Dec
29
2013
L'attuale bicameralismo non č pių sostenibile
Pubblicato su: www.lavalsugana.it

Anche l'ultima settimana di dicembre (e del 2013) è stata una settimana di lavori parlamentari, sia pure limitati ad una sola giornata piena, quella di lunedì 23, con l'approvazione definitiva in Senato, col voto di fiducia, della legge di stabilità; e ad una piccola coda, sabato 28, con l'annuncio ufficiale, da parte del presidente Grasso, del ritiro da parte del Governo del decreto cosiddetto "Salva-Roma", e la lettura di una severa lettera del Presidente della Repubblica sull'abuso della decretazione d'urgenza.

Cominciamo da lunedì 23. La legge di stabilità, cioè quella che una volta si chiamava legge finanziaria, in pratica la manovra di bilancio annuale, è stata approvata in via definitiva dal Senato: in "terza lettura", cioè dopo la prima approvazione da parte del Senato (in novembre) e l'approvazione con modifiche da parte della Camera (seconda lettura). Le modifiche approvate a Montecitorio sono state esaminate e accolte da Palazzo Madama, in modo che entrambe le Camere abbiano, alla fine dei tre passaggi, votato lo stesso testo, come prescrive il nostro "bicameralismo paritario", stabilito dall'articolo 70 della Costituzione.

Come i lettori sanno, questa procedura è da tempo oggetto di critiche per la sua farraginosità. E in effetti è praticamente un "unicum", almeno in Europa. Negli altri Paesi, prevale il cosiddetto "bicameralismo differenziato", che assegna funzioni diverse alle due Camere, riservando ad una sola di esse la funzione politico-legislativa piena, e alla seconda un ruolo di comprimario, anche importante, come nel caso del Bundesrat tedesco, ma circoscritto alle questioni che riguardano i rapporti tra Governo centrale e sistema delle autonomie.

In Italia si parla da tempo (e se ne riparla oggi) di riformare in questo senso il nostro bicameralismo. Nella sua versione più radicale, quella proposta da Matteo Renzi, che condivido e sulla quale mi sono impegnato in campagna elettorale, la riforma prevede l'introduzione anche in Italia, al posto dell'attuale Senato, del Bundesrat alla tedesca.

Il nuovo Senato sarebbe quindi composto dai presidenti delle Regioni e Province autonome e, variante che tiene conto della specificità del sistema autonomistico italiano, da una rappresentanza dei sindaci. In questo modo si otterrebbe anche la riduzione dei parlamentari, perché scomparirebbero del tutto i senatori eletti (315 parlamentari in meno su 945). Se poi si decidesse di ridurre i deputati a 500 (invece degli attuali 630) avremmo il vero e proprio dimezzamento. Vedremo: è questo uno dei banchi di prova fondamentali del prossimo anno, per la politica in generale, per la maggioranza che sostiene il Governo Letta e soprattutto per il Pd e il suo nuovo segretario.

Tornando alla giornata in Senato del 23 dicembre, sul testo della legge di stabilità modificato dalla Camera, il Governo ha posto la "questione di fiducia", una procedura che comporta l'azzeramento di tutti gli emendamenti e il voto sul testo proposto dal Governo, che in questo modo mette in gioco se stesso: se il Senato boccia il testo, fa cadere anche il Governo.

Questa stessa procedura era stata utilizzata, dal Governo Letta, come del resto da tutti i governi, anche nei due passaggi precedenti: la prima lettura del Senato e la seconda della Camera. Attenzione però: la fiducia è sempre stata posta non sul testo varato dal Governo, ma su quello emerso dal dibattito e dal voto delle Commissioni Bilancio, dunque su un testo "parlamentare".

È per questo che, nella dichiarazione di voto, che ho fatto in aula a nome del Pd, ho potuto difendere il Governo dall'accusa di prevaricazione, rivoltagli in particolare dai ßenatori grillini: "Sulla decisione del Governo di porre la fiducia, sin dalla prima lettura qui in Senato - ho detto - si sono sentite ripetere, in quest'Aula e fuori, proteste del tutto infondate. La verità, Signor Presidente, è che, da ormai dieci anni, questo si è affermato come l'unico metodo possibile per varare la legge di stabilità, rispettando sia le prerogative del Governo che quelle del Parlamento".

"Di null'altro del resto si tratta - ho precisato - che dell'applicazione al contesto italiano del modello Westminster (dal nome del palazzo che ospita il parlamento inglese): a Londra, la proposta del Governo viene presentata aperta alla Commissione Bilancio, che la esamina in modo approfondito e concorda col Governo gli emendamenti. Il testo emendato dalla Commissione viene a questo punto proposto all'Assemblea per un voto finale, senza emendamenti, prendere o lasciare".

"Con gli attuali regolamenti, questo metodo di lavoro, l'unico possibile, l'unico razionale, può essere messo in atto in Italia solo con il voto di fiducia, su un unico maxiemendamento, col risultato - questo è il punto vero - che la legge diventa un testo di assai faticosa lettura: un unico articolo con centinaia di commi. Ecco allora una prima riforma urgente, da far procedere, io credo, in parallelo alla riforma costituzionale del bicameralismo: la modifica dei regolamenti parlamentari, in modo da rendere possibile, anche nel nostro Parlamento, il metodo Westminster, senza ricorrere al maxi emendamento e alla fiducia".
La mia dichiarazione di voto proseguiva con due altri rilievi critici. Il primo: al contrario di quanto è avvenuto quest'anno, "la legge di stabilità deve essere effettivamente tale, cioè lo strumento finalizzato a correggere le grandi tendenze della finanza pubblica e non ad affrontare una quantità enciclopedica, come tale difficilmente governabile, di questioni: da parte del Governo innanzi tutto, e poi dei gruppi e dei singoli parlamentari, attraverso migliaia di emendamenti".

"Su questo punto - mi sono rivolto al Presidente Grasso - mi permetto di segnalare l'urgente necessità che, accanto ad una più attenta autodisciplina dei gruppi, si impongano una dottrina ed una prassi di più rigorosa e severa vigilanza della Presidenza del Senato, e di quella della commissione Bilancio, sia nei riguardi del Governo, che di noi senatori".

Infine, un'ultima notazione di metodo: "La vera asimmetria tra Governo e Parlamento, nella discussione dei disegni di legge di stabilità e di bilancio, è l'attuale monopolio tecnico della Ragioneria generale dello Stato. Ma a questo monopolio non si reagisce invocando, in modo del tutto strumentale,  una malintesa supremazia della politica, ma piuttosto spezzando il monopolio, cioè dando vita ad un'autorità tecnica sul bilancio effettivamente terza, tra Governo e Parlamento e tra maggioranza e opposizione, quale dovrà essere il Servizio parlamentare del Bilancio, richiesto dalla normativa europea e ora entrato, con la legge di riforma dell'articolo 81, nel nostro ordinamento costituzionale".

"Su questo, Signor Presidente, mi consenta un altro, accorato appello: nei prossimi giorni, le presidenze di Camera e Senato dovranno scegliere le personalità che dovranno svolgere questa delicata e strategica funzione. Lei mi insegna, Signor Presidente, che per l'autorevolezza del Parlamento nel Paese, e del nostro sistema-paese in ambito europeo, è vitale che siano scelte persone di riconosciuta competenza, indiscussa indipendenza e significativa esperienza di livello internazionale, pena la politicizzazione domestica dell'organismo e dunque il suo sostanziale svuotamento."

Vedremo nei prossimi giorni quale sarà il livello delle nomine da parte dei due presidenti. Per intanto c'è da registrare la presa di posizione del Capo dello Stato, che ha imposto al Governo il ritiro del decreto cosiddetto "Salva-Roma" (perché conteneva, tra l'altro, misure straordinarie per evitare il default del Campidoglio), a causa dell'eccesso di emendamenti, sia da parte del Governo che di origine parlamentare, inseriti nel testo durante la conversione sia al Senato che alla Camera. Come si vede, il problema di intervenire pesantemente sulle procedure parlamentari è assolutamente urgente.

La mia dichiarazione proseguiva poi con un punto tutto politico: il Governo Letta ha dovuto fare i conti in questi mesi con le turbolenze della politica, dovute alla scissione del Pdl, a quella di scelta civica e ad un aspro confronto congressuale nel Pd. Ora queste turbolenze sono alle nostre spalle e il Governo non ha più alibi, deve fare: le riforme elettorali e costituzionali; una politica innovativa per il lavoro; una svolta in Europa.

Con i lettori di questa rubrica ne abbiamo parlato a lungo e ripetutamente, in questo 2013 che va a morire. Ne parleremo ancora, se la direzione de LaValsugana.it ci offrirà ancora la sua gentile ospitalità e se i lettori confermeranno il loro interesse, nel corso del 2014. Per il quale formulo a tutti i migliori auguri di Buon Anno.

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