rilevato Rodota`, «effetti discriminatori, poiche´ al turismo procreativo potranno ricorrere soltanto coloro i quali dispongono dei necessari mezzi finanziari». Inoltre, osserva sempre Rodota`, «la richiesta di interventi con gameti di donatori, statisticamente documentata puo` far nascere fenomeni di false attestazioni sulla provenienza dei gameti o addirittura di mercato clandestino», mentre «si rendono precarie le garanzie per i figli, poi-che´ la mancata documentazione sulle caratteristiche genetiche dei donatori puo` determinare gravi difficolta` per la diagnosi e la cura di eventuali malattie genetiche».
Il quinto punto critico riguarda il rapporto tra tutela dell’embrione e liberta` di ricerca. L’articolo 13, al comma 1, «vieta» qualsiasi sperimentazione su ciascun embrione umano; il comma 2 consente la ricerca clinica e sperimentale su ciascun embrione umano «a condizione che si perseguano finalita` esclusivamente terapeutiche e diagnostiche ad essa collegate volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell’embrione stesso». Questa formulazione esclude la possibilita` di utilizzare a fini di ricerca medica tutti gli embrioni, compresi quelli cosiddetti «soprannumerari», destinati alla soppressione. Tale divieto, secondo Barbera, «non [...] pare compatibile con la liberta` di ricerca scientifica, sancita dall’articolo 33 della Costituzione». In un’intervista all’Espresso del 5 settembre 2003, Giuliano Amato afferma: «trovo scandaloso il medico di famiglia che non si occupa di far prendere alla donna una decisione consapevole, ma lascia il certificato per l’aborto in portineria. Di mezzo c’e` la vita di un bambino. Io parlo cos`ı: la vita di un bambino. Ma trovo che sia altrettanto immorale lasciar morire migliaia di embrioni e non occuparsi di costruire un sistema che produca cellule staminali. Un embrione destinato a morire, e ce ne saranno sempre, non e` diverso da un bambino appena morto a cui e` permesso espiantare gli organi per la sopravvivenza di un altro bambino».
Cinque punti critici, quelli esposti fin qui, ai quali molti altri se ne potrebbero aggiungere, a cominciare dalla sgraziata comparazione alternativa, proposta dall’articolo 3, tra fecondazione assistita e adozione, o dal grave sottofinanziamento della legge, sostenibile solo al prezzo assai elevato di rendere evanescente la natura terapeutica della procreazione assistita.
Cinque punti critici che sono tuttavia sufficienti a indurci a rispondere negativamente alla domanda dalla quale ha preso le mosse l’iter in Senato del testo in esame. Cos`ı co-m’e`, questo testo non risponde in maniera adeguata e soddisfacente all’esigenza di dotare il nostro Paese di una legge in sintonia con l’Europa, capace di costituire un punto di incontro e non di conflitto tra le diverse visioni etico-culturali e soprattutto tecnicamente applicabile da parte degli operatori, medici e non.
Emendare il testo per migliorarlo, per renderlo piu` europeo, piu` dialogico e piu` applicabile non e` quindi una perdita di tempo o un diversivo ostruzionistico, ma un preciso dovere del Senato, che vedrebbe mortificata la sua funzione se si limitasse ad approvare il testo varato dalla Camera. Oltretutto, un simile atteggiamento renderebbe incomprensibile, a posteriori, l’ampiezza e la profondita` della fase delle audizioni, dalle quali e` emersa una domanda larga e forte di miglioramento della legge.
Non dovrebbe risultare difficile per l’Aula del Senato trovare un’intesa su pochi e circoscritti emendamenti che diano al provvedimento un’altra luce e un altro respiro: l’apertura rigorosamente disciplinata alla prevenzione delle malattie genetiche, una piu` realistica trattazione del problema del consenso della donna all’impianto in utero, un’apertura alla crioconservazione, quanto meno degli zigoti allo stadio precedente alla fusione nucleare, l’accesso alla fecondazione eterologa in casi puntualmente circoscritti e la previsione della possibilita` di utilizzare gli embrioni soprannumerari per definiti obiettivi di ricerca medica.
In questo senso chiedo all’Aula del Senato di orientarsi.
Tonini, Bettoni Brandani, Carella,
D’Amico, Di Girolamo, Franco Vittoria,
Mascioni e Viviani, relatori di minoranza