TONINI (PD). Signora Presidente, signor Ministro, colleghi senatori, credo che ci sia un punto sul quale tutta l'Aula potrebbe incontrarsi, se lo volesse: è il dubbio che ci attraversa tutti rispetto a un passaggio così delicato come è quello di un investimento importante in un sistema d'arma.
Il dubbio ha vari livelli. C'è innanzitutto un dubbio tecnico: è lo strumento migliore possibile? C'è un rapporto congruo tra il costo, che è indubbiamente rilevante (stiamo parlando di 500 milioni l'anno per diversi anni), e la sua resa dal punto di vista tecnologico? C'è poi il dubbio sull'utilità di questo strumento d'arma in un contesto di tipo strategico. E c'è infine il dubbio, che attraversa tutti gli schieramenti di questo Senato, e certamente il Partito Democratico, sulla congruità morale di un investimento di questo genere: rispetto all'articolo 11 della Costituzione, e ancor più rispetto al momento di grave crisi economica che il Paese attraversa.
Il Parlamento ha il diritto di esprimere questi dubbi a nome del Paese, perché questi dubbi attraversano il Paese, e ha il dovere di chiedere al Governo una verifica seria e approfondita di questo programma d'arma. Non dobbiamo dimenticare che i parlamenti sono nati così: come limitazione al potere del re di imporre tasse per finanziare la guerra. Un parlamento forte, esigente, severo è quindi la migliore garanzia, per i cittadini-contribuenti che le loro tasse verranno impiegate in modo corretto, efficiente, giusto.
Il Parlamento deve esercitare questo diritto-dovere sapendo che nemmeno il suo potere è assoluto: la nostra Costituzione non prevede poteri assoluti di nessuno, nemmeno del Parlamento. E infatti il Parlamento stesso nella scorsa legislatura ha varato la legge n. 244 del 2012 che proceduralizza questa operazione, cioè stabilisce come deve essere esercitato il potere parlamentare di indirizzo e si controllo sulle decisioni in materia di sistemi d'arma.
Il Parlamento deve infatti esercitare la sua funzione con responsabilità, dato che quando si parla di investimenti pluriennali consistenti, non si può cambiare orientamento se non per ragioni solidissime, vagliate attraverso una procedura molto seria e rigorosa. E quando si fanno investimenti importanti, diciamo pure molto impegnativi, con altri Paesi, a livello internazionale, entra in gioco anche la credibilità del nostro Paese e quindi è necessario che le verifiche vengano fatte salvando quest'altro valore che comunque è in gioco.
Su questo punto, sul nostro diritto-dovere di esercitare il dubbio, per sottoporre il governo a verifiche serie e rigorose sul programma degli F35, in quest'Aula siamo uniti, cari colleghi. E lo vorrei dire in modo particolare - mi dispiace che non ci sia più in Aula il collega Casson - ai colleghi del Partito Democratico che hanno deciso e stanno decidendo di mantenere una loro mozione in dissenso dal gruppo: una mozione che loro stessi dicono essere in realtà molto simile a quella della maggioranza, il che rende non del tutto comprensibile la loro scelta.
C'è un punto, invece, che ci differenzia ed è quando - non me ne vogliano i colleghi - il dubbio cede il passo alla propaganda. È la propaganda che lascia intendere che ci sarebbero miliardi di euro disponibili per asili, scuole, ospedali, assetto del territorio, se solo si accettasse di tagliare un po' il grasso bilancio della difesa italiana.
Le cose, cari colleghi, non stanno così, e lo sappiamo. Sono anni che il bilancio della Difesa viene tagliato in proporzione più di ogni altro comparto della spesa pubblica. Oggi l'Italia spende per la difesa lo 0,85 per cento del PIL, pari a circa 13 miliardi di euro l'anno, su 800 miliardi di spesa pubblica complessiva. Nessun altro Paese occidentale spende così poco. E io dico che questo è un valore, è un fatto positivo: vuol dire che l'Italia ha fatto una scelta certamente non di riarmo. Ma è di questo che dobbiamo parlare, non di una inesistente corsa agli armamenti. Lo stesso Rapporto 2013 di Archivio Disarmo conferma nella sostanza le cifre ufficiali sulle spese militari: per arrivare a un punto percentuale di PIL, l'Archivio Disarmo mette dentro i costi della Difesa anche le pensioni del personale militare e il miliardo l'anno impiegato per le missioni all'Estero. Al di là delle dispute sulle frazioni di punto, è chiaro, sul piano politico, di cosa stiamo parlando: di un bilancio della Difesa minimo, non certo di una corsa agli armamenti sulla pelle del popolo.
Non è tutto. Questi 13 miliardi, per il 70 per cento sono stipendi dei militari e per il 10 per cento (troppo poco) spese di esercizio, mentre solo il 20 per cento è impiegato per gli investimenti, ossia per l'acquisto di sistemi d'arma. Siamo al di sotto del livello minimo di mantenimento in efficienza del nostro apparato militare. Anche le macchine militari, come tutte le macchine, si tratti di carri, navi o aerei, invecchiano fino ad andare fuori uso. È quello che sta succedendo a 250 aerei militari che dovrebbero essere sostituiti nell'arco dei prossimi 15 anni da 90 F-35 (90 al posto di 250), con un investimento di circa 500 milioni l'anno. In caso contrario, resteremmo praticamente senza Aeronautica militare. Ho sentito dire che non si dovrebbero costruire nemmeno le fregate; quindi, resteremmo anche senza Marina militare.
Basta dare un'occhiata ad una carta geografica del Mediterraneo per capire che non ce lo possiamo permettere. Tutti infatti ci auguriamo e dobbiamo operare perché il Mediterraneo diventi un lago di pace: tutta la nostra politica estera è impegnata in quella direzione. Guai se non lo fosse. Ma oggi il Mediterraneo è l'area più instabile e pericolosa del mondo: questa è la realtà con la quale ci dobbiamo confrontare, ed è probabile che resti tale a lungo. Dunque, nel futuro che oggi dipende dalle nostre decisioni, non possiamo prescindere da un investimento minimo per mantenere efficiente la nostra forza di Difesa, sia aerea che marina.
In prospettiva sarà anche necessario e giusto che la Difesa diventi una materia di competenza europea. Lasciate ricordare ad un senatore che si considera degasperiano per ispirazione, l'importanza della Comunità Europea di Difesa, che De Gasperi non riuscì a varare. Quel sogno è ancora il nostro sogno ed è oggi più attuale che mai, come dimostra l'ordine del giorno del Consiglio Europeo del prossimo dicembre. Ma per realizzarlo ci vorranno anni, forse decenni. E in ogni caso, la nostra bolletta per il costo della Difesa difficilmente potrà ridursi, essendo oggi la più bassa d'Europa.
In conclusione, va bene sospendere, approfondire, verificare, cercare di ridurre e di rimodulare, ma non vendiamo illusioni a buon mercato, colleghi e amici, da quest'Aula. Non facciamo questo errore. Una contenuta e ponderata politica di investimenti nel settore della difesa è a tutt'oggi indispensabile. Negare questo dato della realtà non è buona politica: è cattiva politica. Ci permettiamo di dirlo sommessamente, ma anche con fermezza, la stessa con la quale voteremo a favore della mozione presentata dalla maggioranza. (Applausi dai Gruppi PD e PdL).