Feb
26
2014
Intervento in aula a seguito discussione sul DDl sulla proroga missioni internazionali

Signor Presidente, io vorrei unirmi alle parole pronunciate prima dal presidente Casini. Innanzitutto ringrazio la ministra Bonino per il grande lavoro svolto in questi dieci mesi, che più volte in quest'Aula abbiamo apprezzato. Naturalmente rivolgo i migliori auguri di buon lavoro al nuovo ministro Federica Mogherini, che conosciamo per la sua grande dedizione e passione per la politica estera e per la grande competenza ed esperienza maturata in questi anni. È una giovane Ministra, ma una giovane esperta che conosce molto bene la materia, e siamo certi che il Parlamento collaborerà in maniera assolutamente efficace.

Colleghi, vorrei dedicare qualche breve parola alle nostre missioni all'estero, invitando ciascuno di noi a provare a fare un salto di qualità nella discussione al nostro interno su questo tema: una discussione che rischia di essere ripetitiva e di riproporre vecchi schemi, in gran parte superati dalla realtà delle cose. Ho sentito dire: cosa ci stiamo a fare, in questo o in quel Paese? Ho sentito dire che dobbiamo distinguere tra missioni di pace e missioni che sarebbero di guerra.

Le cose non stanno così. Noi viviamo al centro di una delle aree più insicure del mondo, il Mediterraneo, che è circondato da faglie - potremmo dire - di tensione che rendono la situazione nella quale viviamo, cioè il contesto del Mediterraneo, una realtà ad altissimo rischio: c'è la costa Sud del Mediterraneo; c'è il Medio Oriente; sotto c'è l'Africa, che è un grande continente in ebollizione; lungo il Medio Oriente arriviamo fino alle faglie di tensione dell'Asia, e vicino casa, a pochi chilometri dai nostri confini, abbiamo l'area dei Balcani.

Allora, come Paese noi dobbiamo decidere se vogliamo essere semplicemente un consumatore di sicurezza o se vogliamo concorrere ad essere un produttore di sicurezza. Penso che in realtà questa domanda sia retorica: non possiamo limitarci ad essere dei consumatori per il semplice fatto che non c'è nessuno più disposto a produrre sicurezza per noi senza il nostro contributo e il nostro apporto. Noi dobbiamo dare il nostro contributo a produrre sicurezza, stabilità e sviluppo. Credo che questa sia la nostra politica estera.

Ho sentito dire prima, in riferimento a questo Governo, che non è stata svolta una discussione di politica estera. Per la verità, una settimana fa, in quest'Aula, si è detto la stessa cosa alla ministra Bonino: quando ci siamo confrontati sulla questione dei marò, in parecchi interventi dell'opposizione è stato detto: «Il Governo non ha una linea di politica estera». A me sembra - nel solco ovviamente della tradizione grande di politica estera italiana, che ha a che fare con la scelta per l'Europa, quella atlantica e quella per il multilateralismo, cioè per l'ONU, e dunque dentro questi binari storici, che vengono da lontano, dal dopoguerra, dalla Costituzione, dal grande magistero di Alcide De Gasperi - che oggi ci sia il tema tutto nuovo di come noi dobbiamo essere contributori attivi della costruzione di stabilità, sicurezza e sviluppo nell'area nella quale siamo. E questo dobbiamo farlo con un ventaglio di strumenti.

La ministra Mogherini è stata tra i protagonisti - e mi auguro che adesso, da Ministro, vorrà presto riprendere questa materia - della riforma della legge sulla cooperazione allo sviluppo, che è ancora in cantiere (ma contiamo sul suo impulso per portarla rapidamente in porto, dal momento che si tratta di uno strumento essenziale). In quella proposta di legge c'è scritto che il Ministro degli affari esteri - che abbiamo davanti a noi - diventerà il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Ciò significa che questo è il primo, fondamentale strumento per costruire sicurezza, pace e sviluppo nell'area intorno a noi.

Si è detto tante volte che altri Paesi possono permettersi di concepire la cooperazione allo sviluppo come un lusso, un qualcosa di cui non hanno bisogno ma che regalano magnificamente, perché magari vivono nel cuore del Mare del Nord. Per chi vive nel cuore del Mediterraneo la cooperazione allo sviluppo non è un lusso: è un'esigenza primaria, un investimento fondamentale. Infatti, più sviluppo, pace e stabilità ci sono intorno a noi, più possibilità ci sono per il nostro Paese, a cominciare dal nostro Mezzogiorno, di avere pace, sviluppo e prosperità.

Un'altra leva fondamentale per questa azione sono le missioni di pace. Ricordo che un grande ambasciatore italiano, scomparso qualche anno fa, Antonio Puri Purini, diceva che in questi anni le nostre missioni all'estero hanno salvato l'onore della politica estera italiana, perché sono state uno degli strumenti fondamentali per la costruzione di stabilità e pace.

Voglio pensare che cosa sarebbero oggi i Balcani se noi non fossimo intervenuti con questi strumenti. Noi non siamo andati a fare la guerra a nessuno nei Balcani, tant'è vero che in Kosovo abbiamo preso prima le parti degli albanesi, ossia dei musulmani, contro i serbi che li volevano schiacciare, e adesso stiamo difendendo la minoranza serba rispetto alla maggioranza musulmana, sempre con un solo obiettivo: contribuire alla stabilizzazione di quel Paese, che ora è in fila per entrare nell'Unione europea.

Questo è il senso di politica estera delle nostre missioni. Naturalmente, si tratta di missioni che hanno a che fare con situazioni molto diverse. Pensiamo al tema complicatissimo dell'Afghanistan: lì c'è una tabella di marcia molto precisa e, naturalmente, rischiosa. Noi, infatti, ci stiamo impegnando per un ritiro progressivo, man mano che le Forze armate e di sicurezza afghane cominciano a prendere il controllo del loro territorio. Sappiamo che è una situazione di straordinaria difficoltà e delicatezza. Dobbiamo sentirci impegnati a non abbandonare l'Afghanistan: man mano che ritireremo le nostre Forze armate, dovremo contemporaneamente mantenere una capacità di istruzione, formazione ed assistenza delle Forze armate e di sicurezza afghane e, soprattutto, svolgere un grande lavoro di cooperazione allo sviluppo.

Chi di noi ha avuto il privilegio di visitare, sia pure in maniera sempre molto veloce, l'Afghanistan, sa quale straordinario contributo stia dando il nostro Paese per aiutarlo a crescere in modo diretto, attraverso la nostra cooperazione, e in modo indiretto (penso all'ospedale di Emergency presente a Kabul). È uno straordinario apporto quello che il nostro Paese sta dando a quella situazione. È l'Italia, nel suo insieme, che sta lavorando per stabilizzare un Paese. Come recita l'articolo 11 della nostra Costituzione, noi ripudiamo la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli. Siamo impegnati a costruire un ordine internazionale basato sulla giustizia e la pace, attraverso la solidarietà e gli strumenti multilaterali che ne sono espressione. Questo è il senso del nostro lavoro.

Guardate che tra la dimensione della cooperazione allo sviluppo e quella delle missioni, che a me piace chiamare di polizia internazionale (perché di questo si tratta), sempre dentro i canoni della legalità internazionale stabilita dalle Nazioni Unite, c'è una crescente sinergia, proprio perché l'obiettivo è comune: costruire sicurezza intorno a noi, attraverso lo sviluppo e la stabilizzazione, in nome della pace. (Applausi dai Gruppi PD e SCpI).

Signor Presidente, io vorrei unirmi alle parole pronunciate prima dal presidente Casini. Innanzitutto ringrazio la ministra Bonino per il grande lavoro svolto in questi dieci mesi, che più volte in quest'Aula abbiamo apprezzato. Naturalmente rivolgo i migliori auguri di buon lavoro al nuovo ministro Federica Mogherini, che conosciamo per la sua grande dedizione e passione per la politica estera e per la grande competenza ed esperienza maturata in questi anni. È una giovane Ministra, ma una giovane esperta che conosce molto bene la materia, e siamo certi che il Parlamento collaborerà in maniera assolutamente efficace.

Colleghi, vorrei dedicare qualche breve parola alle nostre missioni all'estero, invitando ciascuno di noi a provare a fare un salto di qualità nella discussione al nostro interno su questo tema: una discussione che rischia di essere ripetitiva e di riproporre vecchi schemi, in gran parte superati dalla realtà delle cose. Ho sentito dire: cosa ci stiamo a fare, in questo o in quel Paese? Ho sentito dire che dobbiamo distinguere tra missioni di pace e missioni che sarebbero di guerra.

Le cose non stanno così. Noi viviamo al centro di una delle aree più insicure del mondo, il Mediterraneo, che è circondato da faglie - potremmo dire - di tensione che rendono la situazione nella quale viviamo, cioè il contesto del Mediterraneo, una realtà ad altissimo rischio: c'è la costa Sud del Mediterraneo; c'è il Medio Oriente; sotto c'è l'Africa, che è un grande continente in ebollizione; lungo il Medio Oriente arriviamo fino alle faglie di tensione dell'Asia, e vicino casa, a pochi chilometri dai nostri confini, abbiamo l'area dei Balcani.

Allora, come Paese noi dobbiamo decidere se vogliamo essere semplicemente un consumatore di sicurezza o se vogliamo concorrere ad essere un produttore di sicurezza. Penso che in realtà questa domanda sia retorica: non possiamo limitarci ad essere dei consumatori per il semplice fatto che non c'è nessuno più disposto a produrre sicurezza per noi senza il nostro contributo e il nostro apporto. Noi dobbiamo dare il nostro contributo a produrre sicurezza, stabilità e sviluppo. Credo che questa sia la nostra politica estera.

Ho sentito dire prima, in riferimento a questo Governo, che non è stata svolta una discussione di politica estera. Per la verità, una settimana fa, in quest'Aula, si è detto la stessa cosa alla ministra Bonino: quando ci siamo confrontati sulla questione dei marò, in parecchi interventi dell'opposizione è stato detto: «Il Governo non ha una linea di politica estera». A me sembra - nel solco ovviamente della tradizione grande di politica estera italiana, che ha a che fare con la scelta per l'Europa, quella atlantica e quella per il multilateralismo, cioè per l'ONU, e dunque dentro questi binari storici, che vengono da lontano, dal dopoguerra, dalla Costituzione, dal grande magistero di Alcide De Gasperi - che oggi ci sia il tema tutto nuovo di come noi dobbiamo essere contributori attivi della costruzione di stabilità, sicurezza e sviluppo nell'area nella quale siamo. E questo dobbiamo farlo con un ventaglio di strumenti.

La ministra Mogherini è stata tra i protagonisti - e mi auguro che adesso, da Ministro, vorrà presto riprendere questa materia - della riforma della legge sulla cooperazione allo sviluppo, che è ancora in cantiere (ma contiamo sul suo impulso per portarla rapidamente in porto, dal momento che si tratta di uno strumento essenziale). In quella proposta di legge c'è scritto che il Ministro degli affari esteri - che abbiamo davanti a noi - diventerà il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Ciò significa che questo è il primo, fondamentale strumento per costruire sicurezza, pace e sviluppo nell'area intorno a noi.

Si è detto tante volte che altri Paesi possono permettersi di concepire la cooperazione allo sviluppo come un lusso, un qualcosa di cui non hanno bisogno ma che regalano magnificamente, perché magari vivono nel cuore del Mare del Nord. Per chi vive nel cuore del Mediterraneo la cooperazione allo sviluppo non è un lusso: è un'esigenza primaria, un investimento fondamentale. Infatti, più sviluppo, pace e stabilità ci sono intorno a noi, più possibilità ci sono per il nostro Paese, a cominciare dal nostro Mezzogiorno, di avere pace, sviluppo e prosperità.

Un'altra leva fondamentale per questa azione sono le missioni di pace. Ricordo che un grande ambasciatore italiano, scomparso qualche anno fa, Antonio Puri Purini, diceva che in questi anni le nostre missioni all'estero hanno salvato l'onore della politica estera italiana, perché sono state uno degli strumenti fondamentali per la costruzione di stabilità e pace.

Voglio pensare che cosa sarebbero oggi i Balcani se noi non fossimo intervenuti con questi strumenti. Noi non siamo andati a fare la guerra a nessuno nei Balcani, tant'è vero che in Kosovo abbiamo preso prima le parti degli albanesi, ossia dei musulmani, contro i serbi che li volevano schiacciare, e adesso stiamo difendendo la minoranza serba rispetto alla maggioranza musulmana, sempre con un solo obiettivo: contribuire alla stabilizzazione di quel Paese, che ora è in fila per entrare nell'Unione europea.

Questo è il senso di politica estera delle nostre missioni. Naturalmente, si tratta di missioni che hanno a che fare con situazioni molto diverse. Pensiamo al tema complicatissimo dell'Afghanistan: lì c'è una tabella di marcia molto precisa e, naturalmente, rischiosa. Noi, infatti, ci stiamo impegnando per un ritiro progressivo, man mano che le Forze armate e di sicurezza afghane cominciano a prendere il controllo del loro territorio. Sappiamo che è una situazione di straordinaria difficoltà e delicatezza. Dobbiamo sentirci impegnati a non abbandonare l'Afghanistan: man mano che ritireremo le nostre Forze armate, dovremo contemporaneamente mantenere una capacità di istruzione, formazione ed assistenza delle Forze armate e di sicurezza afghane e, soprattutto, svolgere un grande lavoro di cooperazione allo sviluppo.

Chi di noi ha avuto il privilegio di visitare, sia pure in maniera sempre molto veloce, l'Afghanistan, sa quale straordinario contributo stia dando il nostro Paese per aiutarlo a crescere in modo diretto, attraverso la nostra cooperazione, e in modo indiretto (penso all'ospedale di Emergency presente a Kabul). È uno straordinario apporto quello che il nostro Paese sta dando a quella situazione. È l'Italia, nel suo insieme, che sta lavorando per stabilizzare un Paese. Come recita l'articolo 11 della nostra Costituzione, noi ripudiamo la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli. Siamo impegnati a costruire un ordine internazionale basato sulla giustizia e la pace, attraverso la solidarietà e gli strumenti multilaterali che ne sono espressione. Questo è il senso del nostro lavoro.

Guardate che tra la dimensione della cooperazione allo sviluppo e quella delle missioni, che a me piace chiamare di polizia internazionale (perché di questo si tratta), sempre dentro i canoni della legalità internazionale stabilita dalle Nazioni Unite, c'è una crescente sinergia, proprio perché l'obiettivo è comune: costruire sicurezza intorno a noi, attraverso lo sviluppo e la stabilizzazione, in nome della pace. (Applausi dai Gruppi PD e SCpI).

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