Feb
24
2010
Intervento in aula sul ddl proroga missioni internazionali
TONINI (PD). Signor Presidente, come già detto dai colleghi del Partito Democratico, il nostro voto favorevole non è in discussione: non lo è mai stato in Commissione non lo è certamente in Assemblea. C'è quindi una convergenza potenzialmente unanime anche di questa Camera, come già si è verificato alla Camera dei deputati, attorno alle nostre missioni all'estero. Forse questa convergenza bipartisan (ripeto, una convergenza addirittura unanime) spiega la crescente distrazione con la quale il Parlamento, e forse anche il Governo (basta guardare questa Aula e, con l'eccezione della signora sottosegretario Craxi, anche i banchi dell'Esecutivo) tratta questo passaggio parlamentare ed anche la distrazione dell'opinione pubblica; la spiega ma certamente non la giustifica. Non c'è infatti alcuna ragione per essere distratti di fronte ad un passaggio come questo. Siamo impegnati in una prospettiva di rafforzamento del nostro contingente, come è stato spiegato in modo trasparente dal relatore. Stiamo spostando truppe dal teatro libanese e da quello balcanico verso quello afgano. Siamo impegnati in un teatro di guerra che forse in questo momento è quello più impegnativo e strategico a livello internazionale. Come tutti sappiamo, l'Amministrazione Obama ha chiesto al nostro Governo questo rafforzamento e il nostro Governo ha accettato. Il Partito Democratico, ovviamente, ha condiviso questa scelta, ma ci impressiona la mancanza di un approfondimento dei risvolti strategici sia nel teatro afgano, sia più in generale nel quadro internazionale, di queste scelte. Negli Stati Uniti il Presidente americano è arrivato a definire una strategia insieme al generale Petreus, che ne è probabilmente l'artefice primario, per l'Afghanistan dopo una lunga riflessione e una lunga discussione pubblica che ha coinvolto tutti i settori della società e della politica americane. Questa strategia sembra essere in tre tempi: il tempo del rafforzamento impegnativo della presenza militare per ottenere risultati sul campo in maniera significativa, quasi contestualmente la mano tesa alle forze che possono essere ricondotte ad una logica di stabilizzazione dell'Afghanistan, a cominciare dai settori moderati dei talebani e alle realtà tribali dell'Afghanistan per rendere possibile una terza fase, che è quella di un disimpegno. Credo - e tanti indicatori ce lo lasciano immaginare - che l'idea dell'amministrazione americana sia di far procedere queste tre tappe con una certa velocità nel tempo. C'è stata una grande discussione, quindi, ma non solo negli Stati Uniti, ma anche in altri Paesi europei, ad esempio una discussione drammatica c'è stata in Olanda: il Governo olandese è caduto proprio sulla questione afgana, perché c'è stata una discussione dura all'interno della coalizione di Governo, nel Parlamento olandese e immagino nell'opinione pubblica olandese che ha portato alla caduta del Governo e a mettere l'Olanda nella prospettiva di un ritiro unilaterale dall'impegno in Afghanistan. L'Italia non si trova, naturalmente, quanto alle conclusioni, nella situazione olandese, confermiamo qui il nostro impegno e la nostra solidarietà a questa missione, vorremmo tuttavia che in qualche modo anche nel nostro Paese e in questo Parlamento si aprisse una discussione su tre questioni che a me sembrano di assoluto rilievo sotto il profilo della politica estera. La prima riguarda la nostra funzione all'interno di questa strategia di teatro in Afghanistan e cioè esattamente quale deve e può essere il ruolo dell'Italia, della sua missione militare ma anche della sua diplomazia rispetto alla strategia dei nostri alleati, perché questo punto non è chiaro. Prima il senatore Serra ricordava l'avvicendamento, del quale non è chiarissimo il significato, del nostro ambasciatore con l'ambasciatore di un altro Paese europeo nella missione europea in Afghanistan, tema sul quale sarebbero necessari un chiarimento ed un approfondimento da parte nostra. Può darsi che sia un episodio marginale, ma certo è un episodio che rileva ancora una volta una incertezza della posizione politica e strategica dell'Italia in questo teatro e più in generale nel rapporto con i partner europei e con l'Alleanza atlantica. La seconda grande questione riguarda il futuro delle relazioni transatlantiche, perché proprio la crisi olandese ci dice che è arrivato il tempo di una riflessione non ordinaria, di una riflessione storica sul futuro e sulla funzione futura dell'Alleanza atlantica e più in generale delle relazioni transatlantiche, che oggi sono sottoposte ad una tensione evidente, che non ha più nulla a che vedere con la tensione che abbiamo conosciuto nell'era Bush, perché la presidenza Obama da questo punto di vista ha cambiato e ha cambiato certamente molto in meglio il clima delle relazioni tra Europa e Stati Uniti e la popolarità del Presidente americano in Europa è superiore a quella che c'è negli stessi Stati Uniti d'America e questo è un indicatore certamente capovolto rispetto alla situazione precedente. Tuttavia, mentre aumenta la popolarità della figura del Presidente americano si allentano di fatto le relazioni politiche e anche quelle militari e strategiche tra Europa e Stati Uniti, tra le due rive dell'Atlantico. Ecco allora la terza grande questione, che è quella del nuovo ordine mondiale, dentro il quale il rischio è che i due soli protagonisti possano e debbano essere gli Stati uniti e la Cina, con un ruolo sostanzialmente marginale e secondario dell'Europa. Tutte queste questioni sono di assoluto rilievo dal punto di vista del nostro interesse nazionale, quindi nel momento in cui noi confermiamo il nostro voto favorevole a questo decreto chiediamo con altrettanta forza e con altrettanta convinzione una discussione pubblica con il Governo e con la maggioranza su questi temi.
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