Dec
07
2012
Ora č possibile un Pd pių largo
Articolo pubblicato su "Europa"

Con la doppia astensione di ieri, prima al senato e poi alla camera, il Pdl non ha fatto cadere il governo Monti, ma ha preso la decisione, politicamente pesantissima, di uscire dalla maggioranza. Ora la parola passa al presidente della Repubblica, che dovrà decidere se rinviare subito il governo alle camere, per l'indispensabile chiarimento politico, o se invece chiedere ai partiti che hanno fin qui sostenuto il governo, di approvare prima la legge di stabilità, come fece nel 2010, dopo la rottura tra Berlusconi e Fini.

Qualunque possa essere il percorso istituzionale che questa crisi politica finirà per prendere, la notizia vera è che Berlusconi ha deciso di riprendersi in mano il partito e di guidarlo in prima persona, in una campagna elettorale che oggi ha di fatto aperto, su una linea populista e demagogica di attacco a Monti, al rigore fiscale, all'euro e in definitiva all'Europa stessa. Con questa mossa, estrema e disperata, Berlusconi pensa di ritrovare l'alleanza con la Lega e spera di riconquistare almeno una parte dei milioni di voti perduti a vantaggio di Grillo e soprattutto dell'astensione. Nei giorni nei quali milioni di famiglie italiane si trovano di fronte ad una seconda rata Imu che si mangia una buona parte delle tredicesime, Berlusconi spera di incontrare un'accoglienza favorevole, issando la bandiera della protesta fiscale e puntando sulla presunta corta memoria degli italiani.

Il Partito democratico, con le inequivoche dichiarazioni di Bersani, ha scelto di giocare la carta opposta: quella della responsabilità, della serietà, dell'affidabilità. Di fare suo quindi lo stile, prima ancora della stessa agenda, di Mario Monti. Uno stile che, insieme all'agenda, alle difficili e talvolta dolorose decisioni prese, a cominciare da quelle che portano la firma del ministro Elsa Fornero, ha restituito all'Italia la credibilità perduta, e dunque il diritto stesso di parola e di proposta in Europa, presupposto essenziale per scongiurare la crisi del nostro debito pubblico e dell'euro e per rilanciare le prospettive di crescita, di lavoro, di equità sociale.

Il Pd ha dunque davanti a sé la possibilità, concreta come mai era stato prima, di presentarsi agli italiani come la vera, grande forza centrale del paese, popolare e riformista, nazionale ed europea. E di realizzare quindi quel riallineamento elettorale, quel riequilibrio profondo dei rapporti di forza politici nel paese, che invano il centrosinistra aveva ricercato nei vent'anni che abbiamo alle spalle e che sono stati la ragione di fondo che ci ha portato a superare le vecchie appartenenze novecentesche e a dar vita ad un partito nuovo, pensato per la società del Duemila.

La condizione perché questa svolta storica possa verificarsi è mettere in campo tutta la forza, tutto il vasto arco di energie positive, a cominciare da quelle giovani e fresche chiamate a raccolta da Matteo Renzi, di cui il Pd ha dato prova con la straordinaria prova delle primarie. Dalle quali è emerso un partito che non ha paura di aprirsi alla società, di parlare con larghi settori del paese, anche non immediatamente riconducibili all'area della sinistra tradizionale.Un partito, soprattutto, che non solo non teme, ma vuole il cambiamento del paese: perché sa che la sua stessa ragion d'essere, la lotta per l'uguaglianza sociale, non è oggi perseguibile attraverso una manutenzione anche straordinaria dell'esistente, o la difesa delle conquiste del passato, ma chiede riforme profonde, da sviluppare attraverso un duraturo ciclo riformista. Perché non potrà mai diventare meno diseguale un paese che, come accade in Italia, spende per pagare le scelte sbagliate del passato (dagli interessi sul nostro enorme e cattivo debito pubblico, al costo delle pensioni a milioni di under-65), più del doppio di quanto spende per la scuola e l'Università, cioè per il futuro dei giovani. O un paese che, anche a causa delle distorsioni del nostro sistema fiscale, ha accumulato un patrimonio privato più grande di quello dei tedeschi, al salatissimo prezzo di un reddito che non cresce e anzi declina. O un paese che paga rendite di posizione di supergarantiti con la condanna alla precarietà di milioni di giovani.

Il governo Monti, voluto e sostenuto dal Pd, ha avviato riforme che hanno cominciato ad aggredire storture antiche e strutturali come queste. Il Partito democratico, alla testa di una più ampia coalizione di centrosinistra, della quale tanto più dopo la svolta di Berlusconi, ci sono tutte le condizioni perché possano far parte anche le forze più dinamiche del centro, può dare al paese la fondata certezza che questo cammino riformatore, non solo proseguirà, ma potrà darsi quel respiro ampio, di medio termine, che è condizione per il successo di un'azione dalla quale dipende in definitiva il futuro stesso dell'Italia.

 

 

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