Jun
21
2013
In Aula arriva il "femminicidio"
Pubblicato sul magazine online www.lavalsugana.it

Un'Assemblea del Gruppo Pd, molto operativa, ha aperto martedì 18 giugno mattina i lavori della scorsa settimana parlamentare. Si trattava di illustrare, da parte di tutti i capigruppo di commissione, proposte puntuali per la crescita, da trasmettere al governo per arricchire il decreto cosiddetto "del Fare", in vista del sua passaggio parlamentare.

 

I lavori, coordinati dal mio collega vicepresidente Stefano Lepri, neosenatore torinese, ex-consigliere regionale del Piemonte, "renziano", sono stati introdotti dal capogruppo in Commissione Bilancio, Giorgio Santini, anche lui al primo mandato, ma con alle spalle una lunga esperienza di sindacalista, che lo ha portato fino alla segreteria regionale della CISL veneta e poi a diventare il vice di Bonanni.

 

 

A ora di pranzo, un incontro con Veltroni, per uno scambio di idee sul Congresso del Pd e sulla candidatura, sempre più probabile, di Matteo Renzi alla segreteria. Concordiamo tra noi (e con Renzi) nel dire di no a cambiamenti delle regole congressuali, che muterebbero in modo significativo il volto del partito. Scindere la funzione di segretario da quella di candidato premier, far eleggere il primo dai soli iscritti, far precedere la competizione tra candidati segretari, da una fase "unitaria" nei circoli e forse nelle federazioni provinciali e magari regionali: si tratta di modifiche discutibili, comunque pesanti, che non possono essere decise da un'Assemblea nazionale eletta quattro anni fa e ormai in fase di scioglimento.

 

Piuttosto si fissi subito la data del Congresso, entro la fine dell'anno, e si presentino le piattaforme congressuali per un ampia discussione nel partito. Se la piattaforma di Renzi sarà, come pare, in chiara continuità con quella del Lingotto, saremo con lui. Sarebbe invece sbagliato adattare modi e tempi del Congresso alle (presunte) esigenze del governo Letta, che va sostenuto fino in fondo, nell'interesse del Paese, ma che è e resta un governo di necessità, fondato sulla coalizione anomala col Pdl, e non potrà essere il governo col quale il Pd si presenterà alle prossime elezioni, vicine o lontane che siano.

 

La Commissione Esteri, convocata alle 15,15, prende in esame una serie di ratifiche (tra le altre, l'accordo con San Marino in materia fiscale, che si spera concluda definitivamente l'era della opacità della piccola Repubblica ai confini della Romagna) e mette in cantiere una serie di "indagini conoscitive", ovvero approfondimenti di temi, anche attraverso le necessarie audizioni: una "quadrangolare" (le commissioni Esteri e Affari europei di Camera e Senato) sul programma della prossima presidenza semestrale italiana dell'Ue (luglio-dicembre 2014); una "triangolare" (commissioni Esteri, Difesa e Affari europei) sulla difesa europea, in vista del Consiglio europeo di dicembre, che sarà dedicato a questo importantissimo tema; infine, una "bilaterale" (commissione Esteri con comitato per gli italiani all'estero), sulla ristrutturazione della rete diplomatico-consolare e, più in generale, sulla "Spending Review" della Farnesina.

 

Alle 16,30, in Aula, c'è la ratifica della Convenzione di Istanbul sulla violenza contro le donne. Una maratona oratoria, che prende tutto il pomeriggio di martedì e buona parte della mattina di mercoledì. Tra i tanti interventi, come sempre disomogenei per livello, i migliori mi sono parsi la relazione di Emma Fattorini e la dichiarazione di voto, a nome del Pd, di Anna Finocchiaro. Entrambe hanno messo in evidenza un punto, che anch'io avevo sottolineato nel mio intervento in commissione: il carattere di "novità" che la violenza sulle donne va assumendo.

 

Accanto al persistere di una violenza antica, che ancora oggi colpisce le donne nell'ambito di conflitti bellici, etnici, religiosi, razziali, c'è una violenza, per così dire "moderna", che si consuma nella famiglia, o comunque nella relazione di coppia, fino all'esito estremo del "femminicidio". Un fenomeno dalle dimensioni preoccupanti, che sembra affondare le sue radici nello spiazzamento maschile rispetto alla emancipazione femminile, nella incapacità dell'uomo, giovane o anziano non sembra fare molta differenza, di accettare la libera decisione della donna di rompere un legame, di porre fine ad una relazione, o comunque di viverla nella libertà. Una piaga, il "femminicidio", che è pressoché impossibile contrastare mediante misure di carattere penale (inasprimento di pene, o simili), ma che piuttosto deve essere curata attraverso un lavoro educativo, culturale, sociale.

 

Dopo il voto sulle mozioni su Istanbul, l'aula tende a svuotarsi. Ma c'è un'altra ratifica da votare: riguarda l'accordo con l'Unesco per collocare a Perugia la sede di un progetto internazionale sull'acqua. Intervengo in dichiarazione di voto per ricordare ai colleghi che le ratifiche degli accordi internazionali si dividono in due categorie: quelle molto importanti (come Istanbul, appena votata) e quelle solo importanti, come questa. Non esistono ratifiche non importanti. La prova sta nella Costituzione, che impone il voto in aula (e non solo in commissione) solo in quattro casi: leggi costituzionali o elettorali; leggi di delega al governo; leggi di bilancio; e, per l'appunto, leggi di ratifica. Dunque bisogna stare in aula e votare le ratifiche, con un certo riguardo al fatto che anche quando si tratti di materie molto specifiche, si tratta comunque di un impegno dell'Italia in campo internazionale.

 

Mercoledì pomeriggio l'aula discute e approva una mozione, proposta dal M5s, sui criteri per le nomine negli enti pubblici, mentre giovedì mattina inizia la trattazione di una mozione sul "corridoio Adriatico". Giovedì è anche la giornata mondiale dei rifugiati e richiedenti asilo. Una delegazione di rifugiati in Italia viene ricevuta dal presidente Grasso e, subito prima, da me in rappresentanza del gruppo Pd. Lamentano la mancanza di una legge organica sul diritto di asilo e chiedono una riforma della legge sulla cooperazione allo sviluppo. Non posso che condividere.

 

Giovedì pomeriggio la commissione Esteri e quella sui Diritti umani, presieduta da Luigi Manconi, ricevono per un'audizione Adama Dieng, 62 anni, senegalese, dal luglio 2012 consigliere speciale per la prevenzione del genocidio del segretario generale delle Nazioni unite Ban Ki-Moon. L'Ufficio del consigliere per la prevenzione del genocidio, istituito nel 2004, si occupa di raccogliere e valutare le informazioni sulle situazioni critiche che possono portare al genocidio e di formulare raccomandazioni per prevenire o fermare il genocidio.

 

Gli chiedo, nel corso della discussione, se non ritenga che l'affermarsi del Tribunale penale internazionale contro le violazioni dei diritti umani non possa risultare controproducente, limitando la flessibilità della politica nel ridurre il danno, ad esempio inducendo i dittatori a mollare la presa sui loro popoli in cambio di promesse di immunità. Mi risponde riconoscendo il problema, ma riaffermando l'insostenibilità in via di principio, Carta delle Nazioni Unite alla mano, dell'impunità per chi si è macchiato di crimini contro l'umanità, fino all'estremo del genocidio.

 

Venerdì torno a Trento. Al pomeriggio, al Palalevico, c'è l'assemblea degli industriali trentini, con la severa relazione del presidente Paolo Mazzalai, forse ingenerosa nei riguardi della Giunta provinciale, come ha detto Lorenzo Dellai, ma certo indicativa di come una stagione sia finita: quella nella quale ogni problema poteva essere risolto, o almeno attenuato, da uno stanziamento di risorse da parte della Provincia. Quell'epoca è finita: perché le risorse scarseggiano, anche per la nostra ricca e potente Provincia autonoma. Ma anche e soprattutto perché c'è bisogno di altro: di un sistema pubblico più leggero, che costi meno alla collettività e che pesi meno in termini di procedure burocratiche, troppo spesso tanto cervellotiche quanto soffocanti.

 

Le profetiche parole di Alcide Degasperi, pronunciate davanti all'Assemblea costituente che stava approvando lo Statuto della nostra autonomia speciale, e richiamate da Mazzalai, dovrebbero essere scolpite in ogni ufficio provinciale: "Le autonomie si salveranno, matureranno, resisteranno solo ad una condizione: che dimostrino di essere migliori della burocrazia statale, migliori del sistema accentrato statale, migliori soprattutto per quel che riguarda le spese. Non facciamo la concorrenza allo Stato per spendere molto, ma facciamo in modo di creare un'amministrazione più forte e che costi meno".

 

Sabato mattina mi metto in macchina. Ho accettato di intervenire a Todi, ad un convegno di cattolici democratici promosso dall'Associazione Argomenti 2000, presieduta dal mio vecchio amico Ernesto Preziosi, a lungo dirigente dell'Azione cattolica, ora deputato del Pd. Tra andare e tornare sono più di mille chilometri, col traffico del primo sabato estivo. Ma l'Umbria è irraggiungibile con i mezzi pubblici. Dieci ore di guida per un paio d'ore di tavola rotonda, comunque interessante: con Rosy Bindi, il ministro Graziano Del Rio, il portavoce di Scelta civica, l'ex-presidente delle ACLI Andrea Olivero.

 

Torno a Trento alle 4 del mattino di domenica. Ameno qualche ora riesco a stare a casa. Domattina, lunedì, si torna a Roma. Per fortuna col treno.

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