Gli italiani all'estero sono stati il primo argomento trattato in Senato la scorsa settimana. All'ordine del giorno dell'Aula di Palazzo Madama, martedì 14 maggio mattina, c'era la mozione per la ricostituzione, anche in questa legislatura, del Comitato per gli italiani nel mondo. Primo firmatario il collega (e amico) Claudio Micheloni, un abruzzese emigrato in Svizzera da ragazzo (e quindi due volte testone, come gli dico io, una vota perché svizzero, un'altra perché abruzzese...). Come spesso gli capita, Micheloni è di cattivo umore. Gli dà fastidio che gli eletti tra gli italiani all'estero (6 senatori e 12 deputati) siano considerati un costo per l'Italia, quando dovrebbero invece essere valorizzati come una risorsa. Non a caso i francesi ci hanno copiato: e non capita di frequente...
Micheloni ha ragione due volte. La prima volta perché è vero che la questione dei costi verrà posta. Ci pensa, un po' a sorpresa, Pierferdinando Casini, neo-presidente della Commissione Esteri del Senato. La seconda volta, perché è vero che gli italiani all'estero andrebbero visti in tutt'altra prospettiva. Non solo quella della gratitudine: sentimento peraltro giustificato, se solo si pensa per un attimo a quanto pesarono le rimesse dei nostri emigranti per aiutare l'Italia, dall'Ottocento fino all'ultimo dopoguerra.
A proposito: ancora oggi, le rimesse dei migranti dall'immenso Sud del mondo sono la principale voce di trasferimento monetario dai paesi sviluppati a quelli emergenti: più della cooperazione allo sviluppo, più degli investimenti. Come dire che sono i più poveri del Nord (gli immigrati) i più generosi con i poveri del Sud (le loro famiglie e comunità di origine): molto di più dei nostri governi o delle nostre imprese. Così è oggi per gli immigrati che abbiamo tra noi, così è stato ieri per i nostri emigrati, che hanno contribuito allo sviluppo dell'Italia più del Piano Marshall.
Ma gli italiani all'estero non andrebbero guardati solo in questa, pur doverosa, prospettiva di gratitudine. Andrebbero visti soprattutto come una straordinaria opportunità di internazionalizzazione dell'Italia: economica, politica, culturale. A me piace dire che gli italiani all'estero (a cominciare dai nostri Trentini nel mondo...) andrebbero considerati come il nostro Commonwealth: una straordinaria rete di relazioni, che per di più, a differenza del Commonwealth britannico, non è il retaggio di un passato coloniale, basato sulla forza delle armi, ma l'eredità di una straordinaria vicenda umana, "fondata sul lavoro", come la nostra Repubblica; una vicenda dolorosa e al tempo stesso (non in tutti purtroppo, ma nella maggior parte dei casi) felice, fortunata.
Micheloni è un operaio diventato imprenditore edile a Neuchâtel. Renato Turano, il senatore eletto in Nordamerica che ha tenuto la dichiarazione di voto a nome del Pd a favore della proposta, è il re della panificazione a Chicago. Per non parlare dei tanti cervelli, più o meno in fuga, che popolano la nostra emigrazione recente... Alla fine la mozione Micheloni passa, a larghissima maggioranza. Casini vota contro, insieme ai grillini e a pochi altri sparsi, neppure Scelta Civica lo segue. Il Comitato si farà.
Martedì pomeriggio si tiene una lunga riunione (tre ore!) della presidenza del gruppo Pd con i nostri presidenti o vicepresidenti e capigruppo di Commissione. All'ordine del giorno due punti. Uno organizzativo, interno al gruppo: il presidente dei senatori del Pd, Luigi Zanda, propone di accogliere una mia vecchia proposta, quella di sostituire il direttivo del gruppo (un organismo politico intermedio, per la mia esperienza inutile in un gruppo di un centinaio di senatori, con una presidenza di dieci), con un organismo operativo, appunto la conferenza dei capigruppo di Commissione, strategico per una buona conduzione dei lavori in Senato. Non saremmo il Pd se non discutessimo animatamente anche di una questione tutto sommato secondaria come questa. Alla fine Zanda ottiene un largo consenso sulla proposta di congelare l'elezione del direttivo e di sperimentare la convocazione frequente della conferenza dei capigruppo di Commissione. Hai vinto, mi prendono in giro i colleghi...
Secondo punto della riunione, più politico: la compatibilità della presidenza di Formigoni alla Commissione Agricoltura con la sua posizione di rinviato a giudizio per corruzione e associazione a delinquere. Il rinvio a giudizio è stato richiesto dalla Procura di Milano l'8 maggio pomeriggio, poche ore dopo l'elezione a presidente (anche coi nostri voti, nell'ambito dell'accordo sulle Commissioni). Anche se non ci sono molte speranze di successo (i presidenti di Commissione non possono essere revocati, ma al massimo non confermati a metà legislatura), si valuta insieme che il Pd non può non chiedere a Formigoni di dimettersi. Si dà incarico a Zanda di farlo pubblicamente.
Zanda lo farà venerdì mattina, con un'intervista all'Avvenire, nella quale oltre a chiedere le dimissioni di Formigoni, rispondendo al giornalista si dirà favorevole, "a titolo personale", a votare l'ineleggibilità di Berlusconi e contrario invece all'ipotesi di una sua nomina a senatore a vita. Inevitabile la bufera mediatica. Dal Pdl c'è perfino chi minaccia di far saltare il governo. Poi la tempesta si placa. Su Berlusconi senatore a vita, nessuno di noi è competente. È il presidente della Repubblica che nomina i senatori a vita. Non so se Napolitano abbia intenzione di nominare Berlusconi, onestamente non credo. In ogni caso, la nomina a senatore a vita (assolutamente inopportuna, sono d'accordo con Zanda) non sarebbe in alcun modo un "salvacondotto" per le sue vicende giudiziarie, come invece si è detto e scritto. Da senatore a vita Andreotti ha dovuto farsi tutti i suoi processi per mafia...
Sono invece perplesso sull'ineleggibilità di Berlusconi. La norma che viene invocata è una legge del 1956 che dichiara ineleggibili i titolari di concessioni governative. Berlusconi, come principale azionista di Mediaset, lo è nella sostanza, ma non nella forma, in quanto non è il legale rappresentante della sua azienda. E quando si ha a che fare con diritti fondamentali, come l'elettorato passivo, non si può pensare di sospenderli sulla base di norme suscettibili di diverse interpretazioni.
Per fortuna non faccio parte della Giunta per le elezioni e quindi non dovrò occuparmi di questa vicenda. Da tempo penso peraltro che su questi temi (ineleggibilità o immunità) non dovrebbero essere le Camere a pronunciarsi, con un giudizio inevitabilmente politico, ma una sorta di Gran Giurì della Repubblica, che potrebbe essere composto da ex-presidenti della Corte costituzionale e che dovrebbe assumere anche le competenze in materia di procedimenti disciplinari per i magistrati. In ogni caso, penso che Berlusconi dobbiamo batterlo alle elezioni, portandogli via un po' di elettori, non illuderci di poterlo eliminare attraverso la via giudiziaria.
Mercoledì pomeriggio, alle 14, in seduta congiunta, sono convocate le Commissioni Esteri di Camera e Senato, con all'ordine del giorno l'illustrazione, da parte della ministra Emma Bonino, delle sue linee programmatiche. Per la regola dell'alternanza, stavolta la riunione si tiene a Palazzo Madama. Emma parla per quasi un'ora: del contributo che la rete diplomatica può e deve dare alla ripresa economica del Paese; della scarsità di risorse di cui dispone la Farnesina; del necessario rilancio del progetto federalista europeo; della nostra funzione nel Mediterraneo; della necessità della riforma della legge sulla cooperazione allo sviluppo; della valorizzazione degli italiani all'estero; del caso Marò; della gravissima crisi siriana e della eterna questione israelo-palestinese.
Dopo la ministra, tocca a me prendere la parola, come capogruppo del gruppo più grande. Do il bentornata alla Bonino e scherzo sulla Commissione Esteri del Senato che porta fortuna: ne faceva parte Napolitano, quando fu eletto presidente della Repubblica; e la stessa Bonino, nella scorsa legislatura. Poi esprimo soddisfazione per la sua nomina a ministro, in quanto Emma è una delle poche personalità politiche capaci al tempo stesso di visione e di concretezza, così come esprimo condivisione per le linee programmatiche esposte, in continuità creativa con una tradizione condivisa di politica estera, che risale fino a Degasperi, e che colloca l'Italia all'incrocio di tre grandi assi geopolitici: l'Europa, l'Atlantico, il Mediterraneo.
Ovviamente esprimo soddisfazione e speranza per le parole della Bonino sulla cooperazione (sarà la volta che facciamo la riforma? Io ho già ripresentato il disegno di legge approvato nella scorsa legislatura in Commissione) e richiamo invece la sua attenzione sulla necessità di riprendere la "Spending Review" del Ministero, l'unica via per ridurre nel tempo le spese di funzionamento e aumentare quindi le risorse disponibili per le politiche. Il ministro Terzi, ricordo, aveva incaricato un gruppo di lavoro, del quale facevo parte anch'io, di elaborare un pacchetto di proposte, che sarebbe bene riprendere.
Mercoledì sera, nuova assemblea del gruppo, per un primo incontro e scambio di opinioni con Guglielmo Epifani. L'introduzione del neo-segretario del Pd è all'insegna di una grande preoccupazione, per il sommarsi di una gravissima crisi economica con una non meno preoccupante crisi socio-culturale, che sta alimentando parole e atti di violenza, per non dire della crisi politica. In un contesto come questo, i parlamentari del Pd sono chiamati ad una grande responsabilità, per sostenere lealmente il governo Letta.
Intervengo per dire che l'Italia non uscirà dalla crisi senza riforme, semplicemente aspettando una ripresa che, in assenza di cambiamenti profondi, potrebbe anche non riguardarci. E che, se vogliamo fare del prossimo congresso del Pd l'occasione per un dibattito vero e costruttivo e non una misera conta tra fazioni, dobbiamo innalzare la soglia delle questioni condivise tra di noi: a cominciare da un'attenta analisi del voto, dei punti di forza e di debolezza del nostro insediamento sociale e territoriale.
Giovedì mattina, in Aula, c'è il "question time" del ministro del Lavoro Giovannini, sulla questione esodati. Sulla consistenza del fenomeno, che va peraltro suddiviso in tipologie molto diverse tra loro (un conto è chi ha già perso il lavoro senza poter andare in pensione, altra cosa è chi lo perderà o potrebbe perderlo), le stime della Fornero sono in sostanza confermate. Per quanto riguarda i rimedi, il migliore è senza dubbio l'uscita flessibile, anticipata o posticipata, in cambio di riduzioni o incrementi della pensione. Il problema è che si tratta di un rimedio molto costoso. Almeno nell'immediato. Altrimenti lo avrebbe adottato già la Fornero...
Giovedì pomeriggio incontro un cooperante che opera da anni in Libano e mi riferisce della terribile situazione in Siria. Venerdì mattina rientro a Trento. Al pomeriggio, un difficile coordinamento del Pd trentino sulla marcia di avvicinamento alle provinciali. Sabato mattina vado all'inaugurazione del rinnovato Palazzo delle Terme di Levico. Domenica, su incarico di Zanda, lavoro al testo della risoluzione parlamentare in vista del Consiglio europeo di mercoledì. Letta verrà martedì mattina in Aula a riferire.