Ha impiegato una settimana, il presidente Napolitano, per dar vita al governo Letta. Anzi, per la precisione, 8 giorni. Lunedì 22 aprile, nell'aula di Montecitorio impavesata dalle bandiere tricolori, davanti ai mille grandi elettori, il primo presidente della Repubblica rieletto per un secondo mandato ha giurato fedeltà alla Costituzione. E ha pronunciato un discorso che passerà alla storia d'Italia (potete leggere il testo integrale sul mio sito www.giorgiotonini.it nella sezione "vi segnalo") e che andrebbe studiato nei licei (e nei circoli del Pd). Martedì 30, nell'aula di Palazzo Madama, con 233 sì (tra i quali il mio), 59 no e 18 astensioni, il governo Letta ha ottenuto anche la decisiva fiducia del Senato, dopo aver incassato, il giorno prima, con analoga maggioranza, quella della Camera.
La settimana era cominciata per me lunedì 22 mattina presto. Partenza da Trento alle 7,30 col "Pacher Express" (come io chiamo le Frecciargento da e per Roma), che con le sue quattro ore di viaggio comodo, adatto a leggere, scrivere, dormire, ha ormai, almeno per me, completamente soppiantato l'aereo, che invece ho preso per anni, più volte a settimana. Quando non prendevo la macchina, se dovevo passare per la Toscana o le Marche, in passato mie regioni di elezione, per qualche iniziativa politica... E invece, adesso, Alitalia mi ha espulso dal club Freccialata, ma non so quanti ettolitri di benzina o gasolio ho risparmiato. Con grandi vantaggi: economici, ambientali, di qualità della vita.
A proposito, ecco un tema sul quale la distanza coi grillini è per me incolmabile: il TAV, il treno ad alta velocità, a mio modo di vedere, è il modo più razionale, moderno e... "di sinistra" che esista per spostarsi. Per me, il vero grande difetto del TAV è che ancora non c'è in gran parte d'Italia: a Sud di Salerno, lungo l'Adriatico, ma anche tra Roma Pisa e Genova, per non parlare della tratta Torino-Trieste... E poi, certo, l'altro difetto è il divario tra l'alta qualità del TAV e le condizioni scandalose in cui versano i treni per i pendolari. Ma la soluzione non sta nel combattere il TAV, ma nell'impegnarsi per un salto di qualità del trasporto locale. Come avviene in tutta Europa.
Arrivato a Roma, ho partecipato in Senato alla riunione della presidenza del gruppo Pd, alla quale sono, per così dire, "invitato permanente", forse in qualità di "decano" del gruppo (sono infatti il senatore Pd col più elevato livello di anzianità a Palazzo Madama, l'unico superstite degli eletti nel 2001). Oggetto della riunione, offrire utili consigli al capogruppo, Luigi Zanda, in procinto di essere consultato dal presidente della Repubblica, in vista della formazione del nuovo governo. In particolare, Zanda chiedeva la nostra opinione circa la "tenuta" del gruppo nel voto di fiducia su un governo di "larghe intese", coerente con gli impegni assunti dai principali partiti nel chiedere a Napolitano la sofferta disponibilità ad una rielezione. La risposta, unanime, è stata rassicurante: ci saranno problemi, ma la fiducia del gruppo non è in discussione.
Alle 17 ci siamo spostati alla Camera, per assistere al giuramento e al discorso di insediamento di Napolitano. Ho ascoltato le parole del presidente rieletto, stando seduto accanto a Sergio Zavoli, anche lui molto contento per l'esito della travagliata vicenda. Leggendo il suo discorso, il vecchio presidente si è commosso più volte ed è apparso provato emotivamente da una decisione che senza dubbio gli è costata molto in termini personali. Ma la commozione non ha mai appannato la nitida lucidità della sua analisi, la forza tagliente dei suoi richiami, la coraggiosa nettezza delle sue proposte.
Napolitano ha spiegato le ragioni della sua rielezione: "Ci siamo ritrovati insieme in una scelta pienamente legittima, ma eccezionale. Perché senza precedenti è apparsa (...) la condizione di acuta difficoltà e perfino di emergenza che l'Italia sta vivendo in un contesto europeo e internazionale assai critico e per noi sempre più stringente. Bisognava dunque offrire, al paese e al mondo, una testimonianza di consapevolezza e di coesione nazionale, di vitalità istituzionale, di volontà di dare risposte ai nostri problemi: passando di qui una ritrovata fiducia in noi stessi e una rinnovata apertura di fiducia internazionale verso l'Italia".
"È a questa prova che non mi sono sottratto", ha detto ancora il presidente. "Ma sapendo che quanto è accaduto qui nei giorni scorsi ha rappresentato il punto di arrivo di una lunga serie di omissioni e di guasti, di chiusure e di irresponsabilità". Napolitano non ha risparmiato nulla alle forze politiche in generale e al suo stesso partito, il Pd, in particolare: per aver mancato, nella passata legislatura, l'obiettivo della riforma elettorale e costituzionale; per essersi illusi di poter andare al governo in condizioni di evidente minorità numerica e politica, avvalendosi dell'abnorme premio di maggioranza previsto dal "Porcellum", ma trascurando il vincolo rappresentato dal diverso sistema elettorale del Senato; per essersi riempiti la bocca di parole come "cambiamento", senza riuscire a tradurre questo generico desiderio in chiare e realistiche proposte di governo. Dai banchi si sono levati ripetuti, calorosi, liberatori applausi...
Forte della sua profonda cultura politica, appresa alla grande scuola dei partiti fondatori della Repubblica, Napolitano ha richiamato i parlamentari e i partiti al realismo, alla responsabilità, al dialogo. "Il fatto che in Italia si sia diffusa - ha ammonito - una sorta di orrore per ogni ipotesi di intese, alleanze, mediazioni, convergenze tra forze politiche diverse, è segno di una regressione, di un diffondersi dell'idea che si possa fare politica senza conoscere o riconoscere le complesse problematiche del governare la cosa pubblica e le implicazioni che ne discendono in termini, appunto, di mediazioni, intese, alleanze politiche. O forse tutto questo è più concretamente il riflesso di un paio di decenni di contrapposizione - fino allo smarrimento dell'idea stessa di convivenza civile - come non mai faziosa e aggressiva, di totale incomunicabilità tra schieramenti politici concorrenti".
"Lo dicevo già sette anni fa in quest'aula - ha proseguito Napolitano - nella medesima occasione di oggi, auspicando che fosse finalmente vicino il tempo della maturità per la democrazia dell'alternanza: che significa anche il tempo della maturità per la ricerca di soluzioni di governo condivise quando se ne imponga la necessità. Altrimenti, si dovrebbe prendere atto dell'ingovernabilità, almeno nella legislatura appena iniziata".
Solo in pochi, tra i banchi del Pd, abbiamo applaudito a queste parole del presidente. Eppure, sono le parole centrali del suo discorso: basta con lo spirito di fazione che provoca l'orrore per qualunque ipotesi di intesa, tra forze che sono e restano avversarie, "quando se ne imponga la necessità". È del tutto evidente che siamo nel pieno di questo stato di necessità: gli elettori non hanno dato a nessuno i numeri sufficienti per governare da solo; e d'altra parte non si può neppure tornare subito al voto, a causa del sistema elettorale e costituzionale che deve essere riformato, pena un altro esito nullo, e dell'emergenza economica, che esige un governo subito, per prendere almeno alcune misure immediate.
È sulla base di queste riflessioni che ho votato convintamente, martedì pomeriggio, l'ordine del giorno col quale la Direzione nazionale del Pd dava mandato ai due capigruppo, Speranza e Zanda, e al vicesegretario Enrico Letta, di assicurare "pieno sostegno al tentativo del presidente della Repubblica di giungere alla formazione del governo".
Ed è sulla base delle medesime riflessioni che ho argomentato il mio sostegno al governo di "larghe intese" mercoledì 24, registrando una puntata della trasmissione televisiva "Mapperò", condotta da Monica Mondo e prodotta dal canale televisivo cattolico Sat2000; poi, tornato a Trento, partecipando il 25 sera a "Trentino in diretta", condotto da Paolo Mantovan su RTTR; e infine intervenendo all'Assemblea del Pd del Trentino, sabato 27 pomeriggio, nella sala circoscrizionale di Piedicastello.
Sono ridisceso a Roma domenica 28 sera, sempre col "Pacher Express", per poter partecipare lunedì 29 mattina all'Assemblea dei senatori del Pd, che si è conclusa con un voto pressoché unanime di sostegno al governo Letta e dunque di impegno a votare la fiducia, martedì mattina.
Nel fine settimana, Letta aveva sciolto la riserva e presentato la lista dei ministri alla firma del Capo dello Stato. Numero 2 del governo, vicepresidente e ministro degli Interni è Angelino Alfano, l'Enrico Letta del Pdl, leale con Berlusconi, ma uomo di mediazione, tra i meno ostici al centrosinistra. Personalità solide, competenti ed esperte nei ministeri-chiave: Emma Bonino agli Esteri, Saccomanni all'Economia, Moavero agli Affari europei, Giovannini al Welfare, Cancellieri alla Giustizia, Mauro alla Difesa, Franceschini ai rapporti col Parlamento. E poi, molti innesti di giovani e donne, in entrambi gli schieramenti, con qualche rischio di fragilità, ma anche con un evidente sforzo di discontinuità rispetto ai protagonisti della lunga guerra di posizione della Seconda Repubblica. Due "nuove italiane": Josefa Idem, italo-tedesca; e Cécile Kyenge, italo-congolese.
Nel pomeriggio di lunedì, Letta ha illustrato alla Camera (e consegnato il testo al Senato, sulla base di una regola di alternanza tra i due rami del Parlamento, che evita al presidente del Consiglio di ripetere due volte lo stesso discorso) le linee programmatiche del suo governo. Ho seguito l'intervento in diretta tv, insieme ad alcuni colleghi, nella saletta del direttivo del gruppo Pd.
Ho trovato molto forte l'impianto europeistico del discorso: sia nella parte iniziale, con la quale Letta ha inteso rassicurare i partner europei e i mercati sulla continuità del nuovo governo rispetto alle politiche di rigore e risanamento finanziario intraprese dal governo Monti (a proposito: grazie presidente Monti per il grande e ingrato lavoro svolto al servizio del Paese!); sia nella parte finale, con la quale ha rilanciato l'impegno dell'Italia nella costruzione dell'Europa politica, degli Stati Uniti d'Europa.
In un'intervista al quotidiano "Italia Oggi", uscita martedì, ho invece definito più "acerba" la parte propriamente programmatica. Giusta l'affermazione di Letta che "di solo rigore si muore" e che dunque servono nuove politiche espansive, per la crescita e l'occupazione. Ma il presidente del Consiglio si è limitato ad elencare una lunga serie di possibili misure, tanto desiderabili quanto costose, senza (almeno per ora) individuare una chiara gerarchia di priorità: dalla cancellazione dell'Imu sulla prima casa, alla revoca dell'aumento dell'Iva previsto dal 1º luglio; dal rifinanziamento della cassa integrazione in deroga, a misure di sostegno agli esodati; dal superamento del precariato nella pubblica amministrazione, all'alleggerimento della pressione fiscale sulle imprese e sul lavoro.
Il secondo punto debole, a mio modo di vedere, è la previsione di una "Convenzione" per la riforma costituzionale: una commissione mista di parlamentari ed esperti, da istituire con legge costituzionale, incaricata di predisporre una proposta di riforma da sottoporre poi al voto "prendere o lasciare" del Parlamento. Temo si tratti di una via inutilmente lunga e tortuosa. Se infatti è vero che nella scorsa legislatura non si è arrivati a nessun risultato, non è invece vero che si sia solo perso tempo: la discussione, in particolare nella Commissione affari costituzionali del Senato, è stata ampia e approfondita. Al punto che oggi ci sono le condizioni per decidere tra alternative chiare, la prima delle quali è quella tra semipresidenzialismo alla francese e rafforzamento dei poteri del Primo Ministro sul modello inglese-tedesco. Si può decidere di decidere in parlamento, o al limite indicendo un referendum di indirizzo. Non mi pare sia invece ragionevole ricominciare da capo.
Anche perché il tempo stringe. Napolitano ha 88 anni. E comunque non sarà facile (e non sarebbe neppure desiderabile) prolungare la convivenza tra avversari nello stesso governo oltre un periodo massimo di due anni. Letta deve quindi correre, non dare la sensazione di voler innanzi tutto durare, ma piuttosto quella di voler prendere rapidamente le decisioni urgenti, per poi restituire la parola ai cittadini.
Lunedì pomeriggio, nell'aula del Senato, arriva il Def, Documento di economia e finanza: sarà un passaggio importante di chiarimento della linea di politica economica del governo. Martedì si insediano le Commissioni parlamentari. E i lavori, a Palazzo Madama, riprenderanno a pieno regime, dopo la lunga stagione elettorale.