questioni di cui si occupano, a Roma, governo e parlamento, sono questioni di carattere europeo. La settimana parlamentare che si è appena conclusa lo dimostra in modo solare.
Martedì 25 giugno mattina i lavori del Senato si sono aperti con la discussione di una serie di mozioni sul cosiddetto "Corridoio ferroviario Adriatico": in particolare i senatori eletti nelle regioni orientali del paese, dal Friuli-Venezia Giulia fino alla Puglia, chiedono garanzie al governo che il corridoio Berlino-Palermo, che attraversa l'Italia da Nord a Sud lungo la dorsale centrale Bologna-Roma, per poi proseguire lungo la sponda tirrenica Napoli-Palermo, non emargini la sponda adriatica.
Contemporaneamente, un gruppo di senatori liguri e toscani sta raccogliendo firme per una mozione Tirreno-Brennero, rilanciando la linea ferroviaria "pontremolese" tra La Spezia e Parma, in modo da saldare l'alto Tirreno con la direttrice del Brennero. Insomma, anche la politica delle grandi infrastrutture, in particolare ferroviarie, ormai si fa (e come potrebbe essere diversamente?) per derivazione dai grandi assi europei.
Martedì pomeriggio torna Letta in Senato per l'informativa sul Consiglio europeo del 27 e 28 giugno. Berlusconi, da presidente del Consiglio, non veniva mai. Del resto, lui di Europa si occupava poco. Aveva delegato tutto a Tremonti. Ma il potentissimo Giulio, come il Cavaliere, rifuggiva dal Parlamento. E così, mentre la Merkel passava giornate intere a discutere col Bundestag, noi dovevamo accontentarci, quando andava bene, di Franco Frattini, il ministro degli Esteri, che teneva discorsi cortesi e forbiti, ma assai poco informati, su un dossier che non padroneggiava, perché per l'appunto era saldamente nelle mani del collega ministro dell'Economia.
Le cose sono cambiate, radicalmente cambiate, col governo Monti. Certo, anche perché sentiva il bisogno di una legittimazione politica che non aveva, il governo dei professori era sempre in parlamento. E ad ogni importante passaggio europeo, veniva Monti stesso in aula, sia alla Camera che al Senato, mentre l'ottimo Moavero, allora come ora ministro degli Affari europei, si rendeva disponibile per tutti gli approfondimenti in commissione.
Letta ha confermato lo schema Monti: lui viene in aula, prima dei vertici, e Moavero in commissione (formato "esagonale": Esteri, Bilancio e Affari europei, Camera e Senato, insieme), a consuntivo. In aula, Letta concorda con la maggioranza una risoluzione impegnativa, una sorta di mandato a trattare. A scrivere la prima bozza, sia in maggio che questa volta, è stato il capogruppo del Pdl alla Camera, Renato Brunetta. E come in maggio, anche stavolta, è toccato a me "correggere" Brunetta, proporre emendamenti al testo, a nome del gruppo Pd del Senato.
Stavolta, a differenza di quanto era successo in maggio, ho potuto avvalermi della sponda preziosa del collega Andrea Martella, vicepresidente dei deputati del Pd. Oltretutto veneziano, che ha "mediato" tra il suo concittadino Brunetta e me. Il risultato è stato apprezzabile: in due, facendo io il poliziotto cattivo e Andrea quello buono, siamo riusciti a correggere il testo originario in modo più significativo di quanto non fosse riuscito, a me solo, in maggio.
Sul numero di "Panorama" in edicola in questi giorni, Brunetta svela (anche a me) un retroscena interessante: "Io ho l'incarico - dice all'intervistatore, Andrea Marcenaro - di scrivere il documento che verrà presentato all'incontro europeo di fine giugno. E procedo così: scrivo una bozza, la mando ai partner di governo, mi torna indietro, recepisco, preciso... È la prova del modo intelligente con cui il governo Letta utilizza il concorso di forze in Parlamento. La forza di Letta, volendo semplificare, sta nell'ottimo rapporto tra me e Stefano (Fassina, viceministro dell'economia, già responsabile Economia del Pd nella segreteria di Bersani, ndr). Il nostro idem sentire lo rende solido". Fassina, anche lui intervistato insieme a Brunetta, conferma.
La rivelazione, per me, non riguarda l'incarico a Brunetta di scrivere la bozza, né il metodo che usa nel confronto con noi. La rivelazione è l'asse con Fassina, che credevo fosse una tacita, implicita, forse perfino imbarazzata, "convergenza parallela". E invece è un esplicito ed esplicitato "idem sentire". "La nostra grande intesa" è il titolo dell'intervista ai due, che dichiarano: "La pensiamo allo stesso modo sull'Europa e sul futuro dell'Europa" (Brunetta). "Ma non basta - aggiunge Fassina - molto simile è anche la nostra analisi sul passato", cioè il giudizio negativo sul governo Monti.
Come i lettori di questa rubrica ormai sanno bene, io non la penso come Brunetta (e Fassina): né sull'Europa, né sul governo Monti. Non penso, come Brunetta (e Fassina), che noi dovremmo "reagire ai diktat europei" riprendendoci la nostra "libertà" di fare deficit e debito. Perché penso, con Monti, che il debito è una droga che ci sta uccidendo, lentamente, da anni. E che smettere di drogarci è faticoso e doloroso, ma è interesse nostro, prima che dell'Europa. E penso anche, con Monti, che è grazie alle decisioni dure e difficili prese l'anno scorso, nel senso della disciplina fiscale, che oggi l'Italia può uscire dalla procedura di infrazione per deficit eccessivo, riacquistare autorevolezza in Europa e quindi anche avanzare le sue proposte per la crescita e l'occupazione, in particolare giovanile, come quelle che Letta ha efficacemente avanzato giovedì e venerdì a Bruxelles.
Ancora Europa: mercoledì pomeriggio, in Commissione. Dobbiamo dare un parere sulla relazione annuale sulle politiche europee dell'Italia, predisposta dal ministro Moavero. Nel frattempo, la Camera discute di F35: quindi anche di difesa europea. Viene approvata una mozione di compromesso, un buon compromesso. Da noi il tema arriverà a metà luglio. Martedì prossimo faremo un'assemblea del gruppo sulla questione. Presto ne parleremo anche qui.
Di nuovo Europa, giovedì mattina: in Aula c'è Emma Bonino, per una informativa urgente sulla situazione in Turchia (potete trovare il testo su giorgiotonini.it). La ministra ci tiene a ripetere la sua (contestatissima) convinzione che "Piazza Taksim di Istanbul non è piazza Tahrir del Cairo", perché la Turchia, anche quella di Erdogan, al contrario dell'Egitto di Mubarak, è una democrazia.
E tuttavia, la Bonino condanna con nettezza l'uso eccessivo della forza da parte della polizia turca. E ricorda che non bastano libere elezioni perché si dia una vera democrazia: ci deve essere anche il pieno rispetto dei diritti delle minoranze. Ma questi richiami al governo di Ankara, i nostri come quelli degli altri governi europei, osserva pungente la ministra, sarebbero stati più forti e credibili se l'Europa avesse tenuto davvero aperta la prospettiva dell'ingresso della Turchia nell'Unione europea. L'Italia ha sempre tenuto questa posizione di apertura, del resto condivisa sia dal centrodestra che dal centrosinistra (ma non dalla Lega, fieramente contraria all'ingresso della Turchia in Europa).
"Thank you for your leadership", ho detto alla Bonino intervenendo a nome del Pd (anche il mio intervento lo trovate su giorgiotonini.it). Giovedì pomeriggio ho incontrato, nel mio ufficio in Senato, due dirigenti del consorzio TAP (Trans-Adriatic-Pipeline), che intende portare in Europa il gas dell'Azerbaijan attraverso la Turchia, la Grecia, l'Albania e l'Italia, dove si allaccerebbe alla nostra rete. Il nuovo gasdotto rappresenterebbe una nuova fonte di rifornimento energetico, riducendo così la nostra attuale dipendenza dal gas russo. Si tratta quindi di un'opera (e di un'operazione) al temp stesso di politica energetica, di politica economica e anche, sissignori, di politica estera e di difesa, di "strategia". Venerdì, da Bruxelles, Letta annuncia il via libera del Consiglio europeo a questo importante progetto.